“Fratelli e sorelle carissimi,
è bello ritrovarci in questa sera, una sera che ha già il sapore della Pasqua e il profumo di una vita nuova, destinata all’eterno e all’infinito. Come eterno e infinito è l’amore di Colui che ci ha convocati intorno alla sua mensa, invitandoci a sedere intorno Lui come amici e compagni.
È una sera come quella di Betania, in cui Gesù sedeva in casa dei suoi amici più intimi, con chi gli voleva bene davvero, con chi – nel buio che già si addensava – gli regalava la consolazione di un’amicizia sincera e disinteressata. Noi siamo qui come allora, come Marta, Maria e Lazzaro, come quei discepoli che trovavano intorno al Maestro il calore di un incontro, la forza di un’amicizia, il coraggio di una fede che resiste. Siamo qui, discepoli, fragili ma innamorati, e portiamo intorno a questa mensa le nostre fatiche e le nostre domande, ma anche il desiderio di ritrovarci come fratelli e sorelle, di sentirci a casa, di ascoltare ancora la Sua voce.
È sera, è notte – come quella che sabato rivivremo e la cui tenebra sarà spazzata via dalla luce del Risorto. È la sera e la notte delle guerre che non trovano tregua, delle ingiustizie che opprimono i più fragili, delle paure che stringono il cuore di troppi uomini e donne. È la sera della nostra città, delle sue strade ferite, dei suoi figli che cercano disperatamente futuro. È la sera della nostra terra, bella eppure spesso calpestata, venduta, tradita. Questa è la nostra sera. Una sera di attesa e di speranza, una sera di mani aperte e di cuore spalancato. Ed è in questa sera che su questa mensa si spezza un Pane che è vita, si pronuncia una Parola che è libertà. È il Signore! Con noi, qui, per noi, a dirci che viene ancora, che viene sempre, con la sua forza liberatrice, con la sua mano pronta a curare ferite, a spezzare catene. Con il suo sguardo capace di accarezzare l’anima ridestando il cuore alla speranza che ci libera, che ci salva, risollevandoci e rimettendoci in cammino.
Vedete, quando Isaia proclama che il Signore ha unto il suo inviato per “portare il lieto annuncio ai poveri” e “fasciare le piaghe dei cuori spezzati”, sta tratteggiando dinanzi a noi il volto di un Dio che non rimane spettatore delle nostre sofferenze, ma che si coinvolge, attraverso gesti di prossimità e opere di liberazione. E quando Giovanni, nell’Apocalisse, ci ricorda che Cristo ci ha fatti come un “regno e sacerdoti per il suo Dio e Padre” ci sta dicendo che non siamo condannati a un destino di oppressione e paura, alla mancanza di significato e di senso, ma che siamo invece chiamati alla dignità e alla libertà dei figli di Dio.
E questa verità che dinamizza la nostra speranza non riguarda soltanto il futuro ma è piuttosto una realtà che già ci trasforma, qui e ora, nello spazio e nel tempo in cui il Signore ci ha posti, nell’oggi della nostra vita. È proprio a quest’oggi che Gesù si riferisce quando, facendo suoi i versi di Isaia, dice: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. La Speranza cristiana, sorelle e fratelli, non è rimandata a tempi migliori, ma ha la concretezza dell’oggi. Dio non promette salvezza per un futuro imprecisato, ma entra nella nostra storia quotidiana.
“Oggi” è la parola più rivoluzionaria del Vangelo, perché ci dice che non dobbiamo aspettare condizioni ideali per vivere da figli di Dio, che non dobbiamo aspettare il futuro per nutrire la nostra sete di salvezza perché la sorgente dell’amore che salva sgorga sempre, ed è presente perfino nei luoghi più impensati e dimenticati dagli uomini.
Sapete, preparando l’omelia di questa sera e pensando ai tempi che viviamo, mi è venuto in mente Don Tonino che, nella sua ultima Messa Crismale, scriveva dei pensieri che credo pur nella diversità degli anni siano molto adatti a questo nostro tempo: “Non sfugge a nessuno che stiamo vivendo «dies amaritudinis» quali ci è sembrato di non vivere mai. Perfino ad attardarsi sulla rievocazione delle violenze si dà l’impressione di essere stancamente ripetitivi. La situazione internazionale, gli eccidi, gli spettacoli della fame ci sfilano davanti agli occhi come grondaie inconsumabili, e si ha la tentazione di pensare a situazioni senza sbocco. (…) Ma oggi è anche il giorno dello Spirito. Senti nell’aria rintocchi arcani di felicità i quali annunciano che non è finita per il nostro vecchio mondo: l’aroma dell’olio misto al balsamo inonderà tra poco il tempio, e dal tempio le strade, e dalle strade le case, e dalle case i campi, il mare, il cielo”.
Popolo di Dio, Chiesa di Napoli, l’olio che a breve benediremo è un simbolo di speranza, un sussurro che ci ricorda che non siamo soli, un balsamo che nutre, lenisce, illumina. L’olio è il segno della speranza che non fa clamore, ma si insinua nelle crepe della vita e le cura. Quando la lampada sembra spegnersi, basta una goccia d’olio perché torni a brillare. Quando le cicatrici si induriscono e le ferite non smettono di far male è l’olio che scioglie la durezza e porta consolazione. Quando il pane è secco, l’olio lo rende morbido e profumato, capace di sfamare ancora. L’olio è il segno di chi non si arrende. E se un giorno dovesse sembrarci che la speranza sia finita, che non c’è più olio nelle nostre mani, ricordiamoci della vedova di Sarepta. Aveva solo un filo d’olio e un pugno di farina, ma l’ha condiviso. E quel poco è bastato. Perché la speranza non è accumulare, ma donare e condividere. Non è avere giare piene, ma continuare a versare.
Sorelle e fratelli, guardiamo al segno di questi oli con fiducia, lasciamo che ci parlino e che parlino alla nostra gente:
L’olio degli infermi è il segno di una speranza ostinata, quella che non si arrende nemmeno davanti alla fragilità del corpo, alla fatica del dolore, alla paura dell’ultimo tratto di strada.
È un olio che non promette magie, non cancella con un colpo di spugna la sofferenza, ma la abita con la tenerezza della prossimità. È vero ci sono ferite che nessun medico può guarire, ma il malato non è una malattia da debellare: è una persona di cui prendersi cura! E quest’olio è segno della consolazione, della forza, della pace che Dio, anche attraverso la comunità che si fa vicina a chi soffre, dona in abbondanza. Così l’olio degli infermi diventa per noi non il gesto di chi si rassegna, ma la forza di chi si fida e si affida.
L’olio dei catecumeni è il segno della forza dell’amore, della resilienza della fede! Con quest’olio si ungono i catecumeni come un tempo si ungevano i lottatori prima della battaglia. Non per renderli invincibili, ma per ricordare loro che non combattono da soli. È che è sempre possibile sfuggire alle morse del male, alle prese della cattiveria, alle mani dell’egoismo. Perché il Signore ci accompagna, la sua grazia è con noi in ogni passo, in ogni caduta, in ogni rialzarci, rendendoci uomini e donne che sanno di non essere soli nel loro cammino, e che per questo possono continuare a sperare, a sognare, a lottare!
E poi c’è l’olio del Crisma, un olio che non solo unge, ma profuma, che consacra! L’olio dei re e dei profeti, dei sacerdoti e dei santi, e quindi di ogni battezzato che, immerso nella vita di Dio, diventa luce per il mondo. Il Crisma non è un olio qualsiasi: è misto a profumo, perché chi lo riceve non può, non deve passare inosservato. Non è il sigillo di un’appartenenza formale, ma il segno di una vita che deve lasciare traccia. Quando unge il capo dei battezzati, dei cresimandi, dei presbiteri, dei vescovi, quel profumo si diffonde. È come se Dio dicesse: d’ora in poi, ovunque andrai, sei chiamato a lasciare traccia, a lasciare il segno della mia presenza!
Chiesa di Napoli, l’unzione che hai ricevuto con il Crisma non la trattenere, donala! Non per restare ferma, ma per partire. Perché il Crisma è l’olio della missione, il segno di chi nel mondo deve essere profumo di Cristo, testimone di una speranza che non appassisce, ma si espande come un aroma buono, capace di cambiare l’aria della vita. E questa è la tua missione, la missione che ti è affidata come comunità dei discepoli, come popolo di Dio, abitato da tanti carismi e ministeri, dalla diversità di ruoli e servizi! E di questa unzione comune, di questa ricchezza poliedrica, vescovi e presbiteri, dobbiamo essere custodi e servi!
Si, cari fratelli vescovi, cari fratelli presbiteri, l’olio del Crisma ci ricorda chi siamo: uomini unti, consacrati per una missione che non ha confini. Quest’olio profumato ci ha segnati nel giorno della nostra ordinazione, ci ha resi pastori, ci ha affidato un popolo. E proprio per questo, dinanzi a questo segno non possiamo che provare gioia e di gratitudine.
Fratelli e figli miei, cari preti della Chiesa di Napoli, è bello vedervi qui, davanti al popolo che vi è affidato, con le mani segnate dal servizio quotidiano, e il cuore plasmato dall’amore che avete per la nostra gente e per il Signore, il Tutto della nostra vita. Conosco la vostra fatica, conosco la vostra dedizione, e so che siete uomini di unzione. E vorrei lo ricordaste anche voi, soprattutto quando la stanchezza vi afferra, la vostra fragilità vi spaventa e l’esperienza del peccato vi scoraggia. Nel ringraziarvi, carissimi presbiteri, vi chiedo però con tutto il mio cuore di continuare a essere uomini che non temono di sporcarsi le mani per ungere le ferite dell’umanità, che non trattengono per sé l’olio della consolazione, ma lo versano con generosità.
Continuate a camminare con la nostra gente, con i fedeli laici, con cui condividete la gioia e l’impegno dell’annuncio. E fatelo come il buon samaritano, che non ha contato le gocce del suo balsamo, ma ha donato tutto per chi era ai margini della strada. Questa sera, tra noi, c’è un segno silenzioso ma vivo di una persona che ha incarnato, anche nella nostra città, proprio questo stile samaritano. C’è il cuore di S. Camillo, il servo degli infermi. Un cuore grande, fisicamente grande, perché abitato da un amore senza misura. Un cuore di carne, che batteva forte per i malati, per gli ultimi, per chi nessuno voleva toccare. Oggi quel cuore è ancora qui, tra noi! E l’augurio che faccio a tutti noi, a tutto il nostro presbiterio, è proprio questo: che il nostro cuore non cessi di battere forte per il Signore, per la gente, lasciandosi afferrare dall’amore per tutti, soprattutto per chi soffre. Quello stesso amore che ha nutrito in sé il Servo di Dio don Agostino Cozzolino, sacerdote della nostra Arcidiocesi, per cui è stato promulgato il decreto di venerabilità lo scorso Lunedì Santo. Che grande dono per la nostra Chiesa! Un dono ma anche una responsabilità: la spiritualità di Don Agostino ha al suo centro la Persona di Gesù Cristo, via, verità e vita al Padre. Il suo essere configurato a Cristo Sommo Sacerdote è stato il suo programma di vita, per cui si è impegnato quotidianamente ad amare tutti con il Cuore di Gesù. La via scelta è stata quella dell’amore, un amore che si è realizzato nell’abbracciare il prossimo, nello spendersi per i fratelli, provando gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Egli ha osservato come l’umanità di Gesù è via maestra per entrare nel vivo della vita degli uomini e delle donne. Ha desiderato essere un uomo dal cuore docile al Signore, e ha dedicato la sua esistenza ai fratelli e alle sorelle in difficoltà.
Fratelli e figli miei, continuate così, con fiducia! Non lasciate che la stanchezza vi spenga, né che il disincanto vi raffreddi. Voi siete il segno vivo della tenerezza di Dio nel mondo. Il vostro servizio sia sempre più profezia di un Dio che non abbandona, che si fa vicino, che unge ogni ferita. Continuate a essere pastori con l’odore delle pecore e il profumo del Crisma, e affinché queste fragranze non vengano mai meno nella nostra vita, rinnoviamo oggi le nostre promesse! E facciamolo con il cuore innamorato, con le mani pronte a benedire, con l’olio pronto a scorrere.
Ungiamo i cuori feriti dalla solitudine, dalle ingiustizie, dalle paure.
Ungiamo le mani che si tendono verso l’alto, in cerca di un aiuto, di una carezza, di un sorriso.
Ungiamo i passi di chi è smarrito, di chi non sa dove andare, di chi ha perso la speranza.
Ungiamo gli occhi di chi non vede più la bellezza del mondo, di chi ha dimenticato la gioia di vivere.
Ungiamo le ferite della terra, martoriata dalla violenza, dall’egoismo, dalla distruzione.
Ungiamo le menti offuscate dall’odio, dalla menzogna, dalla disperazione.
Fratelli e sorelle, diventiamo artigiani di speranza, portatori di consolazione, testimoni di resurrezione. Ungiamo il mondo con l’olio della tenerezza, del perdono, dell’amore.
Vinciamo la paura di sporcarci le mani, di mescolarci alla folla, di abbracciare chi è diverso da noi. Ricordiamoci che siamo tutti fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre, unti con lo stesso olio di speranza.
E tu, Popolo di Dio, non dimenticarti di custodire con amore e vicinanza i tuoi presbiteri, non far mancare loro il tuo sostegno, e insieme a me, quest’oggi, prega per loro, per ciascuno di loro:
Spirito Santo,
vento leggero che accarezzi i solchi della storia,
soffia ancora sulle mani stanche dei tuoi presbiteri,
ungile con l’Olio della Speranza,
perché siano segno di fiducia nel domani,
perché abbiano parole di consolazione
per chi si sente smarrito nel buio delle sere senza stelle.
Spirito di Cristo,
che hai consacrato i loro cuori con il Crisma dell’Amore,
non lasciare che si rassegnino all’ovvio,
non permettere che si adagino sulle rive della prudenza,
ma fa’ che osino,
che sappiano ancora sognare
una Chiesa povera e per i poveri,
una comunità che non teme di sporcarsi le mani
per impastare il Regno con la farina del quotidiano.
Spirito di Dio,
che hai unto i profeti con l’Unzione della Fiducia
sconfinata nel sogno del Padre,
riempi di cielo il cuore dei presbiteri,
fa’ che i loro piedi camminino su sentieri di giustizia,
che le loro labbra sappiano dire parole di pace,
che le loro mani, con generosità, spezzino il Pane della fraternità
e versino il Vino della gioia.
Rendili pastori dal cuore largo,
custodi dell’aurora,
seminatori di speranza,
perché il mondo ha bisogno di uomini
capaci di credere, con audacia e tenacia,
che il Vangelo non è solo un ricordo del passato,
ma una promessa viva, possibile,
che può oggi, nel bel mezzo di quest’inverno
belligerante, che tarda a passare,
far sbocciare la speranza, e donare al mondo intero
la primavera della Pace!
Amen.”