I Rifugiati, una comunità sofferente, cui è urgente assicurare certezze assistenziali e un futuro a dimensione umana.

Cardinale Crescenzio Sepe

Nessuno può pensare di eludere o risolvere il problema, girando lo sguardo davanti al dramma che vivono ancora tantissimi rifugiati arrivati a Napoli e nel nostro Paese. Sono persone che hanno lasciato la propria terra e i propri affetti per dare dignità e valore alla propria vita e che si trovano ora a vivere una condizione di incertezza rispetto al proprio destino, reso precario, nebuloso e triste per la mancanza di misure che rendano regolare il loro soggiorno e assicurino loro una indispensabile assistenza, senza gravarli di oneri insopportabili.
Di fronte a questi nostri fratelli, riportandoci alla nostra civiltà, alla nostra cultura e alla nostra storia, abbiamo tutti il dovere di far leva sulla nostra sensibilità umanitaria e la nostra conclamata vocazione all’accoglienza per rendere lievi il disagio e la sofferenza di chi viene da altre terre per riscoprire il senso della vita e della solidarietà tra gli uomini.
La Chiesa di Napoli, fortemente impegnata in questa direzione, attraverso le Parrocchie, la Caritas diocesana e l’Ufficio Migrantes, ha celebrato solennemente la Giornata dedicata agli immigrati, riunendo nella Cattedrale gruppi delle varie etnie presenti a Napoli, vivendo con loro un intenso momento di gioia e di comunione.
In tale circostanza, ho ricordato il viaggio fatto dai Magi generalmente considerati come simbolo dell’uomo che cerca, senza sosta, l’origine e il significato della vita, di chi cioè compie una faticosa scelta per raggiungere la sua realizzazione e l’appagamento del suo desiderio di felicità e di gioia. E a tale riguardo ho sottolineato che la ricerca non va fatta fidandosi solo dei propri mezzi o avendo come meta solo le preoccupazioni di ordine materiale, come purtroppo avviene oggi per molti i quali vivono senza avere una meta, uno scopo. Il loro modo di pensare e di agire è come un girare a vuoto, condizionati da quella frammentarietà, da quella liquidità che non permette loro di avere una pur minima prospettiva di speranza. La loro vita è pervasa da una continua sensazione di vuoto e di fallimento.
Come i Magi, pertanto, occorre essere cercatori di verità e ritrovarci insieme a formare un’unica famiglia umana, senza alcuna distinzione o separazione, perché nessuno deve sentirsi estraneo, ma tutti dobbiamo essere partecipi della stessa vita, della vita della nostra comunità, alla quale ciascuna persona arreca la ricchezza della propria cultura e delle proprie tradizioni religiose.
Un obiettivo assolutamente possibile, che richiede indubbiamente impegno e rispetto da parte di chi si trova a vivere in una realtà diversa dalla propria, ma che, in nome della comune appartenenza alla stessa società umana, impone a chi ha la responsabilità di governo attenzione, disponibilità e concretezza nelle scelte necessarie, per garantire ai nostri fratelli rifugiati un futuro a dimensione umana.

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