Il ministero della fede è nelle nostre mani

Lettera dell'Arcivescovo ai Presbiteri per il Giovedì Santo

La grande Solennità del Giovedì santo, giorno della nascita del nostro sacerdozio ministeriale, mi offre la gioiosa occasione, come già negli anni passati, di rivolgermi a voi per vivere insieme questo sacramentale anniversario e assaporare la bellezza e la grandezza del “Mysterium fidei” che ci unisce a Cristo sacerdote e fa di noi i continuatori del suo ministero di salvezza.
A voi, diletti fratelli nel sacerdozio, a me sempre cari, il mio ringraziamento per la testimonianza di fede e di carità che rendete quotidianamente nell’esercizio del vostro ministero pastorale, spesso difficile e doloroso, ma sempre gioioso. Nelle Comunità a voi affidate, voi, con la vostra generosità, incarnate l’icona del Signore Buon Pastore (cfr. Gv 10, 1-18) che dona la vita per il suo gregge, attingendo forza dall’Eucaristia, la sorgente inesauribile, il “Mysterium fidei” che ogni giorno celebriamo.
Nel giorno dell’Ordinazione, noi tutti fummo orientati a fare dell’Eucaristia il cuore della nostra esistenza sacerdotale. Il Vescovo, nel consegnarci il pane e il vino, ci esortò: «Ricevi le offerte del popolo santo per il Sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore».
In quel giorno indimenticabile, ci fu affidato anche il ministero della presidenza liturgica, che trova il suo culmine nella celebrazione eucaristica, segnandoci l’itinerario di santificazione, rendimento di grazie, lode, adorazione e dono della vita con Cristo. Afferrati dalla totalità del mistero eucaristico possiamo gridare con l’Apostolo Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e non vivo più io ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).Mistero della fede
Ogni giorno, carissimi fratelli, nel cuore della Preghiera eucaristica, dove la Parola si fa sacramento, invitiamo l’assemblea liturgica ad acclamare il Signore Crocifisso Risorto presente nei segni del Pane e del Vino.
Professando il Mistero della fede (cfr. 1 Tm 319), la comunità radunata viene direttamente coinvolta nell’avvenimento centrale della celebrazione eucaristica.
È la Chiesa che professa la sua fede nel Signore presente, veramente, realmente, nella pienezza della sua umanità e divinità, riconoscendo la presenza del Signore, morto, risorto e atteso alla fine dei tempi.
L’acclamazione dell’assemblea liturgica è la solenne dichiarazione di fede sul mistero eucaristico, cuore della fede cristiana e sintesi del mistero pasquale di Cristo, come ci insegna l’Apostolo Paolo nella prima Lettera ai Corinzi:
«Fratelli, a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici»
(15, 3-5).
Questo sublime mistero celebrato è posto nelle nostre mani per essere donato, ma prima ancora, per essere contemplato e adorato. Noi sacerdoti, difatti, siamo anzitutto i contemplativi dell’Eucaristia, plasmati dal mistero celebrato su cui è fondata la nostra missione sacerdotale. Per questo l’Eucaristia ci appartiene e in essa troviamo le ragioni del nostro essere sacerdoti per la Chiesa e per il mondo.
Nella celebrazione eucaristica, le nostre mani, povere, talvolta non del tutto pure, si riempiono di Dio. Lo stupore è grande, la gioia non ha confini:
spezziamo il pane per tutte le fami del mondo, anzi per la stessa vita del mondo (Gv 6, 51).
Come pastori, infatti, siamo impegnati ad educare il nostro popolo, a celebrare e vivere l’Eucaristia nello spirito della carità e della solidarietà. Il mistero della fede diventa vita, giacché Eucaristia e carità sono inseparabili:
«Amore per i poveri e liturgia divina vanno insieme, l’amore per i poveri è liturgia.
I due orizzonti sono presenti in ogni liturgia celebrata e vissuta nella Chiesa che, per sua natura, si oppone alla separazione tra il culto e la vita, tra la fede e le opere, tra la preghiera e la carità per i fratelli» (Benedetto XVI, “Un cammino sotto la guida dell’Apostolo Paolo nel bimillenario della nascita” p. 44).
È nella comprensione dell’amore per i poveri come liturgia che San Giovanni Crisostomo ha predicato con parresia contro lo sfarzo delle vesti dei ministri, richiamando la sua comunità a non separare mai l’onore dato a Cristo nella divina liturgia e l’onore da riservare ai poveri, icone vive del Signore, sino ad affermare: «Ogni volta che vedete un povero ricordatevi che sotto i vostri occhi avete un altare» (Commento alla seconda lettera ai Corinti 20, 3. Cfr. anche il celebre passo che leggiamo nella Liturgia delle Ore. Sabato XXI settimana del Tempo Ordinario).Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi
Il presbitero è, per sua natura, uomo di fede e pastore infaticabile del Vangelo. Il primato della fede, pertanto, deve animare l’azione pastorale in ogni sua espressione e manifestazione.
Siamo testimoni di Gesù Cristo, il Crocifisso-Risorto, che ogni giorno ci affida la missione di andare là dove gli uomini vivono, credono e sperano. Ma sappiamo che anche per noi sacerdoti il cammino nella fede non sempre è agevole. La sacra Ordinazione non ci ha resi immuni dalla difficoltà che è propria di ogni battezzato. Come gli antichi patriarchi, i profeti e gli apostoli, siamo chiamati a progredire nella fede.
È lo stesso cammino che hanno percorso gli Apostoli. Un cammino segnato anche da sconfitte: come non ricordare il tradimento di Pietro (cfr. Gv 18, 15-22) e il suo pianto amaro allorché, incrociando lo sguardo di Gesù, si ricordò le parole del Maestro. Il pianto di Pietro è il battesimo delle lacrime che prepara l’Apostolo alla triplice chiamata d’amore sul mare di Tiberiade (cfr. Gv 21, 1-23).
Lo stesso cammino devono intraprendere tutti gli altri discepoli: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24, 26). Tommaso è incredulo, sino a quando il Risorto non lo invita ad affondare la mano nelle piaghe e «non essere incredulo, ma credente.
Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto»
(Gv 20, 27-28).
Lo stesso itinerario di fede attende ogni sacerdote. La via sicura è quella proposta dai Vangeli: l’incontro personale con il Crocifisso-Risorto che si offre ai nostri sguardi:
«Guardate, toccatemi: sono io!».
Ogni giorno, nell’ascolto della Parola, nella celebrazione dell’Eucaristia, nella testimonianza della carità, incontriamo il Signore che viene per sostenerci nella nostra missione sacerdotale. La nostra unica meta è la Santità. Oggi è necessario essere sacerdoti santi, come il Beato Vincenzo Romano, San Francesco Saverio Maria Bianchi, San Gaetano Errico e il Venerabile Placido Baccher i quali, pur sperimentando lungo il loro cammino sacerdotale molte prove, ne sono usciti vittoriosi credendo nella parola di Gesù: «Non temere. Ti basta la mia grazia» (Lc 5, 10; 2 Cor 12, 9).
È la grazia che ci fa vincere le prove che, per quanto dolorose, segnano un processo di maturazione della fede. In questo travaglio non siamo soli, ma sostenuti dalla preghiera del Signore: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato. perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 31-32).
Fortificati dalla Sua compagnia, possiamo vivere interiormente di quel frutto di «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza» che ci difende da «inimicizie, discordie, gelosie, dissensi, divisioni, fazioni» (cfr. Gal 5, 20-22). Queste scelte di fede richiedono fatica, fedeltà e fiducia nella Parola di Dio «lampada per i nostri passi» (Sal 119, 105).
Sant’Agostino, uomo di fede e pastore come noi, riassume magistralmente il tutto: «Se da una parte mi spaventa ciò che io sono per voi, dall’altra mi consola ciò che io sono con voi.
Per voi, infatti, io sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello indica il ministero, questo la grazia; quello la minaccia, questa la salvezza» (Discorso 34, 1).Signore, vogliamo vedere Gesù (Gv 12, 21)
La nostra Chiesa diocesana, in comunione con la Chiesa universale, è impegnata a vivere l’Anno della Fede, indetto dal Santo Padre Benedetto XVI, a cui va la nostra grande riconoscenza per aver guidato con coraggio, sapienza e prudenza la barca di Pietro in questi anni turbolenti e burrascosi. Restano indimenticabili la Sua visita pastorale alla nostra Diocesi e il videomessaggio inviatoci a conclusione del Grande Giubileo Diocesano.
Come sapete, l’Anno della fede è stato inaugurato in Duomo con una solenne “Celebratio Verbi”, per ricordare il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e il ventesimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Nel messaggio che, per l’occasione, ho inviato alla Comunità Diocesana (14 settembre 2012), scrivevo che esso dovrà «costituire un momento per educare lo nostra gente ad una fede adulta, consapevole, che non si accontenta dei surrogati, ma che punta diritta al cuore del Vangelo, che chiede conversione e amore nella carità».
Una fede adulta richiede educatori capaci di introdurre gli uomini e le donne di questo nostro tempo all’incontro con il Signore, per iniziare con Lui un dialogo che apre alla conoscenza e all’amicizia, vie per la testimonianza.
Nel recente messaggio, poi, per la Quaresima 2013, ho così descritto il dinamismo che caratterizza il desiderio di Dio e dell’uomo di incontrarsi: «Da una parte, infatti, noi desideriamo ardentemente dialogare con il Padre, sperimentare la sua tenerezza e godere della sua misericordia (cfr. Lc 15, 11-32); dall’altra, il Padre stesso viene a cercare ciascuno di noi, facendosi mendicante nel Figlio, per elemosinare amore, perché l’uomo è l’eterna e struggente passione di Dio (cfr. Lc 15, 11, 10). Attraverso il Figlio Gesù “porta delle pecore” (Gv 10, 7) il Padre fa appello al nostro cuore perché si apra alla grazia, all’incontro e al dialogo. In questa dinamica di ricerca da parte di Dio, vi è il significato della fede come incontro».
È proprio in questa dinamica che voi, cari sacerdoti, giocate un ruolo di grande responsabilità.
Maestri e padri nella fede, voi siete anche guide sicure per quanti desiderano intraprendere un cammino di fede incontro al Signore. È un compito difficile ma gioioso perché siamo accompagnati dallo Spirito del Signore.
È una scelta radicale che ognuno di noi ha fatto, e che si concretizza in quella la carità pastorale che ci unisce a Cristo e ai fratelli rendendo ancora più saldo il vincolo di comunione con il Vescovo e con tutto il presbiterio. Essa diventa carità operosa ogniqualvolta si manifesta come attenzione preferenziale per i poveri: attenzione non esclusiva e non escludente, per tutte le povertà vecchie e nuove presenti nelle nostre comunità. Nel recente messaggio per l’inizio della Quaresima ho sottolineato il rapporto indissolubile che unisce la fede alla carità: «Il cristiano – ho scritto – riconosce nel volto di ogni uomo il Volto del Signore che è il povero, il carcerato, l’ammalato, l’affamato, l’assetato, l’ignudo e il perseguitato per la giustizia» (cfr. Mt 25, 31-46).
La carità pastorale, dunque, ci spinge ad accogliere ogni uomo, solidali con l’umanità sofferente e aperti al grido del Signore «Siate misericordiosi» (Lc 6, 36) divenendo voce critica delle coscienze dinanzi a situazioni di ingiustizia conclamate. Questo significa che il sacerdote si manifesta uomo di fede non solo perché crede in Dio, ma anche perché crede nell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1, 27). La fede che si fa carità, chiede di aprire i nostri orizzonti all’umanità perché sono gli orizzonti sconfinati di Dio che hanno il sapore dell’eternità.
L’Ordinazione ha trasfuso nella nostra vita la stessa passione di Dio per l’umanità, per cui noi tutti, vescovo, presbiteri e diaconi, dovremmo essere «esperti in umanità» (Paolo VI) nella stessa misura in cui siamo «esperti» delle cose di Dio. A questa umanità siamo stati inviati quali educatori nella fede e promotori di una carità operosa. È evidente che noi serviamo l’uomo a partire dalla fede: si diventa presenza profetica dinanzi alle ingiustizie e alle violenze e si annunzia, con parresia, il Vangelo della carità.
Se educatori, siamo anche responsabili della fede del nostro popolo. Tale responsabilità ci è ricordata dalla Lettera Apostolica “Novo Millennio ineunte” del Beato Giovanni Paolo II il quale, commentando il passo evangelico nel quale si racconta della richiesta di alcuni Greci all’apostolo Filippo di poter incontrare Gesù (cfr. Gv 12,21), scrive: «Come quei pellegrini di 2000 anni fa, gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma, in certo senso, di farlo loro “vedere”. Non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio» (n. 16).
Sarà la nostra testimonianza a far “vedere” il Signore ai fratelli desiderosi di crescere nella fede. La carità più grande che gli uomini di questo nostro tempo attendono da noi è che la nostra vita renda credibile il messaggio che ci è stato affidato, un messaggio capace di dare speranza e di aprire l’umanità del terzo millennio per accogliere «i cieli nuovi e la terra nuova» (2 Pt 3, 13).Il Beato Vincenzo Romano:
uomo di fede e pastore instancabile
Nella luce dell’Anno della fede, la nostra Chiesa diocesana ricorderà, il prossimo 17 novembre, il cinquantesimo anniversario della Beatificazione di Vincenzo Romano, sacerdote del nostro presbiterio. Nato a Torre del Greco il 3 giugno 1751, fu ordinato sacerdote nel 1775. Morì il 20 dicembre 1831. Il suo corpo è venerato nella Basilica di Santa Croce a Torre del Greco.
È il primo parroco del clero secolare italiano elevato agli onori degli altari.
Lungo la sua vita, il Beato ebbe relazioni con i Santi che, in quel secolo, illustravano la nostra Chiesa diocesana: Sant’Alfonso de’ Liguori, Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, San Francesco Saverio Maria Bianchi, il Venerabile Placido Baccher e il Venerabile Giovanni Battista Iossa. Un autentico cenacolo di santità nel cuore della Chiesa di Napoli.
Sotto la guida spirituale del Beato Mariano Arciero, apostolo del catechismo, il Beato Vincenzo fu instancabile apostolo della gioventù e dei più poveri.
Negli intervalli di riposo, egli trascorreva il suo tempo dinanzi all’Eucaristia. Nell’eruzione del Vesuvio del 15 giugno 1794, il Beato si fece promotore dell’opera di restaurazione della Città e di assistenza dei senza tetto. Vero educatore del suo popolo, si dedicò personalmente al ministero della catechesi e della liturgia, favorendo la partecipazione attiva dei fedeli alla Messa, con l’istruzione della “Messa pratica”. Devotissimo della Madonna, pubblicò nel 1820 il “Rosario meditato”.
Cari sacerdoti, desidero, in questo Giovedì Santo, riproporre alla nostra considerazione il Beato come modello di vita sacerdotale ed esempio di come la fede si fa carità e l’Eucaristia animi anche la realtà sociale. Nell’omelia della Beatificazione, il Venerabile Paolo VI disse: «Troveremo in lui una carità che si espande fuori del puro esercizio del cultol e si interessa e si affatica per tutti i bisogni umani privi d’altro soccorso: il parroco a nulla è estraneo, tutti conosce, tutti conforta, tutti ammonisce, tutti benefica. Anzi la carità, da individuale, si fa sociale, da spirituale anche professionale ed economica se ciò è richiesto da quel bene delle anime che per un parroco è “suprema lex”.
In questo Giovedì Santo, al nostro confratello Beato affidiamo la nostra Chiesa diocesana, tutti i sacerdoti e il loro infaticabile ministero, nella speranza di contemplarlo quanto prima nella gloria della canonizzazione.
Nel cuore della Madonna santa, Madre del Sommo Sacerdote e Madre nostra amatissima, deponiamo le nostre fatiche apostoliche, le nostre speranze, le nostre gioie e i nostri dolori, perché diventino semi di vita evangelica pronti per dare frutti nel campo vastissimo della nostra bella Chiesa diocesana.
A tutti voi, carissimi fratelli sacerdoti, e alle vostre comunità, auguro una Pasqua gioiosa nella luce radiosa del Crocifisso-Risorto.
Arcivescovo Metropolita di Napoli

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