Domenica delle Palme
24 marzo 2024
Rompo il silenzio con questo commento, piccola e povera parola, perché la Parola grande è quella della croce, è il Crocifisso.
La Passione di Cristo non è ancora conclusa. Investe il presente. Coinvolge ciascuno di noi. La Passione di Cristo si prolunga nella passione dell’uomo, di milioni di creature. La sua interminabile via crucis ha stazioni obbligate negli ospedali, in tante case, soprattutto dove la vita viene annullata, uccisa, per via di guerre, e in un’infinità di luoghi segreti. E ancora: Nelle sue piaghe, le piaghe di chi non ha lavoro; di chi è tormentato dall’angoscia per il futuro; di chi ha conosciuto il dolore della morte a causa dell’incuria dei nostri territori, per il veleno disseminato nei nostri terreni e nella nostra aria; delle donne vittime di violenza; degli esclusi; di chi soffre a causa della giustizia; dei giovani che non riescono a mettere insieme i pezzi della loro vita. La cosa più importante che possiamo fare è sostare accanto alla santità delle lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli. E deporre sull’altare di questa liturgia qualcosa di nostro: condivisione, conforto, consolazione, una lacrima. E l’infinita passione per l’esistente. Ma anche schiodare i crocifissi di oggi dalle loro croci.
Entriamo nella grande settimana. E sentiamo il bisogno urgente di resurrezione.
C’è tutta un’umanità che ruota attorno al crocifisso. E dentro a questa umanità, come spiraglio di luce, le donne e un centurione pagano. Forse bisogna essere tutti lontani come quel centurione e non pieni delle nostre idee su Dio, delle nostre pretese su Dio. E chiamare figlio di Dio colui che muore con un urlo sulla croce, perché questa è la buona notizia, il vangelo: il fatto che Dio non è sceso dalla croce, non ha salvato se stesso, ma ha dato la vita per noi. L’ha capito per primo un soldato esperto di morte, un centurione pagano che formula il primo credo cristiano: costui era figlio di Dio. Che cosa ha visto in quella morte da restarne conquistato? Non ci sono miracoli, non si intravvedono risurrezioni. Quel centurione ha visto il capovolgimento del mondo, di un mondo dove la vittoria è sempre stata del più forte, del più armato, del più spietato. Ha visto il supremo potere di Dio, del suo disarmato amore; che è quello di dare la vita anche a chi dà la morte; il potere di servire non di asservire; di vincere la violenza, ma prendendola su di sé.
Ha visto sulla collina che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, un altro modo di essere uomini. La nostra fede poggia sulla cosa più bella del mondo: un atto d’amore. E Pasqua mi assicura che un amore così non può andare deluso. Il suo amore ci salva, non il suo dolore. Un amore che manifesta, che mette a nudo, che scuote e stupisce. La croce diventa, allora, l’ultimo sì detto al Padre. E all’uomo.
I rami di ulivo: sono il segno di una scelta, di una decisione. Appartenere al Signore, legarsi a Lui in un patto di amore che nessuno può sciogliere. Seguire il Signore e la sua parola. Non tirarsi indietro dinanzi alla croce, quando la croce del Signore ci chiede di non disperare nella sofferenza e nelle prove. Perché in ogni sofferenza il Signore c’è sempre, lievito che fermenta la resurrezione. Questa domenica è il giorno della decisione. Il ramo di ulivo è il riconoscimento di un cristianesimo rivestito di forza e di coerenza, ma rischia di diventare secco, di perdere il verde della bellezza.
Il ramo secca se, come giuda, consegniamo la nostra vita al denaro, al denaro che diventa idolo, al denaro corrotto, quel denaro che costruisce maschere di indifferenza verso chi non mi chiede indifferenza, ma condivisione solidale. L’ulivo secca quando Cristo ci chiede di essere accanto a Lui restando accanto a quanti vivono l’agonia del dolore, della malattia, della povertà, ma noi scappiamo. L’ulivo secca se nella notte della fede di tanti, ci viene chiesto di dire apertamente: io sono di Cristo e sono della chiesa, ma ci vergogniamo di dirlo … non conosco il Signore, mi dissocio da lui e dalla chiesa. L’ulivo secca se come pilato scrolliamo le spalle dinanzi alla verità del vangelo perché abbiamo paura di andare controcorrente di fronte alla folla delle opinioni della società, cristo venduto e beffato al sondaggio delle opinioni.
Al contrario l’ulivo non secca se come la donna di Betania versiamo il profumo della tenerezza sul capo del signore toccando la carne dei poveri, perché quella è la carne di Gesù. Quando toccando il pane della vita diventiamo costruttori di comunione e di fraternità, capaci di sostare dinanzi alle lacrime che sono sacre. Quando anche tu ti affiderai alla sua parola, senza riserve, senza calcoli.
Troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito, scioglietelo e portatelo qua. Stavolta viene Lui, non ha bisogno del puledro, ha bisogno di te. Vuole scioglierti dalla tua paura di comprometterti, di schierarti apertamente con Lui nei momenti difficili. Intende scioglierti dai compromessi, dall’ambiguità, dall’indecisione. E bada che appare irriconoscibile. Ha spogliato se stesso, assumendo la condizione di servo. Ha presentato il dorso ai flagellatori, non ha sottratto la faccia agli sputi e agli insulti.
Questo è il re che devi accogliere, questo è il Signore che ti chiede di seguirlo lungo la strada dell’abbassamento… c’è una croce preparata per Lui, e c’è anche la tua croce. Lo troverai tradito dagli amici, insultato dalla folla, deriso, torturato, abbandonato da Dio. E dovrai testimoniare di riconoscerlo, di essere dei suoi, di condividere la sua follia, di fare tua la sua debolezza disarmata.
Ti chiederà di resistere nel buio, non venir meno nella prova, reggere nella fedeltà quando si fa il vuoto intorno, non cedere quando tutto sembra crollare, non perdere la fiducia quando i tuoi progetti si sfasciano.
Ti chiederà di credere, di sperare, quando gli i sapienti di questo mondo ti diranno che è finita. Ed ti chiederà l’amore quando apparirà inutile, sprecato, quando sembra che trionfi solo la violenza e l’odio e la menzogna. Ecco perché la settimana santa comincia il giorno dopo… e il giorno dopo ancora. Il “si” non è un battimani, lo dovrai strappare a fatica dalla delusione, dalla stanchezza, dalle lacrime. Non avere paura, il giorno dopo può già attuarsi la resurrezione.
Restiamo ai piedi della croce, per restare umani, per imparare ad amare. E a fuggire il dolore inutile. E a lasciarci convertire dallo spettacolo di un Dio che muore per amore. Solo così questo tempo potrà rivestirsi di una luce nuova. Una cosa è certa: Dio parla. Non ha mai smesso di parlare. Lo ha fatto ieri, continua a farlo oggi. La resurrezione è un tempo lento. Dobbiamo cominciare a perdere tempo, non perché non sappiamo cosa fare, ma per raccogliere i dettagli della vita. Buona Settimana Santa.