Carissimi amici, appartenenti ai Gruppi, Movimenti e Associazioni laicali, vi rivolgo il mio saluto tra queste mura, che ci fanno respirare l’aria delle origini della fede nella nostra città di Napoli, soprattutto perché a pochi metri da noi c’è il Battistero di San Giovanni in Fonte, il più antico dell’Occidente. Esso ci parla della fede di tanti credenti che dalle sue acque sono rinati in Cristo.
A tutti costoro, come a noi oggi, è stata aperta quella “porta della fede” di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli, al versetto 27 del capitolo 14, quando Paolo e Barnaba raccontarono le meraviglie compiute dallo Spirito nella conversione dei pagani. Tale porta della fede, «che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa», come dice Benedetto XVI all’inizio della Lettera apostolica con cui ha indetto l’Anno della fede, dev’essere sempre aperta per consentire a tutti di gustare l’amore di Cristo e di esserne trasformati. È stato questo lo spirito con cui abbiamo celebrato il Giubileo per Napoli, con il quale abbiamo voluto aprire la porta della Chiesa alla città, come si può vedere sulla foto di copertina della mia ultima Lettera pastorale Per amore del mio popolo
non tacerò.
Aprire la porta ha un senso qualora si abbia qualcosa da offrire! E che cosa possiamo offrire alla nostra città se non la consapevolezza di poterne essere l’anima? L’aveva già capito un anonimo scrittore della metà del secondo secolo, autore del bellissimo testo conosciuto come Lettera a Diogneto.
Nel capitolo sesto, egli sviluppa un interessante paragone: «come è l’anima per il corpo, così nel mondo sono i cristiani».
Di tale paragone, riprendo alcune espressioni salienti, che sottopongo alla vostra attenzione.
La prima: «L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra». I cristiani, cioè, non vivono in luoghi separati, bensì in ogni parte del mondo e delle singole città, perché essi sono e si sentono “cittadini” impegnati nelle realtà terrestri, al cui funzionamento concorrono con leale spirito di collaborazione con gli altri uomini. Ancora:
«L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo», perché essi sanno di appartenere a Dio, avendo ricevuto il suo sigillo sulla fronte nel giorno del Battesimo. Infine: «L’anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo», perché «Dio li ha messi in un posto tale che a essi non è lecito abbandonare».
Mi piace sottolineare che la Lettera a Diogneto e il Concilio insistono sul plurale: sono “i cristiani”, è “la Chiesa”, nella sua realtà di popolo, a essere anima della città terrena. Perciò, ogni cristiano, anche se può trovarsi da solo in determinate circostanze, deve sentire la responsabilità di rendere presente l’intera comunità a cui appartiene e di sentirsi sostenuto da essa, soprattutto con la preghiera e la solidarietà.
Egli agisce in nome di quella comunità cristiana che lo ha generato nella fede e lo invia a essere sale della terra e luce del mondo. Ma alcuni si chiedono: Ci si può formare contemporaneamente come buoni cristiani e onesti cittadini? È possibile essere un credente fedele agli insegnamenti della Chiesa e, allo stesso tempo, un cittadino rispettoso delle leggi dello Stato? Occorre ammettere che, ancora oggi, tanti pensano che non sia possibile, benché abbiamo esempi di notevole valore, come quelli ben noti di Alcide De Gasperi e Giorgio La Pira, a cui aggiungerei il giovane magistrato siciliano, il “giudice ragazzino” Rosario Livatino, definito da Giovanni Paolo II «martire della giustizia ed indirettamente della fede». Ci sono, inoltre, tanti altri credenti che, nel silenzio quotidiano e con sacrificio, hanno servito e continuano a servire lo Stato, ossia noi cittadini. Si tratta di testimoni che realizzano concretamente il Vangelo con sollecitudine per il bene comune.
Sulla scorta di tali esempi sono pienamente convinto che sia possibile conciliare fede e cittadinanza.
Come mi sono domandato nella mia Lettera pastorale: «Abbiamo sbagliato noi nel trasmettere una fede monca, bigotta, poco incisiva, per nulla attenta a tanta parte dell’esistenza concreta degli uomini e delle dinamiche della vita sociale?».
Grande affidamento fa la Chiesa tutta su di voi, fedeli laici! Questo auspico, richiamando ancora la Gaudium et spes, quando, al numero 43, afferma: «I laici, che hanno responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a procurare l’animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati anche a essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla comunità umana». Tali parole invitano a rivedere il nostro approccio al mondo e alla nostra città in particolare, nella quale tanta tradizione e tanti monumenti ci parlano della fede antica e profonda del nostro popolo, che ha bisogno di fare, però, un salto di qualità, coltivando, insieme alla semplice devozione, anche una matura sensibilità sociale, in modo da renderlo “autentica anima” e motore della rinascita di Napoli.
Ho fiducia che questo possa avvenire, perché ci sono molte risorse educative che s’impegneranno a vivificare lo spirito del Giubileo. Essere anima della città con la cultura, di cui l’Università continui a rappresentare la punta di diamante.
Essere anima della città con una seria attività politica, al servizio del bene comune.
Essere anima della città con l’impegno costante, personale e comunitario, traendo forza dalla fede in Gesù, che ha detto di se stesso: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato» (Gv 10,9).
Con il Natale, Gesù entra nel mondo per aprirci la porta della Città celeste, la Gerusalemme nuova, alla quale ci auguriamo che Napoli assomigli di più, facendo scomparire quelle “anime distorte”, quali la malavita, il sopruso, la miseria, e facendo risaltare, invece, l’anima della giustizia, della solidarietà e dell’armonia, contemporaneamente alla luce della nostra fede.* Arcivescovo Metropolita di Napoli