Che ci fa un cardinale, scarpe da ginnastica ai piedi, un giubbotto di nylon, cappellino con visiera (rosso, ma rosso vivo e non porpora) e un bastone da scalata cosparso delle tacche con i simboli di vette e rifugi, insieme con una trentina di suoi preti a quasi mille chilometri di distanza e dove il mare – che pure bagna tutta la sua diocesi – è ad altri 1500 metri più sotto? Una fuga per tener lontana, almeno per qualche giorno, una realtà che non si lascia affrontare con le buone?
Una breve pausa per ritemprarsi rispetto a una realtà che reclama non solo risorse, ma energie e forze vive in tutti i sensi? Verrebbe da pensarlo soprattutto dopo che, sotto la visiera e i poco solenni paramenti da montagna, il cardinale che si scorge è quello di Napoli, Crescenzio Sepe, guida pastorale e – nella circostanza – alpina di un gruppo di sacerdoti, anch’essi in tenuta adeguata agli impegni del luogo. Nei boschi di Pietralba, il più importante tra i santuari dell’Alto Adige, trenta chilometri sopra Bolzano, la compagnia potrebb’essere scambiata perfino per qualche squadra in ritiro estivo, seppure il sovrappeso di non pochi componenti tenderebbe ad escluderlo. Ma forse l’immagine può rendere l’idea, perché, in fondo, anche questa è una preparazione. Il torneo da affrontare si preannuncia sempre più difficile e ruota intorno a un nome che in tanti hanno provato a declinare: la «realtà di Napoli», quasi una frase fatta alla quale occorre aggiungere ben poco. Nessuno forse, meglio di questa squadra un po’ speciale, zaino in spalla e breviario a portata di mano, sa che cosa significa e di che cosa è fatto questo impasto talvolta indecifrabile che non si lascia piegare da nessun tipo di analisi. E non è certo il varo di qualche nuova strategia che ha portato fin quassù quella che si potrebbe assimilare a una task-force di rappresentanza, visto che il clero di Napoli, tra sacerdoti diocesani e religiosi, è intorno alle mille unità. Come stare accanto alla propria gente, e far sentire che la chiesa è parte viva della città, non é una lezione che può essere insegnata in un campo estivo. E allora qual è il senso di queste vacanze condivise, quasi un ritorno ai tempi del seminario, con un programma del giorno comunicato sommariamente a cena e messo a punto normalmente a colazione? Unico punto fermo la concelebrazione della Messa alle otto, nel santuario, con la recita delle lodi. Per i Vespri, il rosario e la compieta i luoghi variano e, quando è necessario, tocca utilizzare il microfono del pullman che porta, quasi ogni giorno, la comitiva a esplorare in lungo e in largo tutte le valli dell’Alto Adige. Sono tre anni, da quando a Napoli è arrivato il cardinale Sepe, che la storia si ripete e pone al centro soprattutto il gruppo dei sacerdoti più giovani, o addirittura i neo-ordinati per i quali le vacanze al santuario di Pietralba, insieme con l’ordinario diocesano costituiscono una specie di rodaggio pastorale. Il Vesuvio è lontano – per chilometri e per cultura- ma uno sguardo d’orizzonte, nel caso di Napoli, lascia vedere più a fondo anche la profondità. È dunque in questi luoghi, durante i giorni di questo specialissimo romitaggio, che i problemi, grandi e piccoli di Napoli – della città non meno della diocesi – si fanno vivi e presenti in modo tutto particolare. Può avvenire nelle intenzioni di preghiere della Messa, così come nel corso dell’udienza volante che il giovane prete chiede al suo vescovo, semplicemente sedendosi accanto nel posto lasciato libero sul pullman, o anche affiancandolo nella passeggiata tra i boschi, tra un’occhiata ai funghi o alle fragole che spuntano, come macchioline di rosso, dalla folta vegetazione. E in luoghi come questi, diventa facile sentir parlare dei lavori della «casa di Tonia» – la struttura di accoglienza per le ragazze-madri della diocesi, o del progetto di adozione di un detenuto; della ricorrenza di San Gennaro o della festa di Piedigrotta; ma anche del tetto della chiesa che ha bisogno di lavori urgenti e della casa canonica dove, quando piove, l’acqua finisce sul pavimento. Anche la questione meridionale e le gabbie salariali, spinte dal vento dell’attualità, entrano nell’agenda di un tempo che definire di «vacanza» è un po’ una forzatura. Non che manchino gli spazi di vero e proprio riposo: a cominciare dal senso di quiete che rimanda un panorama di una bellezza quasi irritante, con ogni filo d’erba al posto giusto e dove perfino case e villaggi sembrano posti ad ornamento di vallate che, ai piedi dei massicci, ostentano il loro splendore. Per contrasto anche questo è un modo per aguzzare, da quassù, la vista sulle bellezze nascoste di cui Napoli è piena. E accade che mai tanti luoghi, un po dimenticati dal vivo, vengano alla ribalta nei discorsi e nei racconti che i preti della città si scambiano in questo loro così particolare campo estivo. Ma l’importante è altro. Avere accanto il proprio pastore, per i giovani preti, significa poter contare su un ascolto che non viene mai meno, e fare in modo che, dal fronte ecclesiale, la realtà-Napoli resti sempre viva e presente. Un ascolto che, talvolta, è soggetto a un cambio di tono: quando a sera le parole lasciano spazio al canto, e basta l’accordo di una chitarra per passare in rassegna, alla men peggio come può fare un’allegra comitiva in vacanza, tutto il repertorio della canzone napoletana. Neppure il cardinale si sottrae alle strofe di «O sole mio». Ma gli applausi che piovono (talvolta insieme a reali scrosci d’acqua) sembrano molto di circostanza… La chitarra, domani servirà – con maggiore profitto – ad accompagnare i canti della Messa del mattino.
Angelo Scelzo
Fonte: Il Mattino