Canta e Cammina! Una Chiesa adulta per una società responsabile

Crescenzio Card Sepe*Dopo il “giubilo” che abbiamo cantato in occasione dello speciale Giubileo per Napoli nel quale “…il cielo si è aperto su di voi e ha fatto discendere sulla vostra vita e sulla comunità la forza dello Spirito  Santo…” (Benedetto XVI – Videomessaggio chiusura Giubileo), la Chiesa che è a Napoli si è messa in cammino con rinnovato slancio per compiere la missione affidatale da Cristo Signore.“Canta e cammina”
La celebre frase di Sant’Agostino è un invito a cantare per alleviare le asprezze della vita, ma è insieme un’esortazione a vivere e testimoniare la fede con gioia, ad alimentare la speranza. “Canta e cammina” risuona  oggi anche come una sollecitazione rivolta a Napoli, a tutti noi, a non lasciarci  andare. Napoli ha sempre la musica nel cuore. Le sue melodie sono tra le più belle del mondo, apprezzate da tutti. Sono segno e misura di bellezza, di cultura e di fede e costituiscono il naturale orizzonte che l’avvolge dappertutto. Oggi, però, Napoli vuole anche rimettersi a camminare, riprendere la propria marcia con vigore e chiarezza; vuole dismettere i panni del fatalismo e prendere in mano il proprio destino. “Canta e cammina” è una formidabile sintesi di fede e impegno costruttivo, di bellezza e concretezza di armonia e progresso sociale. In continuazione dell’icona giubilare delle opere di misericordia, essa può rappresentare per noi l’icona della nostra proposta pastorale di quest’anno.
Per questa rinascita, tanto necessaria e a lungo auspicata, bisogna mettere in campo tutte le risorse presenti in Diocesi a partire da quelle della comunità ecclesiale. Ma noi possiamo contare su una fede matura, sale e lievito della nostra società, capace di dialogare con tutti, disposta a mettersi in gioco pur senza perdere la propria identità? È questo interrogativo, l’inquietudine, che ha guidato finora i nostri passi.Il nostro percorso
Ci ritroviamo ancora insieme qui a Materdomini per programmare  il nostro cammino, il cammino della chiesa di Napoli, in vista del prossimo anno pastorale. Non è un cammino che comincia ora. Abbiamo già fatto un primo tratto di strada insieme. Qualche anno fa, nei primi tempi della mia venuta a Napoli come vescovo, delineammo un piano pastorale che descriveva le coordinate generali della situazione della chiesa di Napoli; individuava gli obiettivi da raggiungere e stabiliva le linee programmatiche e metodologiche su cui muoversi.
Esso poggiava su tre pilastri: comunicare la fede, educare alla fede, vivere la fede. È stata l’architettura della futura attività pastorale della nostra chiesa. All’interno di questo quadro di riferimento, avvertimmo la necessità di ritagliare un obiettivo più determinato, suggerito dalla necessità d’intervenire, da credenti, nella difficile condizione della comunità cittadina alla ricerca del bene comune e, di conseguenza, nella grave situazione di degrado che affligge la nostra gente.
Nacque così la provvidenziale idea del Giubileo per Napoli. Un’esperienza che ha segnato profondamente la vita della nostra comunità  ecclesiale e ha consentito di precisare ulteriormente gli obiettivi del nostro programma pastorale. Abbiamo, in particolare, acquisita la consapevolezza che per essere profezia, la nostra Chiesa deve stare stare un passo avanti.
Se vogliamo indicare una possibile direzione di marcia per il nostro popolo, non possiamo andare a rimorchio, vivere di abitudini e luoghi comuni, seguire con affanno il passo degli altri. Come credenti, sappiamo che il nostro è il Dio delle promesse, il Dio fedele che abita il futuro più che il passato e ci precede sulle vie della storia. Quando i credenti disertano il campo, l’umanità va avanti per conto suo, privandosi delle illuminanti direttive del Vangelo.
È con questo spirito che si è mossa la Chiesa di Napoli in questi anni. Devo dare atto  con soddisfazione e compiacermi nel costatare che lo Spirito del Giubileo è entrato ormai quasi dappertutto nel nostro stile pastorale, permeando e caratterizzando il nostro essere Chiesa a Napoli. È quanto ho potuto costatare negli incontri di quest’anno con i Vicari Episcopali, il Collegio dei Decani, il Consiglio presbiterale e quello pastorale, come anche nelle visite ai Decanati e negli incontri personali.
Ma il cammino è ancora lungo e difficile perché richiede una continua e più profonda conversione pastorale, un profondo cambiamento di mentalità, un rilancio dell’azione pastorale, un rinnovato entusiasmo missionario. Va recuperata, cioè, la vera identità della fede, aperta alla storia e al mondo, ricca di valenza profetica e di responsabilità, di carica innovativa e di pazienza costruttiva. E, in tale linea, sentiamo risuonare nella nostra coscienza le tematiche più suggestive e profonde del Concilio Vaticano II, che ha presentato un volto nuovo di Chiesa: Chiesa missionaria, cioè esposta, proiettata verso la comunità degli uomini e quindi con una percezione più matura del suo rapporto con il mondo e con la società umana. Un Concilio che – a parere anche di Papa Francesco – attende ancora di essere attuato nelle sue istanze più profonde.
Si tratta di un cammino complesso, perché richiede i tempi lunghi dei processi culturali e deve investire tutti gli ambiti e le articolazioni della vita ecclesiale. È quindi un percorso d’indole educativa, prima ancora che organizzativa. È necessario maturare una nuova, più rigorosa consapevolezza del ruolo di credenti negli ambienti in cui viviamo. Avvertiamo, in questo, la consonanza con gli Orientamenti Pastorali assunti dalla Conferenza Episcopale Italiana per il decennio 2010-2012: “Educare alla vita buona del Vangelo”.
Del resto, Benedetto XVI, nella Lettera apostolica in forma di Motu Proprio “Porta Fidei” – con la quale ha indetto questo speciale Anno della fede – ha insistito molto sulla dimensione pubblica del credere, sulla necessità di permeare di senso cristiano le strutture portanti della convivenza sociale. È questa la scelta metodologica per il prossimo anno pastorale.

 
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