Cari Confratelli nellEpiscopato e nel Presbiterato,
Distinte Autorità, civili e militari,
Cari fratelli e sorelle,
provenienti anche da diverse regioni dItalia e del mondo,
Celebrate con me il Signore, esultiamo insieme il suo nome (Sal 33).
È lesortazione che ci rivolge il Salmista in questa solenne celebrazione nella quale, ancora una volta, il Signore ci ha mostrato la sua benevolenza, permettendo lo scioglimento del sangue del nostro Protettore, il martire Gennaro.
Questo evento illumina il volto della Chiesa di Napoli, la quale esprime gioia, gratitudine e riconoscenza al Padre di misericordia per aver posto a protezione del nostro cammino il santo Martire che ha effuso il suo sangue e continua a farlo come segno del suo amore senza fine e senza tramonto per la città.
Il martirio è il sigillo estremo che lega Napoli al suo patrono. Il Simbolo del sangue, infatti, esprime a fondo questa forma di appartenenza totale e definitiva, un vincolo quasi “carnale” che rende familiare, in tutte le case e a tutte le generazioni, la figura di un santo per sempre votato alla sua gente. San Gennaro, possiamo dire, non è parte di Napoli, ma è Napoli stessa: è la sua anima; è la sua cultura; è la sua forza, espressa attraverso una devozione che alimenta speranza. Il prodigio, per il quale oggi esultiamo, è un segno che, pur rinnovandosi da secoli, è sempre nuovo, perché non è mai fuori dal tempo il messaggio con il quale San Gennaro continua a parlare a tutti noi, suoi eredi di sangue, associati ai benefici del suo martirio, che non finirà mai di purificare e rendere feconda la sua Chiesa.
Possiamo ben dire di essere nelle mani e, soprattutto, nel cuore di San Gennaro. Si tratta, però, di un affidamento esigente che richiede innanzitutto un’adesione convinta, responsabile, impegno nel tradurre nella vita quotidiana il suo insegnamento di amore a Cristo e alla Chiesa.
Il patrono, infatti, è come l’angelo custode, posto non solo a protezione ma anche a guida dei nostri passi. Egli non sta lontano, ma ci accompagna con il suo sguardo attento e premuroso, pronto a venire in aiuto, per soccorrere e per confortare. Nessuno più di S. Gennaro conosce le nostre esigenze; nessuno più di lui conosce questa nostra città, angolo per angolo, vicolo per vicolo; nessuno più di lui conosce le nostre risorse e le nostre debolezze; i nostri slanci e le nostre miserie; le nostre speranze e le nostre paure.
San Gennaro è il santo di tutti i nostri santi giorni, anche perché un santo a Napoli ha sempre da fare, è sempre indaffarato, perché questa città non finisce mai di soffrire e non si finisce mai di amarla, costringendoci a volerle bene, anche quando il fiume dei sentimenti sembra aprire altre sponde.
La festività di San Gennaro, per il momento in cui cade, ossia per la coincidenza con l’apertura di un nuovo anno pastorale, quasi impone una riflessione collettiva, e a voce alta, di fronte agli impegni che la città si trova ad affrontare nel processo di “ripresa”.
Per questo, nei giorni scorsi, ho pubblicato la lettera pastorale Per amore del mio popolo
non tacerò, invitando tutti a corresponsabilizzarsi nella ricerca del bene comune, valore supremo della Chiesa e della società civile. In realtà, già nel dicembre di due anni fa, la Diocesi aveva indetto il Giubileo per Napoli del quale, senza voler fare un bilancio, è largamente riconosciuto l’impatto sconvolgente e coinvolgente che esso ha avuto anche nella realtà sociale. Abbiamo aperto, tutti insieme, le porte di nuove speranze; abbiamo ridestato, tutti insieme, un nuovo clima di fiducia e di impegno nel mettere in campo le grandi risorse di una città, sulla cui storia non è passata nessuna mano in grado di cancellarne i segni. Purtroppo, dobbiamo dire che questo lha pensato, e forse pensa di poterlo fare, la violenza organizzata, spargendo sangue e terrore, e infestando la città con la propria velenosa rete del malaffare e della prepotenza.
Napoli, con il Giubileo, ha dimostrato di avere risorse umane, capacità realizzative ed eccellenze per risorgere e competere, ma ancora è offesa e violentata da nemici senza legge e senza dignità, che contrabbandano le proprie trame di morte addirittura con forme di “protezione”, espressa attraverso lusinghe, danaro e incarichi di lavoro che puzzano di carcere, se non di sangue e di morte. In realtà, queste consorterie del crimine, la camorra e associati della stessa risma, non fanno altro che rubare il futuro a Napoli e, soprattutto, ai suoi giovani.
Non vi è dubbio che proprio la lotta alla violenza organizzata, il cancro maligno annidato sul corpo già martoriato della città, è uno dei motivi e degli obbiettivi ricorrenti e urgenti ogni volta che si guarda allo sviluppo e alle prospettive future. Per andare avanti e costruire un futuro migliore, è evidente che Napoli ha bisogno di venire a capo di tutto ciò che ne ostacola il cammino.
Questo morbo sociale, inquietante, funesto e insidioso per chi vacilla, non avendo occupazione e reddito, richiama un’esigenza persistente e preoccupante, qual è quella del lavoro, la cui mancanza crea una situazione dolorosa e insostenibile per tanta parte della nostra gente. Ci sono tanti, ahimè, che non hanno neppure da mangiare. Le nostre mense registrano sempre più la presenza di intere famiglie colpite dalla povertà. Come possiamo sfamare tanta gente? Come possiamo aiutare i numerosi fratelli e sorelle che bussano alla nostra porta o che si rivolgono ai nostri parroci? Ce lo domandiamo ogni giorno. Cerchiamo di rispondere, nei limiti del possibile, con le nostre risorse e con il concorso generoso di tanti.
La richiesta è enorme ma il problema è a monte e riporta alla mancanza di lavoro e di reddito.
Non abbiamo più bisogno, in questo campo, di consultare le cifre, perché il dramma che esse esprimono lo vediamo riflesso sui volti e nell’animo della nostra gente: la mancanza di lavoro oscura anche gli orizzonti della città; li mortifica, ne accorcia il raggio. Quasi li opacizza, per non dire che li annulla.
Si tratta di un “male antico” di Napoli; ma, quando un dramma si sovrappone all’altro, il rischio è quello della deriva: chiudono le fabbriche, soccombono gli esercizi commerciali, e mentre per i giovani l’occupazione diventa una chimera, anche l’economia del vicolo subisce i contraccolpi di una crisi che viene, certo, da lontano, ma colpisce tuttavia molto da vicino. E a farne le spese non è solo l’economia: il rischio, sempre più allarmante, è che “chiudano” anche molte famiglie. La crisi si insinua e aggrava rapporti che, all’interno di case già non serene, finiscono spesso per portare a disgregazioni e rotture, se non a smarrimenti fuorvianti e a deviazioni. L’estendersi del disagio sociale non è un elemento che appare nei bollettini ufficiali della crisi. Sappiamo ormai tutto dello “spread”, ma a noi tocca andare oltre le cifre, entrare nella realtà concreta delle persone, coglierne le speranze e le attese. Partendo da Cristo e sullesempio di San Gennaro, anche la chiesa non può guardare da lontano il suo popolo ma impegnarsi per il suo benessere sociale e morale. Certamente la Chiesa non ha competenze, ruoli e strumenti per affrontare questioni sociali così gravose; ma ha il dovere di fare della solidarietà una scelta pastorale.
Così, ad esempio, con la Fondazione In nome della Vita e con la Caritas diocesana aiutiamo famiglie, giovani, bambini, mamme sole; forniamo sussidi per consentire la frequenza scolastica e per aiutare i bambini a crescere; abbiamo istituito un fondo per il microcredito a favore dei senzalavoro che intendono realizzare iniziative lavorative autonome; abbiamo messo a disposizione vasti locali di nostra proprietà per realizzare la Cittadella dellArtigianato e siamo impegnati a farla pur tra mille difficoltà. Ancora questanno assegneremo borse di studio per universitari studiosi e bisognosi; abbiamo incoraggiato e condiviso numerose e meritorie iniziative di imprenditori per formare giovani da impegnare in attività marittime e, prossimamente, in attività turistiche.
Sono piccole cose, ma sono il segno di una Chiesa incarnata nella realtà sociale che sente il dovere di concorrere a realizzare il bene comune e di guardare dentro la Città; il che significa, soprattutto oggi, immaginare un futuro diverso e, quindi, delineare, nei limiti del possibile, un progetto la cui materia prima, difficile a trovarsi sul mercato corrente, é la speranza. È la speranza, animata dalle opere di carità, il mattone costitutivo posto da una Chiesa che vuole lasciarsi guidare dalla fede in chi è datore Egli stesso di speranza e dalla conseguente scelta di farsi prossimo a tutti.
Napoli merita di guardare avanti e in alto e non di lasciarsi prendere da visioni non all’altezza della sua dignità.
Nel cantiere di speranza che la Chiesa ha aperto sulla città, le porte sono rimaste da sempre spalancate per tutti: non ci sono guardiani a vigilare gli ingressi.
La buona volontà e il sincero interesse per questa nostra bella e tormentata città sono gli unici “passi” che danno il diritto di accesso e possono aprire il futuro di Napoli fin dove esso rappresenta una preoccupazione comune e condivisa.
Non si può mettere mano in altro modo al futuro della nostra città se non lavorando insieme, allargando l’area già vasta delle nostre collaborazioni; facendo sistema, secondo un’espressione cara al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Su questo piano la Chiesa locale di Napoli non si tirerà mai indietro. Non vogliamo, d’altra parte, che il nostro stesso lavoro possa disperdersi o, peggio, andare sciupato. Con il Giubileo abbiamo aperto le nostre porte, attraversato palmo a palmo un territorio che abbiamo avuto da sempre nel cuore. Vogliamo continuare nel nostro cammino per tenere stretta Napoli in un grande abbraccio di solidarietà.
Nel giorno in cui festeggiamo il nostro Santo patrono, e abbiamo assistito al rinnovarsi del prodigioso scioglimento del suo sangue, la Chiesa di Napoli, in tutte le sue componenti, sente di dover rinnovare il suo patto di amore con Cristo, con la Chiesa, con la città, nella certezza che lo Spirito Santo non farà mancare la sua forza e il suo sostegno.
Affidiamo questi propositi al nostro grande Santo protettore e alla beata Vergine e Madre Maria SS.ma, Regina di Napoli e Stella della nuova Evangelizzazione.
Dio vi benedica e a Maronna caccumpagna!