L’arte sacra serve al sacerdote sia nella sua vita d’uomo e cristiano, sia nel suo ministero presbiterale. All’uno e all’altro contesto d’uso ha infatti accennato Benedetto XVI, nell’esortazione apostolica postsinodale
del 2007, indicando la bellezza artistica come una delle “modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge” (n. 35) e sottolineando il “legame profondo tra la bellezza e la liturgia”. In vista di tale legame, dice il Papa, “è indispensabile che nella formazione dei seminaristi e dei sacerdoti sia inclusa, come disciplina importante, la storia dell’arte con speciale riferimento agli edifici di culto alla luce delle norme liturgiche” (n. 41). →(continua)
Nello stesso anno che ha consacrato ai sacerdoti, il Papa vuole anche rinnovare il dialogo della Chiesa con gli artisti, ricevendone un gruppo rappresentativo il 21 novembre prossimo nella Cappella Sistina, nel decennale della Lettera a loro indirizzata diovanni Paolo II, e 45 anni dopo l’analogo incontro di Paolo VI con gli artisti, pure questo nella Sistina. Si tratta solo di una coincidenza felice, ma, come succede spesso nella vita della Chiesa, la “felicità” si rivela in qualche modo provvidenziale e la “coincidenza” fa scoprire un legame profondo: quello a cui richiamò l’attenzione lo stesso Paolo VI, considerando gli artisti “sacerdoti” in analogia con i ministri ordinati, con il compito di rendere visibili le verità invisibili di cui questi parlano. →(continua)
Nell’acquario delle nove Muse di Enrico Maria Radaelli
“Se Noi mancassimo del vostro ausilio (artistico), il ministero diventerebbe balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare uno sforzo, diremmo, di diventare esso stesso artistico, anzi di diventare profetico. Per assurgere alla forza di espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte”. (continua)
Ma il tabernacolo non è un ingombro di Michele DolzPontificia Università della Santa Croce
C’è da augurarsi che il sasso lanciato nello stagno dall’architetto Paolo Portoghesi produca un’onda lunga di riflessione tra gli addetti ai lavori. Il punto messo in evidenza è chiaro: la rivalutazione conciliare della dimensione comunitaria, essenziale alla fede cristiana, ha portato in fase applicativa a una desacralizzazione che nulla ha a che vedere con gli insegnamenti del Vaticano ii. (Continua)
Francesco e la profezia della vera grandezza di Timothy VerdonIl nuovo modo di vedere e sentire sviluppatosi nella Chiesa d’epoca patristica – lo stile che potremmo chiamare mistagogico – corrisponde a una vocazione allora altrettanto nuova, quella eremitica o monastica. Il caso esemplare è la vocazione di sant’Antonio abate, avvenuta mentre ascoltava la proclamazione del vangelo alla messa.(Continua) Il vincitore ha il volto del Padre di Timothy Verdon”Questa infatti è la volontà del Padre: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna” (Giovanni, 6, 40). Ecco, nelle parole dello stesso Gesù, il motivo per cui, questa volta come altre volte, da prima mattina a notte fonda i pellegrini sfilano davanti alla Santa Sindone (…) È infatti la volontà del Padre che chiunque vede il Figlio e crede in lui viva in eterno. I pellegrini, tra cui anche persone anziane vicine alla morte, desiderando la vita vengono qui, e siamo venuti anche noi, perché nell’uomo torturato e ucciso la cui forma è impressa nel telo è possibile contemplare Cristo, vedere il quale con fede dà la vita eterna. Certezza assoluta che sia proprio lui non c’è, è vero, ma ciò è secondario. Colui che, nell’ultimo giorno – a quanti non l’avranno mai visto ma in qualche circostanza avranno sfamato un povero – dirà: “Quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Matteo, 25, 40), ecco, quello si fa vedere come vuole, anche in altri, anche nell’uomo della Sindone. (Continua)