Avellino Andrea

Castronuovo, 1521 - Napoli, 10 Novembre 1608
Profilo biografico

Nacque nel 1521 a Castronuovo (oggi Castronuvo di S. Andrea) in provincia di Potenza, da Giovanni Avellino e da Margherita Apelli, e fu chiamato Lancellotto. Avviato agli studi sa uno zio arciprete, li compì nella vicina Senise, esercitandosi fin d’allora nell’apostolato catechistico fra i giovani del luogo. Ordinato sacerdote nel 1545, nell’ottobre 1547 si trasferì a Napoli per frequentare la facoltà di diritto di quella Università, dove si laureò in utroque iure. Avendo nel 1548 praticato gli esercizi spirituali sotto la direzione del gesuita p. Lainez, si diede a una vita di più intensa spiritualità, nella quale fu saggiamente diretto dal teatino, futuro beato, p. Giovanni Marinonio (1490 – 1562). Avvocato ecclesiastico presso quella curia arcivescovile, abbandonò il foro in seguito a una menzogna sfuggitagli durante una arringa, fatto questo che lo amareggiò profondamente.
Nel 1551 gli fu affidata da mons. Scipione Rebiba, vicario generale di Napoli, la riforma del tristemente noto monastero femminile di S. Arcangelo di Baiano: egli intraprese talemissione con zelo e fermezza, imponendovi severa clausura e tenendovi il quaresimale e le omelie negli anni 1553 e 1554. Essendo, però, mal sopportava la sua opera riformatrice da chi aveva loschi interessi nel monastero, fu ripetutamente aggredito e, nel 1556, gravemente ferito da un sicario. Guarito quasi miracolosamente, chiese e ottenne, nel novembre di quello stesso anno, di vestire l’abito tra i Teatini di S. Paolo Maggiore di Napoli, cambiando allora il suo nome di battesimo con quello dell’Apostolo della croce. Maestro di noviziato fu lo stesso p. Marinonio e suo compagno il futuro cardinale e beato Paolo Burali d’Arezzo. Professò solennemente il 25 gennaio 1558, aggiungendo in seguito ai tre voti della vita religiosa altri due, cioè, di contrariare sempre la propria volontà e di progredire incessantemente, nella misura delle proprie forze, verso la perfezione.
Fra il 5 aprile e l’8 maggio 1559 fece un pio pellegrinaggio a Roma, dove fu ricevuto da Paolo IV, fondatore, insieme con s. Gaetano Thiene, dei Chierici Regolari (1524). Nel 1560 fu nominato maestro dei novizi della casa di S. Paolo Maggiore, carica che tenne per dieci anni. Furono suoi discepoli spirituali alcuni dei più illustri Teatini del suo tempo, fra i quali va ricordato il ven. Lorenzo Scupoli, autore del trattato Il combattimento spirituale. Preposto della stessa casa dal 1566 al 1569 vi istituì il primo studio teologico dell’Ordine, che volle informato alle dottrine dell’Acquinate.
Nel 1570 fu eletto vicario della casa che i Teatini avevano aperto a Milano, presso S. Calimero, dietro invito di s. Carlo Borromeo, il quale, come ricorda il Martirologio di p. P. Bosco (3 febbraio), accolse amorevolmente Avellino, uscendogli incontro fuori Porta Romana. In breve egli divenne il direttore spirituale preferito dalla migliore nobiltà milanese nel nuovo assetto dato dal Borromeo alla Chiesa ambrosiana, secondo lo spirito del Concilio Tridentino. Nel maggio 1571 fu trasferito a Piacenza come preposto della nuova casa che in S. Vincenzo aveva fondato in quello stesso mese il vescovo Paolo Burali d’Arezzo. Fu direttore spirituale del seminario, penitenziere diocesano e vigile custode del pio luogo delle convertite, che lo stesso Burali istituì nel 1572. Molto stimato dai Farnese di Parma, Avellino diresse spiritualmente Maria di Portogallo, moglie di Alessandro e madre di Ranuccio, ed ebbe con loro una corrispondenza epistolare non interrotta neanche dalla campagna di Ranuccio nelle Fiandre.
Dal 1574 al 1577 fu preposto di Piacenza; nel 1573, e nuovamente nel biennio 1577 – 1578, visitatore delle case della Lombardia. Essendosi incontrato a Genova con la mistica agostiniana suor Battistina Vernazza, figlia di Ettore, l’ispiratore degli Ospedali degli Incurabili, e avendole esposto il desiderio di ritirarsi dall’attività apostolica, ne fu da lei dissuaso con una lettera datata al Mercoledì delle Ceneri del 1578. Nell’aprile di quello stesso anno Avellino fu eletto preposto di S. Antonio di Milano e nel 1581 ancora di S. Vincenzo di Piacenza.
Nel maggio 1582, dopo dieci anni di apostolato nella Lombardia, egli ritornò a Napoli, dove visse fino alla morte. Qui riprese la sua instancabile attività predicando, scrivendo e guidando quanti fiduciosi a lui si rivolgevano.
Con rescritto del 29 luglio 1595 Gregorio XIV gli concedeva la facoltà di udire le confessioni di chiunque e in qualunque diocesi. Il suo nome figura tra i visitatori della santa Casa di Loreto nel 1583.
Eletto nel 1584 e riconfermato nell’anno successivo, Avellino fu preposto contemporaneamente delle due case che l’Ordine aveva allora in Napoli, quella di S. Paolo Maggiore e quella dei SS. Apostoli. Nei tumulti avvenuti nel maggio 1585, in cui fu trucidato G. V. Starace, <<eletto della plebe>>, ritenuto responsabile della carestia che affliggeva allora la città, Avellino fece opera di pacificazione e mise anche a disposizione dei più bisognosi le risorse della sua famiglia religiosa. Essendo stato nel 1593 assassinato suo nipote Francesco, Avellino non solo perdonò l’uccisore, ma volle che altrettanto facessero i suoi familiari.
Visitatore delle province napoletana e romana, eseguì l’incarico tra l’ottobre del 1590 e il gennaio 1591. A Roma assistette al capezzale il moribondo card. Antonio Carafa (13 gennaio 1591) e, ricevuto da Gregorio XIV, suo intimo amico sin da quando lo Sfondrati era vescovo di Cremona, rifiutò decisamente il vescovato che il papa gli offriva.
Dotto nelle scienze ecclesiastiche, ricco di doni straordinari e di celesti carismi, quali la profezia e i miracoli, che gli conciliarono l’ammirazione e la devozione di nobili e di plebei, Avellino scrisse circa tremila lettere spirituali, in gran parte perdute, e numerosi trattati e opuscoli di ascetica, di esegesi biblica e di argomenti vari. Vigile custode della fede in Napoli, si oppose energicamente alla perniciosa setta di Giulia Di Marco, la quale con il pretesto di un’illuminata spiritualità, diffondeva le pratiche più immorali; se Avellino non ne potè vedere dispersa l’infame conventicola, essa tuttavia scomparve ugualmente per opera dei suoi confratelli con la condanna e l’abiura della Di Marco, avvenuta l’11 luglio 1615 nella chiesa della Minerva in Roma.
Il 10 novembre 1608, mentre nella chiesa di S. Paolo Maggiore si accingeva a celebrare la Messa, Avellino cadde colpito da un attacco di apoplessia ai piedi dell’altare; moriva, rasserenato da una celeste visione, la sera dello stesso giorno.
Iniziati i processi informativi nel dicembre del 1614, fu beatificato da Urbano VIII il 14 ottobre 1624 e canonizzato da Clemente XI il 22 maggio 1712. Il suo corpo si venera nella chiesa di S. Paolo Maggiore. La festa di Avellino, invocato quale celeste protettore contro la morte improvvisa, si celebra il 10 novembre.
Sono dedicate a s. Avellino le chiese parrocchiali di Finisterre (Bruxelles), di Long-Island (New York), il seminario teatino di Denver (U. S. A.) e la Casa del Clero di Messina, dove sorgeva una chiesa in suo onore, opera pregevole di G Guarini, distrutta nel terremoto del 1908. L’iconografia rappresenta spesso Avellino vestito dei sacri paramenti ai piedi dell’altare. Ce ne hanno lasciato tele pregevoli il Conca (Palermo), lo Stanzione (Napoli), il Lanfranco (Roma). In S. Andrea della Valle, in Roma, si conserva una vera effigies di Avellino. Tempo addietro, in certe case teatine, nel giorno della festa di Avellino, a ricordo della sua austerità, si benedicevano le fave che poi erano distribuite agli infermi.
Delle opere di Avellino esiste una edizione comprendente: Lettere scritte dal glorioso s. Andrea Avellino cherico regolare a diversi suoi divoti, date alla luce de’ Cherici Regolari di S. Paolo Maggiore di Napoli, 2 voll. (Napoli 1731-1732); Opere varie composte dal glorioso S. Andrea Avellino cherico regolare, 5 voll. (Napoli 1733-1734).

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