Economia ed etica

Il mondo dell'Università, dell'impresa, del lavoro, del sindacato e della Chiesa riflette a margine dell'Enciclica "Caritas in veritate"

L’Enciclica “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI riprende alcuni dei temi già proposti da Giovanni Paolo II in “Centesimus Annus” e sviluppa, con una visione di straordinaria lucidità e completezza, le tematiche centrali della nostra epoca. C’è difatti da rimanere stupiti, per chi studia i problemi dell’economia e dell’etica, dalla profondità dell’esame e, soprattutto, dalle conclusioni proposte con grande equilibrio e lungimiranza.
Per rimanere nel campo a noi più consueto, vorremmo brevemente commentare alcuni dei passaggi principali dell’enciclica, cominciando dai concetti di responsabilità sociale dell’impresa, del ruolo del profitto e del rapporto tra economia ed etica.
Il Papa coglie molto bene la necessità dell’evoluzione della funzione dell’impresa che – oltre a soddisfare il suo obiettivo primario di creazione della ricchezza – deve sapere distribuire correttamente il valore economico tra tutti coloro che, direttamente e indirettamente, partecipano alla sua creazione.
L’impresa deve cioè sapere adempiere ad una triplice funzione (economica,sociale ed ambientale), pervenendo alla distribuzione della ricchezza secondo criteri di giustizia, trasparenza ed equità. Ciò significa che «il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo » (pag. 29).
Diviene così più chiaro e condivisibile il rapporto tra economia ed etica: la prima rivolta a produrre ricchezza in condizioni di efficienza; la seconda diretta a dare un senso morale al comportamento dell’impresa nei confronti dei suoi interlocutori (dipendenti, finanziatori, fornitori, clienti, opinione pubblica, ecc.) (62-63).
Il Papa individua nei due principi del dono e della reciprocità i punti chiave dell’applicazione dell’etica nel mondo economico, concludendo che «senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente esplicitare la propria funzione economica»(55).
Tra gli altri temi trattati merita un particolare richiamo quello della globalizzazione, sul quale – dopo averne descritto i principali effetti – il Pontefice ribadisce la visione di Giovanni Paolo II sostenendo che «la globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno» (68).
Vorremmo infine sottolineare due posizioni di particolare avanguardia sulle quali vivace è tutt’oggi il dibattito in campo aziendale. Si ratta del richiamo alla responsabilità del risparmiatore, che deve contribuire ad evitare scandalose speculazioni (107), e a quelle del consumatore che va continuamente educato in modo da assumere una propria responsabilità sociale in congiunzione con quella dell’impresa.(108).
Queste affermazioni confermano ancor più la completezza e l’equilibrio della visione del Pontefice, il quale, nell’introduzione, pone in risalto la fondamentale chiave di lettura di tutto il testo, ribadendo con fermezza che «l’adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo economico integrale» (6).
Un ultimo invito che, da cristiano credente e praticante, sembra opportuno lanciare è quello di diffondere il messaggio papale facendone, in più riprese, oggetto delle omelie festive perché la costruzione di una buona società non può avvenire senza la comprensione, corretta dal punto di vista morale, delle tante problematiche che contraddistinguono l’attuale tempo di crisi.

di Sergio Sciarelli
Professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese
Università degli Studi di Napoli “Federico II”

condividi su