L’elezione di Papa Francesco è stata una sorpresa per tutti, viste le diverse previsioni della vigilia. Ancora una volta dobbiamo ammettere che la storia degli uomini, la storia della Chiesa è scritta da Dio e va sempre al di là e al di fuori di quelle che possono essere valutazioni e considerazioni umane.
È stato confortante, poi, constatare le testimonianze di tanti fedeli da ogni parte del mondo che hanno sostato per giorni, anche di sera sotto il porticato di San Pietro, a gruppi pregando anche di notte. Chi non crede si sarà chiesto dove mai potevano andare a finire tutte quelle preghiere! Oggi, con gioia, possiamo dire che sono andate a finire là dove lo Spirito Santo ha voluto lasciare la sua impronta.
Lo Spirito Santo usa sempre gli strumenti umani, la Provvidenza i suoi uomini e, in questo caso, i Cardinali.
Durante le Congregazioni generali, che hanno preceduto il Conclave, quasi tutti siamo intervenuti ed abbiamo potuto prendere la parola. Ci siamo interrogati su quale papa per quale Chiesa.
Un Papa buono, un Papa santo, un buon Pastore, ricco della grazia di Dio, di fede, carismatico, profeta, che consca e interpreti le esigenze della Chiesa e dell’umanità di oggi. E il Cardinale Bergoglio, Papa Francesco, si è presentato come un grande uomo, ricco e forte di spiritualità, quella spiritualità eminentemente ignaziana, gesuitica, fatta di preghiera, di sacrificio, di nascondimento, con uno stile quasi personale che riflette lo stile evangelico, di semplicità proprio di San Francesco, fatto di umiltà e trasparenza ma anche di grande coraggio.
Papa Francesco, un uomo che conosce la realtà del mondo, vissuta in prima persona reggendo una Diocesi, come quella di Buenos Aires, per certi versi molto simile a quella di Napoli, fatta di tante periferie e di tanti drammi e situazioni difficili, di tanti poveri, non solo in senso zi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, di amore».
Ma il passo più applaudito è quello sul servizio: «non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità; chi ha fame, sete, è straniero, nudo malato, in carcere».
«Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza ». Poi la definizione del ministero petrino: «Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza».
Alla fine ha chiesto «l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero.
E a voi tutti dico; pregate per me», la conclusione dell’omelia, scandita da un lungo applauso.
Doriano Vincenzo De Luca materiale, ma anche in senso morale. Uno che non soltanto conosce la realtà odierna, quella sociale, ma certamente anche quella della Chiesa anche perché, nelle Congregazioni ogni Cardinale ha interpretato la realtà propria, ma anche quella nazionale e continentale, offrendo considerazioni appropriate per un aggiornamento della vita della Chiesa oggi nel mondo.
Quando ha risposto “Francesco” alla domanda sul nome che avrebbe scelto, mi è venuto in mente quel detto latino “nomen omen”, il nome che rispecchia l’uomo, perché in quel nome c’è il suo stile – francescano – di privilegiare i poveri, gli ultimi, gli esclusi, gli ammalati, come ha fatto per tutta la sua vita. Non un’invenzione del momento ma il risultato di questo cammino di vita. Ha dimostrato subito questa sua semplicità: la sera dell’elezione alla Loggia, la scelta di tenere la sua croce pettorale.
Appena eletto, siamo scesi nel cortile di San Damaso e qui, rifiutando l’auto papale, ha preferito ritornare nella Casa Santa Marta con noi in pulmino. E anche al refettorio non ha voluto un tavolo a parte ma si è seduto nel primo posto libero che trovava.
Da Cardinale lo avevo già invitato a tenere un incontro al Plenum con tutti i sacerdoti e, naturalmente, gli ho rinnovato l’invito a venire a Napoli. E poiché, in un breve momento di festa dopo l’elezione mi ha confidato di gradire la pasticceria napoletana, gli ho promesso che in una prossima occasione gli porterò un dolce tipico napoletano.
Se questi sono i primi segni, certamente profetici, atteso anche il suo coraggio e la conoscenza profonda che ha della realtà, della Chiesa e del mondo, siamo sicuri che sarà un Papa che, con trasparenza, coerenza, umiltà e coraggio, saprà dare quella svolta alla Chiesa, soprattutto negli stili di vita, fatti di povertà e parresìa evangelica.
Come egli stesso ci ha ricordato, non bisogna lasciarsi prendere dallo scoramento, piuttosto dobbiamo uscire per le strade, aprire le porte, andare là dove c’è l’uomo che soffre e vive il suo dramma, dove l’ umanità ferita e dolorante attende con trepidazione l’annuncio del messaggio evangelico, perché Cristo è l’unica liberazione, l’unica salvezza, l’unico redenzione dell’uomo.
Anche a Papa Francesco, dopo l’elezione ho detto: «’A Maronna t’accumpagnà!». E lui, di rimando, mi ha chiesto: «Cosa significa?». Gli ho spiegato che la Madonna lo deve guidare e custodire sempre nel suo ministero petrino, specialmente nella sua volontà di cambiamento della Chiesa e della nostra società.* Arcivescovo Metropolita di Napoli