Carissimi amici, vi saluto calorosamente in questo luogo carico di bellezza, che le generazioni passate hanno voluto creare affinché rimanesse nella storia qualcosa del loro spirito e della loro visione della vita. Il Museo diocesano, come potete immaginare, non serve soltanto a custodire opere d’arte, ma anche ad avvicinare il popolo di Dio a rileggere la sua storia attraverso il patrimonio di fede, espresso con il linguaggio della bellezza. Si tratta di un altro modo di narrare il Vangelo, di testimoniare la fede viva di una tradizione – quella napoletana
– che non ha mai disdegnato l’arte la quale, per essere “creata”, ha bisogno dell’ispirazione. In tal modo, l’artista si avvicina a Dio e diventa, spesso inconsapevolmente, una guida verso la scoperta del Mistero.
Ci lasceremo guidare, perciò, da un brano della Lettera di Giacomo al capitolo 2, e da un quadro di Caravaggio che ospitiamo nella nostra città, il cui titolo è le Sette opere di misericordia, dipinto tra la fine del 1606 e l’inizio del 1607, che non ho mancato di segnalare nella mia Lettera pastorale Per amore del mio popolo non tacerò. La domanda che pone Giacomo, che si definisce “servo di Dio e del Signore Gesù Cristo”, scuote ancora oggi la nostra coscienza: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo?». Se per fede s’intende soltanto accettare delle verità e credervi, allora si corre il rischio di cui parla san Giacomo: quel tipo di fede non salva! Al versetto 26 del nostro capitolo 2 egli afferma chiaramente: «Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta».
Per incoraggiare i credenti a rendere la loro fede operosa, egli propone degli esempi: «Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro:
“Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve?». Anche il patriarca Abramo, campione nella testimonianza di una fede assoluta, ricevette da Dio la giusta ricompensa per le sue opere di carità. Riprendiamo le parole della Lettera: «Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le sue opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? Vedi: la fede agiva insieme alle opere di lui, e per le opere la fede divenne perfetta. E si compì la Scrittura che dice: Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio». È sconcertante, invece, il secondo testimone di una fede operosa: «Così anche Raab, la prostituta, non fu forse giustificata per le opere, perché aveva dato ospitalità agli esploratori e li aveva fatti ripartire per un’altra strada?». Il Signore è davvero imprevedibile e ci fa proporre insegnamenti anche da chi non ce l’aspettiamo! Sulla scia della sorpresa dell’esempio di Raab si colloca anche il quadro di Caravaggio, pittore anticonformista e geniale. La presenza di molti personaggi che svolgono varie azioni dà l’impressione di trovarsi in un animato vicolo della nostra città. L’artista riesce, su una sola tela, a raffigurare le 7 opere di misericordia corporale.
– che non ha mai disdegnato l’arte la quale, per essere “creata”, ha bisogno dell’ispirazione. In tal modo, l’artista si avvicina a Dio e diventa, spesso inconsapevolmente, una guida verso la scoperta del Mistero.
Ci lasceremo guidare, perciò, da un brano della Lettera di Giacomo al capitolo 2, e da un quadro di Caravaggio che ospitiamo nella nostra città, il cui titolo è le Sette opere di misericordia, dipinto tra la fine del 1606 e l’inizio del 1607, che non ho mancato di segnalare nella mia Lettera pastorale Per amore del mio popolo non tacerò. La domanda che pone Giacomo, che si definisce “servo di Dio e del Signore Gesù Cristo”, scuote ancora oggi la nostra coscienza: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo?». Se per fede s’intende soltanto accettare delle verità e credervi, allora si corre il rischio di cui parla san Giacomo: quel tipo di fede non salva! Al versetto 26 del nostro capitolo 2 egli afferma chiaramente: «Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta».
Per incoraggiare i credenti a rendere la loro fede operosa, egli propone degli esempi: «Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro:
“Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve?». Anche il patriarca Abramo, campione nella testimonianza di una fede assoluta, ricevette da Dio la giusta ricompensa per le sue opere di carità. Riprendiamo le parole della Lettera: «Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le sue opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? Vedi: la fede agiva insieme alle opere di lui, e per le opere la fede divenne perfetta. E si compì la Scrittura che dice: Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio». È sconcertante, invece, il secondo testimone di una fede operosa: «Così anche Raab, la prostituta, non fu forse giustificata per le opere, perché aveva dato ospitalità agli esploratori e li aveva fatti ripartire per un’altra strada?». Il Signore è davvero imprevedibile e ci fa proporre insegnamenti anche da chi non ce l’aspettiamo! Sulla scia della sorpresa dell’esempio di Raab si colloca anche il quadro di Caravaggio, pittore anticonformista e geniale. La presenza di molti personaggi che svolgono varie azioni dà l’impressione di trovarsi in un animato vicolo della nostra città. L’artista riesce, su una sola tela, a raffigurare le 7 opere di misericordia corporale.
Guardiamole rapidamente in dettaglio:
– Seppellire i morti. In basso a destra ci sono dei piedi e, vicino, un diacono con la fiaccola e un portatore.
– Visitare i carcerati e Dar da mangiare agli affamati. Sono raffigurati a destra, in un unico episodio: una donna che nutre con il suo latte un uomo in carcere, che ricorda un generale ateniese, Cimone, condannato a morire di fame in prigione, e che fu nutrito dalla figlia.
– Vestire i nudi e Curare gli infermi. Sulla sinistra, un giovane cavaliere dona un mantello a un uomo, ritratto di spalle, e si prende cura di uno storpio: si tratta di episodi della vita di san Martino.
– Dar da bere agli assetati. È rappresentato da un uomo che beve da una mascella d’asino, che corrisponde a Sansone, il quale, nel deserto, bevve l’acqua fatta sgorgare miracolosamente dal Signore.
– Ospitare i pellegrini. Un uomo che accoglie un altro, identificato con la conchiglia sul cappello, che portavano i pellegrini a san Giacomo di Compostella.
Le opere di misericordia offrono esempi di come un cristiano possa mettersi al servizio dei suoi fratelli. Egli può compierle perché sostenuto dalla grazia divina e dalla fede, come dice Giacomo nella Lettera. Con il suo linguaggio artistico lo dice pure Caravaggio, che dipinge in alto la Madonna con il Bambino Gesù e due angeli.
Essi vogliono dire che la Chiesa desidera promuovere la carità, la quale può santificare chi la compie, com’è stato per san Martino. Alle classiche opere di misericordia oggi se ne affiancano altre, perché molte e diverse sono le povertà con cui quotidianamente ci si deve confrontare.
Tuttavia, non dobbiamo perdere lo sguardo d’insieme, che consiste sempre nel perseguire il “bene comune”. Confido di nutrire la grande speranza che tutti voi vogliate “in car –
nare” questo spirito di fede operosa nella carità, soprattutto a co min ciare da questo Natale, ormai imminente. Gesù, come pellegrino che viene dall’eternità, assunse la carne umana e non fu accolto da al tri se non dalle tenere braccia di Maria e dalle paterne cure di Giusep pe. Per noi ogni povero ha il volto di Gesù e non può essere lasciato solo. Permettetemi, allora, di concludere con quanto ho scritto nella Lettera pastorale: «Per noi cristiani, pertanto, il luogo dove in con trare Dio non è solo il tempio, segno di trascendenza, ma anche dove c’è l’uo mo. Casa di Dio è, quindi, anche la scuola, dove l’uomo impara a cre scere e ad aprirsi al futuro; è l’ospedale, dove è curato nel la sua fra gilità; è il carcere, dove viene riabilitato se ha sbagliato; è la fabbrica, dove, con il suo lavoro, offre il proprio contributo allo svi luppo della comunità umana. È la vita intera lo spazio dove il Dio del la salvezza viene incontro all’uomo e questi impara a corrispon der gli».
– Seppellire i morti. In basso a destra ci sono dei piedi e, vicino, un diacono con la fiaccola e un portatore.
– Visitare i carcerati e Dar da mangiare agli affamati. Sono raffigurati a destra, in un unico episodio: una donna che nutre con il suo latte un uomo in carcere, che ricorda un generale ateniese, Cimone, condannato a morire di fame in prigione, e che fu nutrito dalla figlia.
– Vestire i nudi e Curare gli infermi. Sulla sinistra, un giovane cavaliere dona un mantello a un uomo, ritratto di spalle, e si prende cura di uno storpio: si tratta di episodi della vita di san Martino.
– Dar da bere agli assetati. È rappresentato da un uomo che beve da una mascella d’asino, che corrisponde a Sansone, il quale, nel deserto, bevve l’acqua fatta sgorgare miracolosamente dal Signore.
– Ospitare i pellegrini. Un uomo che accoglie un altro, identificato con la conchiglia sul cappello, che portavano i pellegrini a san Giacomo di Compostella.
Le opere di misericordia offrono esempi di come un cristiano possa mettersi al servizio dei suoi fratelli. Egli può compierle perché sostenuto dalla grazia divina e dalla fede, come dice Giacomo nella Lettera. Con il suo linguaggio artistico lo dice pure Caravaggio, che dipinge in alto la Madonna con il Bambino Gesù e due angeli.
Essi vogliono dire che la Chiesa desidera promuovere la carità, la quale può santificare chi la compie, com’è stato per san Martino. Alle classiche opere di misericordia oggi se ne affiancano altre, perché molte e diverse sono le povertà con cui quotidianamente ci si deve confrontare.
Tuttavia, non dobbiamo perdere lo sguardo d’insieme, che consiste sempre nel perseguire il “bene comune”. Confido di nutrire la grande speranza che tutti voi vogliate “in car –
nare” questo spirito di fede operosa nella carità, soprattutto a co min ciare da questo Natale, ormai imminente. Gesù, come pellegrino che viene dall’eternità, assunse la carne umana e non fu accolto da al tri se non dalle tenere braccia di Maria e dalle paterne cure di Giusep pe. Per noi ogni povero ha il volto di Gesù e non può essere lasciato solo. Permettetemi, allora, di concludere con quanto ho scritto nella Lettera pastorale: «Per noi cristiani, pertanto, il luogo dove in con trare Dio non è solo il tempio, segno di trascendenza, ma anche dove c’è l’uo mo. Casa di Dio è, quindi, anche la scuola, dove l’uomo impara a cre scere e ad aprirsi al futuro; è l’ospedale, dove è curato nel la sua fra gilità; è il carcere, dove viene riabilitato se ha sbagliato; è la fabbrica, dove, con il suo lavoro, offre il proprio contributo allo svi luppo della comunità umana. È la vita intera lo spazio dove il Dio del la salvezza viene incontro all’uomo e questi impara a corrispon der gli».
Auguri di Santo Natale a tutti!
* Arcivescovo Metropolita di Napoli