Quest’anno è stato contrassegnato dalle celebrazioni del “Giubileo per Napoli”, con le quali ho voluto entrare in contatto con le varie realtà della nostra Città, nella quale si riconosce e s’identifica, in qualche modo, anche la nobile Portici, che stasera ci ospita per il primo dei “Dialoghi” dell’Avvento 2011.
Ci sentiamo un po’ tutti figli di Neápolis, la
“città nuova” che è anche metropoli, cioè “città madre”, vivace, chiassosa soprattutto in prossimità delle feste. Tante volte la vorremmo diversa: più ordinata e disciplinata, più capace di offrire un contesto vivibile, meno martoriata dai suoi antichi mali
Ci sono dei momenti in cui ne prendiamo le distanze, come a dire che siamo “napoletani” ma senza i difetti che ci vengono di solito attribuiti. Ci sentiamo bruciare dentro di sdegno, però, se ascoltiamo i “non napoletani” parlarne male e con disprezzo.
Dall’Avvento 2010 a quello 2011, allora, è stato gettato un seme di speranza, di rinnovamento? Possiamo guardare al futuro con maggiore fiducia? Il punto di partenza della nostra riflessione è, come sempre, la Parola divina. Il Signore, attraverso la bocca del profeta Isaia, fece ascoltare ai cittadini di Gerusalemme, all’incirca 27 secoli fa, delle parole dure che miravano, tuttavia, a preparare un’offerta di perdono e di riconciliazione.
Ancor’oggi fa rabbrividire l’appellativo rivolto ai governanti dell’epoca: “capi di Sodoma”, “capi di Gomorra”. Eppure costoro abitavano nella città santa, che ospitava il tempio di Dio! Quella Gerusalemme che è stata fondata come “città della pace”! Dio è, invece, irrefrenabile e prosegue la sua requisitoria in maniera implacabile: «Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero? [
].
Il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco [
]. Smettete di presentare offerte inutili» (vv. 11.12.13). Egli non vuole essere
“marginalizzato” nella sfera del culto, quasi che si trattasse di accontentarlo e assicurarsene il favore e la benevolenza con sontuose liturgie, mentre il resto della vita degli uomini non lo riguarda. Al contrario, il Signore esige che ci sia corrispondenza tra il culto e la vita, tra la preghiera e la giustizia: «Non posso sopportare delitto e solennità [
]. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue» (vv. 13.15).
In quell’epoca tanto lontana dalla nostra il Signore “denuncia” dei mali ancora attuali: «I tuoi capi sono ribelli e complici di ladri. Tutti sono bramosi di regali e ricercano mance» (v.
23). Sì, cari fratelli e sorelle, il Signore è sinceramente “indignato” di fronte a tali soprusi e lo dice senza ipocrisie e frasi diplomatiche. Ci sono momenti in cui la franchezza è un valore irrinunciabile! Egli, però, non si limita alla pur giusta e sacrosanta indignazione ed esorta, con tono paterno e fermo, a cambiare: «Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia» (vv. 16-17).
Alla vista del Signore c’è una “città dimenticata”, che si compone di orfani e vedove i quali non hanno mezzi per vivere e a cui viene negata giustizia, c’è arricchimento illecito, c’è abuso d’ufficio
Oggi, nella città dimenticata potremmo aggiungere i tanti anziani con pensioni non sufficienti per vivere dignitosamente e i tanti disoccupati che non hanno la soddisfazione di regalare un sorriso di serenità alle proprie famiglie, insieme ai numerosi giovani che partono per terre lontane, perché sembra che la loro città li abbia dimenticati e non sappia che farsene
“Ero malato e non mi avete visitato”: è questo il grido che si eleva dalla nostra città. È l’appello di quelle persone che, anche per effetto di questa crisi che stritola tutti i “deboli”, si sentono ormai da tempo abbandonati in balia di problemi antichi e nuovi. È un grido che squarcia il cuore e interpella alla solidarietà, da intendersi come vero stile dell’azione politica e dei comportamenti sociali. Non dimentichiamo che, proprio in queste zone, da mesi si lotta per la legittima “sopravvivenza” dell’Ospedale Maresca.
Non serve distruggere e non basta indignarsi! Sono convinto che occorra rimboccarsi urgentemente le maniche, perché è in momenti d’emergenza come questi che possono verificarsi cambiamenti – purtroppo sempre rimandati, eppure tanto attesi e auspicati – prodotti da una retta, energica e “sinergica” volontà di operare.
Sono ancor più persuaso, però, che la città, noi in primis, non deve dimenticarsi di se stessa.
Come protestare di essere stati dimenticati, trascurati e volutamente emarginati da occasioni di sviluppo e di crescita civile se ci dimentichiamo di noi stessi e non diventiamo i primi promotori del nostro cambiamento? Se è doveroso richiamare gli altri, è ancor più doveroso ricordare quanto abbiamo bisogno di conversione.
Se volete, possiamo senz’altro affermare che uno degli scopi fondamentali del “Giubileo per Napoli” era proprio quello di dire a tutti, indistintamente: Non dimenticate la vostra città.
Amatela e fatela conoscere per le sue virtù positive che l’hanno resa celebre nel mondo intero! Con questo spirito, alle soglie del tempo di Avvento, vi invito a essere tutti uniti per trasformare la nostra città dimenticata in “città della giustizia” e in “città fedele”, come leggiamo nel versetto 26 del primo capitolo del libro di Isaia.
Con fiducia, attendiamoci l’aiuto di Colui che, morto e risorto nella Gerusalemme terrestre, ci sta preparando una dimora nella Gerusalemme celeste: Gesù Cristo, il nostro
Redentore.