I decanati

Sappiamo, come è emerso anche dal questionario, che oggi la parrocchia si trova ad affrontare pesi e compiti più grandi di lei. Anche la più organizzata delle parrocchie, se è isolata, è incapace di far fronte alla sua natura di mediazione e la sua autosufficienza diventa un limite. Il sacerdote e il laico possono rischiare la solitudine, e questa incomunicabilità potrebbe pesare sulla struttura della intera Chiesa diocesana. Se è vero che la parrocchia è il luogo preferenziale dove la Chiesa locale incarna il suo divenire storico in un determinato territorio, è anche vero che l’ecclesiologia di comunione investe la necessità di provocare un scambio articolato tra diverse realtà parrocchiali, che abbracciano un territorio più ampio. Inoltre, la popolazione dei fedeli della nostra diocesi è tutt’altro che omogenea e tale diversità impone che da un unico sentire pastorale si elaborino progetti diversi destinati ai differenti territori.
È chiaro, quindi, che se l’azione evangelizzatrice della Chiesa deve arrivare alla differenza dei destinatari, bisogna fare in modo che le parrocchie siano aiutate nella loro missione e che la diocesi viva della vita che dal centro arriva alla periferia e dalla periferia al centro. Uno scambio sinergico che presuppone una comunicazione effettiva e indispensabile.
Le strutture intermedie sono la cinghia di trasmissione dal particolare al generale. Il decano deve, dunque, facilitare tale trasmissione tra strutture, mezzi e persone. Una volta rivisto il territorio del decanato, laddove c’è bisogno di una ridefinizione, attribuire al decano una ministerialità più ampia rispetto a quella avuta fino ad ora.
Non solo dovrà essere coordinatore del territorio di riferimento ma, essere garante dell’attuazione del piano pastorale sul proprio territorio. Naturalmente il decanato dovrà essere strutturato in modo da corrispondere a tutte le esigenze del territorio: organizzare la Caritas decanale, il centro di formazione dei laici, un centro amministrativo, ecc.
Un contributo importante a tale lavoro sarà dato dalla necessaria informatizzazione delle parrocchie e dei servizi così che l’informazione, la comunicazione tra centro e periferia, ma anche e soprattutto tra decanati e decanati, parrocchie e parrocchie, avverrà in tempo reale.
Ora credo che la prima cosa da fare sia nominare i decani che, scelti dai presbiteri e da me accettati, avranno un tempo di formazione al loro ministero e propedeutico al lavoro collegiale. Sarà pertanto necessario che il presbiterio scelga il decano che sarà in grado di rispondere al nuovo che lo attende e che sia data al Vescovo una terna di nomi ben ponderata per la sua ultima definizione.
Per quanto riguarda la struttura degli altri consigli di partecipazione, questi non devono essere sterile copia l’uno dell’altro, che non devono fare tutti lo stesso lavoro, ma dovranno servire a rendere più agevole e partecipato il governo della Chiesa e la sua azione di presenza sul territorio.
Il Consiglio pastorale, per esempio, è un organismo programmatico, il collegio dei decani, insieme al consiglio episcopale, è un organismo di governo, mentre il consiglio presbiterale, quasi un senato del Vescovo, dovrebbe avere competenze di controllo e di verifica.
Tutti i consigli sono consultivi e i loro suggerimenti saranno presi in seria considerazione e valutati correttamente.
Se, dunque, è chiaro, che per la successiva definizione dei consigli è necessario che si parta dai decanati, allora è ovvio che risulta indispensabile in questa prospettiva un ripensamento degli organismi di curia, che dovranno essere da un lato al servizio del territorio e di supporto al governo pastorale del Vescovo per l’intera diocesi e, dall’altro, dovranno favorire il dialogo e la comunione con la Chiesa universale.

 

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