Contro l’indifferenza una Chiesa in uscita

Riflessione a margine della Lettera Pastorale del Cardinale Sepe

Sono lieto di commentare l’ultima lettera pastorale del Cardinale Sepe, “Dar da mangiare agli affamati”, con la quale egli intende inaugurare una serie di interventi dedicati, di anno in anno, al commento di ciascuna delle “opere di misericordia”. Ne può venire fuori un vero spaccato dell’azione della Chiesa di Napoli, interpretata non solo come centro missionario (indispensabile per una condizione come quella di Napoli), ma anche come osservatorio privilegiato delle esigenze della gente di Napoli e di diagnosi della sempre più complessa strutturazione sociale e cultura della città, nobilissima e disgraziatissima, come ormai bisogna dire. L’avvio di questo impegnativo programma mi appare di gran momento e, quindi, di buon auspicio. Infatti questa “Lettera Pastorale” mi sembra sia suggellata tra due grandi affermazioni di Papa Francesco, che rappresentano i princìpi, i cardini intorno a cui articolare i propositi cui accennavo iniziando. I due princìpi papali sono i seguenti: Volere e operare per costruire una Chiesa “in uscita”, governata dalla convinzione che «la vera speranza cristiana genera sempre storia» (Evangelii gaudium, 24 e 181). Sono affermazioni semplici formalmente nella loro solennità, e pure sono affermazioni colte e difficili, che investono una precisa caratterizzazione della Chiesa di vero sapore conciliare, il Concilio Vaticano II, voluto dal più grande Papa del Novecento, Giovanni XXIII, di cui l’attuale Pontefice sembra farsi, si sta facendo vero successore, interprete ed esecutore, dopo non felici interventi di “normalizzazione”, non condivisibili almeno da un laico rispettoso della fede, quale io presumo di essere. Infatti che significa essere “in uscita”? Significa riprendere una grande immagine della Chiesa di Roma, che può simbolizzarsi nella via, vale a dire essere missionaria nel senso nobile e forte della parola. Ossia non solo e tanto scelta di proselitismo, con implicita vocazione o aspirazione a farsi “trionfante”, bensì, evangelicamente, “militante”. Essere “in uscita” per affrontare la “via” significa non chiudersi in sé e nel godimento della propria eternità e purezza. Significa affrontare la lotta della vita, le asperità della vita, il sinolo di bene e male, in una parola riconoscere la “storia”, vivere la “storia”, caso mai per superarla, nel senso di cercare e realizzare il “Regno escatologico”, epperò conoscendo e rispettando la storia, la storia degli uomini, che sta tra il mondo e Dio e non può, non deve essere stritolata ma vissuta con libertà e responsabilità. Ossia essendo capaci di tradurre la libertà in obbligazione, la responsabilità dell’obbligazione e non l’obbligazione della responsabilità. Essere “in uscita”, percorrere instancabilmente la “via”, riconoscere la “storia” è, in fondo, il vero profondo significato del più rivoluzionario significato del cristianesimo: l’incarnazione di Dio, che si fa uomo e conosce perfino il dolore e la morte, il dolore della morte, perché intende affrontare, vivere e risolvere, educare e aiutare a risolvere i “peccata mundi” e i “peccata in mundo”. Solo il cristianesimo è la religione che ha saputo ammettere e giustificare perfino la morte di Dio, nel senso forte del riconoscimento dell’umanità, della libertà e obbligazione dell’uomo, degli uomini: ché Dio non sa che farsene di uomini che non siano liberi e perciò consapevolmente responsabili. Non credo di aver divagato. Credo di aver interpretato il significato profondo della Lettera Pastorale. In essa, infatti, il Cardinale Sepe enuncia il programma di lavoro della sua Chiesa e del Clero nella direzione di un’opera solidalistica di socializzazione, sollecitando, in modo particolare, i Sacerdoti a interrogarsi «accuratamente sulle cause che hanno provocato il grave disagio» del vissuto quotidiano della gente. Ritiene che questo disagio “chiama in causa” il vivere della Chiesa. È, giustamente, convinto che solo se si concepisce la “condivisione” dei problemi, intesa come “dono di se stessi” e capacità di mettere “in comune orizzonti, passioni, esperienze” si può davvero operare fruttuosamente e acquistare il diritto «ad alzare la voce nei confronti delle istituzioni quando fossero assenti». E credo che il Vescovo, nel dir ciò, ha ben presente “la situazione grave” della nostra città, “le condizioni di vita della nostra gente” che “vanno peggiorando ogni giorno di più”. In tale luce non è retorica, non è vana speranza di ripresa della nostra città l’invito a pensare “al mondo della scuola, del lavoro, delle professioni”, “all’associazionismo, al volontariato, agli organismi no profit”. Si tratta di “potenziale sconfinato se solo si riesce a farlo convergere verso un obiettivo comune”. Perché ciò riesca è necessario l’impegno della Chiesa, che il Cardinale richiama, vedendolo come occasione, molla a far nascere anche l’impegno della gente, che non può, non deve rimanere passiva. La Chiesa deve essere “in uscita” per “generare storia”, secondo il grande insegnamento di Papa Francesco, il Pontefice che nella prima visita del suo pontificato, non a caso a Lampedusa, ammonì tutti del grave rischio, per il Papa un vero peccato, rappresentato da quella che egli chiamo “la globalizzazione dell’indifferenza”. Ecco, io credo che la “Lettera Pastorale” del Cardinale Sepe vuole essere un impegno contro “l’indifferenza” che deve riguardare, deve coinvolgere gli uomini di Chiesa, i fedeli, l’intera comunità della Diocesi, compresi i non credenti, purché tutti uomini di buona volontà. In questo spirito c’è da augurare all’Arcivescovo, alla sua Chiesa, a tutti noi che il suo appello sia raccolto e operare perché così sia.
 
Riflessione di Fulvio Tessitore
Senatore della Repubblica e Rettore dell’Università Federico II
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