Alle ore 9. 50, martedì 19 marzo, dopo i riti specifici dell’inizio del pontificato, Papa Francesco ha dato avvio alla celebrazione eucaristica, davanti a 130 delegazioni da tutto il mondo e a circa 300mila persone. Prima il “Confiteor” in latino, poi il canto del Kyrie e del Gloria. Le letture della solennità della festa di san Giuseppe in inglese, italiano e spagnolo, il Vangelo cantato in greco, per sottolineare l’unità tra le Chiese d’Oriente e le Chiese d’Occidente, visto che ampie parti della messa sono in latino. E il primo pensiero è stato per Benedetto XVI: «è una coincidenza molto ricca di significato celebrare nella solennità di san Giuseppe, ed è anche l’onomastico del mio venerato predecessore:
gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza».
Il Papa si è soffermato a lungo sul significato di Giuseppe come “custos”, il “custode di Maria e di Gesù”, una vocazione che vive «nella costante attenzione a Dio aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio». In lui, secondo Papa Francesco, «vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana; Cristo!». Di qui l’invito del Santo Padre ai fedeli: «custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!».
La vocazione di custodire, ha spiegato il Papa, non riguarda solamente i cristiani, ma tutti: «è il custodire l’intero creato, la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti». «E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli – ha ammonito il Papa – allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce».
E a quanti occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, ha detto: «siamo custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente.
Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!».
È il forte appello al centro dell’omelia che ha suscitato l’applauso immediato della piazza. E un altro applauso della folla è scoppiato quando il Papa ha detto: «non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!».
Nei Vangeli, san Giuseppe «appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, di amore».
Ma il passo più applaudito è quello sul servizio: «non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità; chi ha fame, sete, è straniero, nudo malato, in carcere».
«Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza». Poi la definizione del ministero petrino: «Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza».
Alla fine ha chiesto «l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero.
E a voi tutti dico; pregate per me», la conclusione dell’omelia, scandita da un lungo applauso.