“Il dolore è la casa comune. Cerchiamo giustizia.”

Un monito all'impegno e alla speranza nelle parole di introduzione alla Santa Messa celebrata da Don Mimmo Battaglia per i defunti dei loculi crollati al Cimitero di Poggioreale

Ecco il testo pronunciato dall’ Arcivescovo:

“Siamo riuniti nel nome di Gesù, perché vogliamo celebrare la vita. Vogliamo pregare, perché il Signore della vita custodisca nelle sue mani provvidenziali tutti i nostri cari defunti. Un fatto increscioso, accaduto nel cimitero di Poggioreale, ci fa scoprire la nostra nudità, la povertà dell’essere umano. Ci fa scoprire anche il nostro essere fratelli gli uni degli altri. Il dolore è la casa comune in cui ci troviamo. Quando accadono situazioni spiacevoli, ci accorgiamo che abbiamo bisogno di prenderci cura gli uni degli altri. Allora seppellire i morti non riguarda solo la pietà religiosa di un popolo, ma il senso civile dello stare insieme.

Vi è una storia nell’Antico Testamento che mi fa sempre molto pensare e che riguardava due uomini: un vecchio ed un giovane, un padre ed un figlio: Tobi e Tobia. Questi due, stranieri in terre lontane, dinanzi ad un potere che affama i poveri e che nega i diritti più elementari alla gente, hanno il coraggio di soccorrere chi sta in difficoltà; hanno il coraggio di dare una degna sepoltura ai poveri che non hanno mezzi e a quelli che erano lasciati lungo il ciglio della strada. Hanno pietà di quei corpi senza nomi che il tempo avrebbe consumato. Non importava a loro chi fossero stati quei morti o a quale estrazione sociale appartenessero o quanta ricchezza avessero accumulato in vita, ma importava la pietà da rivolgere a quei corpi senza identità.

Il loro grande merito è quello di aver creduto che il senso civico non è privilegio di un solo popolo, ma è qualcosa che accomuna tutto il genere umano. Lo stare insieme avendo rispetto anche dei resti mortali riguarda il vecchio come il giovane, riguarda chi ha qualcosa e chi non ha niente. Ci riguarda, perché quelle spoglie senza nomi possono essere mio fratello, mia sorella, mio padre, mia madre. Tobi e Tobia non hanno età, perché tutti sono chiamati ad assumersi la responsabilità di seppellire i morti, perché ci appartengono. Tutti sono chiamati ad avere coraggio nel denunciare l’ingiustizia che miete vittime, che deforma la legge civile della convivenza in accaparramento di denaro a danno di chi non ha voce e non riesce più a ribellarsi.

Questi uomini del passato, ma che sono di esempio anche oggi, insegnano ad avere cura dei propri defunti, anzi di tutti i defunti, anche di quelli di cui non si conosce il nome. Questo si chiama rispetto per tutto ciò che è vita dal suo nascere al suo tramonto. Rispetto!! Il rispetto è la cifra della civiltà di un popolo; è il grado più alto di vita spirituale per chi si rivolge al Dio dei viventi.

Il rispetto richiama non solo la dignità di chi è morto, ma anche quella delle famiglie accomunate dallo stesso dolore. Non sono solo ossa senza nomi, ma quei resti rimandano a storie, a volti. Raccontano le vicende di famiglie che si ritrovano dinanzi ai loculi per far memoria della propria storia, delle proprie vicende di vita. Si ha il dovere di seppellire degnamente quei resti, perché sono storie di sacrifici. Si ha il dovere di dare risposte, chiedendo giustizia e pietà per chi non abbiamo saputo proteggere nel sonno della morte. Quei resti sono la memoria del nostro passato. Quelle tombe non sono monumenti lasciati al tempo, ma sono presenza di grandi e di piccoli, di uomini e donne che ancora oggi ci narrano l’amore che hanno avuto per i loro familiari.

Il rispetto genera la cura, una cura continua e constante dei luoghi e delle persone che ogni giorno affollano i cimiteri per continuare un dialogo tra la vita e la morte. Nei cimiteri si sosta in silenzio e preghiera, perché sono luoghi di speranza. Sì, il cimitero è uno spazio di preghiera che fa guardare al futuro del genere umano; fa sperare, perché la morte non è l’ultima parola detta, ma è preludio della comunione eterna tra chi abbiamo amato e noi che continuiamo il nostro pellegrinare nel tempo.

Noi, napoletani, abbiamo una particolare cura per i nostri defunti; abbiamo un senso profondo della vita, custodendone le spoglie dei nostri cari. Sento forte il dolore di ciascuno di voi; vi sto vicino, perché aver cura significa farsi compagno di viaggio nella buona e nella attiva sorte. L’essere fratello gli uni degli altri dà forza nei momenti bui e tristi della vita; lenisce il dolore; fascia le ferite. Ci rende più forti dinanzi alla nostra natura fragile.

Avere cura degli altri comporta anche un aver cura dei nostri territori degradati. Quando la nostra attenzione è posta sulla vita, allora viene spontaneo guardarci attorno e osservare che stiamo trascurando proprio il nostro territorio corroso dall’incuria del tempo e da scelte non sempre corrispondenti alle reali esigenze delle città. Non sono cose diverse la cura per i nostri fratelli defunti e l’attenzione alla terra che si ribella quando viene maltrattata. Papa Francesco ci insegna che c’è una nuova opera di misericordia corporale, quella della cura della casa comune. Accanto e proseguendo con le opere di misericordia corporale, vi è la stima per il nostro territorio; l’amore per la nostra amata terra che non può essere sfruttata e fatta oggetto di operazioni dei malavitosi.

Siamo chiamati tutti insieme a reagire ad uno stato di torpore civile, a dare segni di speranza per i nostri figli, perché possano incamminarsi con sicurezza nei cammini della vita. Ci assistano in questo sforzo comune i nostri cari fedeli defunti che con la loro presenza silenziosa ci spingono a guardare in avanti, facendo tesoro della loro grande esperienza. Curare il nostro territorio significa aver cura gli uni degli altri, perché si possa preparare una terra da benedire per le prossime generazioni di figli.

Non possiamo dimenticare il fatto accaduto; non possiamo tacere le conseguenze che ha avuto e non possiamo coprirne le responsabilità. La vicinanza sta proprio nel ricercare la verità e difenderla; sta nel promuovere una collaborazione reciproca, in cui la fraternità si respira nell’accoglienza delle necessità di chi ha avuto una doppia perdita: la morte e lo scempio dei resti mortali. Accomunati dallo stesso dolore cerchiamo giustizia, perché non accada più una situazione simile. Abbiamo bisogno di creare luoghi sicuri, in cui possiamo piangere senza avere la paura di crolli. Abbiamo bisogno di dare dignità alle tombe, di tutte le tombe.”

condividi su