La chiameranno Via Santa

Prosegue il cammino del Sinodo della Chiesa di Napoli

San Giorgio maggiore e il Centro La Tenda: sono i due luoghi significativi individuati per dare continuità all’impegno dei membri sinodali riuniti nelle prossime assemblee per discutere di due temi che toccano il cuore e l’anima della Chiesa di Napoli: la preghiera liturgica e la presenza religiosa nel territorio diocesano.

Dopo le assemblee presinodali che hanno visto impegnate quasi un migliaio di persone tra religiosi e religiose, parroci e ministranti, coristi e sacristi, si è arrivati a proporre due documenti che hanno il respiro grande della comunità ecclesiale e che saranno discussi nel mese di febbraio. A chi volesse approfondire si rimanda alla lettura dei documenti pubblicati sul sito camminosinodale.chiesadinapoli.it, ma chi non vuole perdersi in una lettura approfondita può provare a leggere questa breve sintesi.

Il documento sulla liturgia porta il titolo “Quale Pastorale Liturgica a Napoli?” e a coordinare il gruppo di studio è stato don Carmine Autorino. Il primo capitolo del documento vuole offrire la cornice storica all’interno della quale si inserisce l’intero discorso sulla pastorale liturgica perché nella conoscenza del percorso svolto negli ultimi cinquant’anni – e in particolare il magistero del card. Ursi intorno ai temi della partecipazione, della comunione e missione come pilastri dell’immagine comunionale di Chiesa tutta ministeriale – si potessero evidenziare le questioni aperte.

Il primo paragrafo, si apre brevemente sulle istanze scaturite dal Concilio Vaticano II, che ruotano intorno ai temi della partecipazione, della comunione e missione. Questi tre pilastri sono la declinazione dell’immagine comunionale di Chiesa che si riscopre impegnata nel servizio e bisognosa di formazione anche nell’ambito liturgico; ed è proprio da qui che si sviluppa il concetto di pastorale liturgica. Un primo quesito si pone circa l’analisi ponderata delle cause che hanno impedito la piena realizzazione delle intuizioni del XXX Sinodo, affinché lo sforzo dell’attuale Sinodo non risulti vano.

Per vivere la sinodalità nella liturgia il documento propone di riscoprire la dimensione ecclesiale come dimensione cristologica, sottolineando che i ministeri nella celebrazione sono servizio alla Chiesa, immagine vivente di Cristo ministro del Padre. Qui il secondo tema: la formazione liturgica è il grande tema e la grande sfida per la Chiesa di questo tempo. Formare alla liturgia significa comprendere gli atti celebrativi ma soprattutto formarsi a essere Chiesa; infatti la vocazione ai ministeri ecclesiali rappresenta una vocazione di servizio ecclesiale al popolo in preghiera. Un problema nasce dal personalismo che si afferma talvolta nel culto, che distrae da Cristo Maestro e Signore. È importante non trascurare l’uniformità e il rispetto del contenuto eucologico e teologico del culto così da creare uniformità e comunione; non creando una situazione di appiattimento, rende possibile vivere la propria dimensione ecclesiale in ogni parte della terra. Altra difficoltà riguarda la sfida dei nuovi linguaggi di comunicazione come categoria antropologica che rappresenta la nuova frontiere dell’educazione e della formazione. Quali iniziative è possibile intraprendere perché la formazione diventi primaria per la ricerca dell’appartenenza ecclesiale? Quali passi sono da compiere affinché i ministeri di ogni ordine e grado sempre più si comprendano come impegno per aiutare a far crescere la comunità? Il riferimento costante alle normative liturgiche può essere lo strumento che coniuga creatività, fedeltà alla storia, incarnazione nel vissuto presente e nella necessità dell’utilizzo ottimale del linguaggio e dei meta-linguaggi della liturgia?

I presbiteri della diocesi hanno posto in evidenza quali debbano essere gli aspetti che la celebrazione liturgica dovrebbe incarnare in modo da poter veramente essere la celebrazione del mistero di Cristo e della Chiesa: un maggiore coinvolgimento delle comunità nel mistero celebrato, con altrettanta attenzione al linguaggio che lo esprime, così che la liturgia possa essere maggiormente al servizio dell’evangelizzazione e dell’annuncio del kerygma, in quanto rappresenta una via privilegiata. È stato evidenziato che la partecipazione all’Eucaristia attraverso i social durante la pandemia, ha comportato per tanti credenti l’abitudine ad adottare questa modalità di partecipazione ritenendola l’unica possibile. Se è vero che la liturgia è epifania della Chiesa, composta da carismi e ministeri (cf. SC, 41), è vero anche che dalla stessa scaturiscono i doni diversi dello Spirito per l’edificazione del corpo di Cristo. Per questo le nostre comunità desiderano che la liturgia sia il luogo e il tempo, che aiuti i partecipanti a crescere nella fraternità e nell’accoglienza reciproca.

Una prassi antica da riprendere in considerazione, così come già indicato dalla Costituzione conciliare, è quella del catecumenato (cf. SC, 64): questa, infatti, se da una parte mette in evidenza più chiaramente l’identità della Chiesa, dall’altra risulta conferire maggior chiarezza al rapporto tra annuncio della Parola e celebrazione del Sacramento. La prassi esclusivamente sacramentale, attualmente ancora perseguita, senza annuncio e senza mistagogia è avvertita come un grave vulnus, di cui la Chiesa dovrebbe liberarsi.

Anche per quanto riguardo l’ascolto dei religiosi e dei fedeli laici, si è potuto constatare come vi sia una discrasia tra il desiderio di riprendere, o talvolta iniziare, un cammino di fede ed una profonda inadeguatezza che nasce da un’assenza di formazione a tutti i livelli, che impedisce una piena e consapevole adesione a ciò che si vive e si celebra; per questo motivo si richiede un piano di formazione che abbracci le diverse realtà presenti nei vari contesti della diocesi.

Spesso si rivendica una comunicazione più innovativa e al passo con i tempi che non trascuri, però, il contenuto del messaggio cristiano che ha il suo fulcro nel mistero di Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza. Tenendo conto di ciò, emerge l’esigenza di una maggiore cura verso la liturgia da parte degli operatori pastorali e, al tempo stesso, un maggiore impegno perché la partecipazione sia veramente attiva e consapevole. Purtroppo molte famiglie, che richiedono per i loro figli l’iniziazione cristiana, non prendono parte alla celebrazione eucaristica domenicale, perciò occorre approfittare di queste occasioni per coinvolgere in maniera più convinta anche le famiglie dei bambini, per rendere il percorso di iniziazione dei fanciulli, anche un percorso di ri-evangelizzazione degli adulti.

La nostra realtà diocesana è anche ricca di pietà popolare, un altro punto di partenza da tenere presente, per un’azione pastorale finalizzata all’annuncio del Vangelo. Infine, un’altra evidenza è l’allontanamento dei giovani dalla liturgia, per cui entra di nuovo in causa il problema del linguaggio, che non riguardi tanto i contenuti dell’evento cristiano, quanto la sua trasmissione. Emerge con forza il desiderio di un maggiore coinvolgimento delle comunità nel mistero celebrato, con altrettanta attenzione al linguaggio che lo esprime in modo tale che la liturgia può essere rappresenta una via privilegiata al servizio dell’evangelizzazione e dell’annuncio. Inoltre, un altro elemento da non sottovalutare nelle comunità parrocchiali è che purtroppo molte famiglie, che richiedono per i loro figli l’iniziazione cristiana, non prendono parte alla celebrazione eucaristica domenicale. Magari sarebbe auspicabile approfittare di queste occasioni per coinvolgere in maniera più convinta anche le famiglie dei bambini, per rendere il percorso di iniziazione dei fanciulli, anche un percorso di ri-evangelizzazione degli adulti. Ci si domanda: come si potrebbe favorire il coinvolgimento di tutta l’assemblea nelle celebrazioni liturgiche?

 

La riflessione riportata nel documento “Vita Consacrata tra memoria, profezia e speranza a Napoli”, non vuole essere esaustiva ma apre a nuove opportunità di pensiero. Il gruppo di studio è stato coordinato da mons. Franco Beneduce, suor Anna Avenia e padre Carmine Mazza dell’Ufficio per la vita consacrata. L’obiettivo che ha accompagnato il lavoro è stato quello di «suscitare curiosità, interrogativi, perplessità, apertura allo Spirito». L’impegno è stato quello di offrire una lettura che riesca, in qualche modo, ad interpellare la Vita Consacrata, non solo, ma anche quella presbiterale e laicale, considerando che all’interno della Chiesa di Napoli tutti hanno un posto e tutti camminano in comunione per l’unica missione.

Durante il cammino sinodale diocesano e, in particolare, nella riflessione sulla Vita Consacrata, è sorta la necessità di produrre un documento che rispecchi la reale presenza delle consacrate e dei consacrati nel nostro territorio, il cui contesto è in continua trasformazione dal punto di vista culturale, economico e sociale. L’analisi attenta e meditata parte da alcune parole chiave: memoria, profezia, speranza, elementi ricorrenti all’interno del documento come punti di riferimento dell’intero lavoro di stesura.

I capitoli vengono introdotti da un richiamo evangelico di “Maria, la prima consacrata e discepola del Figlio” (papa Francesco), dando continuità, armonia e valore teologico al documento Il tentativo di riflettere sulla Vita Consacrata a Napoli apre a nuove prospettive, allarga gli orizzonti, promuove con audacia la bellezza del Dono gratuito. Rende visibile, nella semplicità, l’autentica sequela di Cristo che non è fatta di poteri ma di servizio perseverante alla Chiesa e al popolo di Dio.

Si menziona la donna che, consapevole di non poter ricoprire ruoli sacerdotali, è però invitata a collaborare con i diversi ministeri all’interno delle parrocchie e della curia, con un vantaggio sulla qualità del servizio pastorale.

Si rivede il binomio comunione/missione, realtà che vanno di pari passo; si evidenziano i diversi carismi all’interno della Chiesa che, suscitati dallo Spirito Santo, danno all’unica missione evangelizzatrice una connotazione tutta particolare verso il popolo di Dio. Le sfide che vengono riportate non sono definitive, come anche il documento, ma danno l’avvio a una “nuova riflessione, a nuove prospettive”. Sono finalizzare a produrre linee programmatiche per indirizzare uno stile di sequela conforme al vangelo.

La Vita Consacrata vissuta lungo i secoli all’interno delle comunità o dei monasteri, ha assicurato alla Chiesa la continuità nell’evangelizzare popoli e culture, nell’amministrare i sacramenti, nell’attenzione ai poveri e agli ultimi, nella cura della vita spirituale e della pratica cristiana, nel profetizzare la forza del Regno e delle ultime realtà. Nonostante gli alti e bassi della storia, che ha visto sopprimere o morire Istituti e Congregazioni religiose, i loro membri hanno dato stabilità e sviluppo al proprio carisma, sopravvissuto proprio grazia alla Regola di vita, alla pratica dei voti religiosi, alla vita fraterna e comunitaria, al servizio ai bisognosi.

Nella XXVI Giornata mondiale della Vita Consacrata, Papa Francesco nell’omelia ha detto che oggi affiora “la tentazione di andare indietro, per sicurezza, per paura, per conservare la fede, per conservare il carisma del fondatore”. Ha poi aggiunto che “il Signore non manca di darci segnali per invitarci a coltivare una visione rinnovata della vita consacrata. E come facciamo questo? Lui ci indicherà il cammino. Noi apriamo il cuore, con coraggio, senza paura. Rimettiamo Lui al centro e andiamo avanti con gioia” (2 febbraio 2022).

Il gruppo di studio che ha curato l’estensione del documento sottolinea la volontà, la fiducia, la speranza che ha animato la stesura di questo documento che affidiamo alla Vergine Maria, Madre nostra e Aiuto della Chiesa.

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