La Costituzione Liturgica Sacrosanctum Concilium

Guardando il secolo XX nel suo insieme, emerge sempre più chiaro come l’evento positivo più importante e decisivo sia stato il Concilio Vaticano II. Esso ha provocato un rinnovamento teologico, spirituale e pastorale molto profondo nella Chiesa cattolica ed ha avuto riflessi positivi anche sulle altre confessioni cristiane e sull’umanità intera.
Il 4 dicembre 1963, il Concilio Vaticano II promulgava la Costituzione “Sacrosanctum Concilium”, la magna charta del rinnovamento liturgico. La Costituzione fu il primo documento conciliare a sostenere, nell’ottobre del 1962, il giudizio dei Padri conciliari, che vi dedicarono 15 Congregazioni generali, approvandola poi quasi all’unanimità con 2147. Nel discorso di chiusura della XX sessione, nel promulgare la Costituzione, il Papa Paolo VI si riferiva in questi termini al lavoro concluso: «Uno dei temi, il primo esaminato ed il primo, in un certo senso, nell’eccellenza intrinseca e nell’importanza per la vita della Chiesa, quello sulla Sacra Liturgia, è stato felicemente concluso ed oggi da noi solennemente promulgato. Esulta l’animo nostro per questo risultato. Noi vi ravvisiamo l’ossequio alla scala dei valori e dei doveri: Dio al primo posto; la preghiera prima nostra obbligazione; la liturgia prima fonte della vita divina a noi comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo dono che noi possiamo fare al popolo di Dio».
La riforma della liturgia doveva dare l’avvio al rinnovamento profondo di tutta la Chiesa. Esiste, infatti, un legame strettissimo e organico tra il rinnovamento della liturgia e il rinnovamento della vita della Chiesa. Cinquanta anni è certamente un tempo ancora breve per raccogliere i frutti abbondanti del passaggio dello Spirito nella Chiesa, possiamo ritenere con la Costituzione che:
«L’interesse per l’incremento e il rinnovamento della liturgia è giustamente considerato come segno del provvidenziale disegno di Dio sul nostro tempo, come un passaggio dello Spirito Santo nella sua Chiesa».
Si direbbe Si direbbe, allora, che la Costituzione è ancora giovane. In questi anni ha superato brillantemente non poche difficoltà, sia per la sua giovinezza, sia per la fortissima carica di novità. Essa è stata come l’affiorare in superficie di una vena d’acqua che ha corso lungamente sotto terra. O, se si vuole, è come il frutto di una pianta che è stata chiamata “movimento liturgico” e le cui radici si affondano parecchio lontano nella storia della cristianità occidentale.
Mi pare anzitutto rilevante e di portata storica il fatto che il Vaticano II abbia dedicato una Costituzione alla liturgia e che ad essa abbia riservato il primo posto.
È un fatto storico in tutta la portata del termine. Nessun Concilio l’aveva mai fatto anche se alcuni avevano toccato, di passaggio, qualche problema liturgico particolare.
Quel 4 dicembre 1963 segna l’atto di nascita di un’era nuova per la Chiesa: era esattamente il quarto centenario dell’ultima sessione del Concilio di Trento. Una svolta importantissima non solo per il rinnovamento liturgico del popolo ma perché in esso viene come consacrato tutto un complesso di fermenti vivi sorti appunto intorno al movimento liturgico e capaci di ridare davvero al volto della Chiesa quella freschezza di lineamenti di cui parla il Beato Papa Giovanni XXIII.
Il movimento liturgico, unitamente al movimento biblico ed ecumenico e la Costituzione liturgica si presentano come due poli di una complessa e fitta rete di idee, istanze, proposte e tentativi di rinnovamento che hanno caratterizzato la stagione liturgica della Chiesa. È certo che il movimento liturgico ha indicato ai fedeli la via per una rinnovata spiritualità attraverso una consapevole e assidua partecipazione alla liturgia.
Naturalmente, l’accesso a questa via maestra, necessita di un retroterra che è la formazione liturgica del clero e dei fedeli che apre alla comprensione dei riti attraverso la catechesi e l’uso della lingua parlata. Istanze non ancora pienamente adempiute.
Certamente il merito più grande della riforma, il primo, è il fatto stesso di esserci stata. Pur con la sua carica di novità, la liturgia del Vaticano II non è una nuova liturgia, come alcuni l’hanno definita, ma è una nuova crescita dell’albero secolare fedele alla Tradizione. L’impressione globale, mi pare, non può essere che positiva, anche se le realtà umane sono sempre perfettibili e la liturgia è “opus Dei” nei suoi contenuti salvifici ma, nelle sue forme esteriori è anche “opus hominis”.
Forse è ancora prematuro azzardare un bilancio dell’opera intrapresa, i cui frutti maturi si potranno cogliere tra qualche generazione, tuttavia è possibile offrire alcune valutazioni alla luce dell’esperienza di questi anni di rinnovamento.

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