La misericordia nella vita e nel ministero del sacerdote

Cari sacerdoti, d’accordo con i suggerimenti ricevuti dal Consiglio Episcopale e dal Collegio dei Decani, ho voluto dedicare questo nostro incontro a un momento di preghiera e di meditazione. In considerazione anche del clima liturgico – pastorale dell’Avvento e per incrementare la nostra vita spirituale, ho scelto di riflettere con voi su un tema che mi sembra particolarmente importante: la Misericordia nella vita e nel ministero del sacerdote.
Premetto che non ho alcuna intenzione di fare una trattazione teologica o solo contenutistica ma, partendo certamente dalla Parola di Dio, esortarvi a calare questa stessa Parola nella quotidianità del nostro ministero sacerdotale.Dio ricco di misericordia
Il tema della Misericordia attraversa, come un “fil rouge”, tutta la Sacra Scrittura perché Dio, fin dall’inizio, si è rivelato come amore misericordioso che, di fronte al peccato dell’uomo, non l’ha condannato per sempre, ma ha promesso di salvarlo e redimerlo, dandogli la possibilità di riacquistare la figliolanza divina. «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 9, 13). Dio vuole, pretende la Misericordia perché è Misericordia da sempre, dall’eterno «eterna è la sua Misericordia». Così il popolo d’Israele ha continuamente fatto esperienza che il Signore è «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore» (Sal 103, 8).
La Misericordia del Padre si è incarnata e rivelata nel suo Figlio: Gesù di Nazareth è la misericordia di Dio in persona. In Gesù c’è la grazia di Dio, c’è tutta la misericordia, perché Lui, in persona, nel suo essere e nel suo agire, è tutta la misericordia di Dio. Questa Misericordia incarnata diventa, per la mentalità di ieri e di oggi, un vero scandalo, un messaggio rivoluzionario, come lo dimostra la predicazione di Gesù, la sua vicinanza ai peccatori, ai poveri, agli afflitti: Dio rivoluziona il suo volto, si auto-dichiara e si mostra «solo misericordia».
Di fatto, il Vangelo, l’insegnamento di Gesù, non è mai “dottrina”, ma sempre un evento che educa alla scoperta (o alla riscoperta) legata alla epifania della misericordia del Padre. Gesù ci educa a credere nel Padre “suo”: se è vero che la misericordia è solo di Dio, di Gesù, essa deve diventare, per partecipazione e per missione, anche “nostra”: va, cioè personalizzata, resa viva e vivificante, incidendo in tutta la nostra vita, nel nostro modo di pensare e di giudicare, nello stile di vita e nelle relazioni umane e sociali.
A fondamento di questa educazione, Gesù pone la “metanoia”, la conversione che ci cambia la vita e ci fa partecipi del suo ministero di misericordia e di salvezza: «O Dio che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua ad effondere su di noi la tua grazia…» (Liturgia delle ore). È la grazia sacramentale che ci è stata donata nel giorno dell’ordinazione sacerdotale, per cui siamo diventati ministri della misericordia, mandati a donare e ad educare alla misericordia di Dio, in modo che tutti diventino misericordiosi, come il Signore: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7).Il presbitero, oggetto e soggetto della Misericordia di Dio
La fonte unica e inesauribile della Misericordia è solo Dio. Cristo l’ha incarnata nella sua persona e nella sua missione. Così la proclamò fin dall’inizio, nella sinagoga di Nazareth, dove presentò il suo programma pastorale, innestandolo nel Vangelo della Misericordia, che è la buona notizia di un Dio misericordioso, benevolo verso tutti gli uomini e ricco d’amore per tutti. «Lo spirito del Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione, mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, proclamare l’anno di misericordia del Signore» (Lc 4, 16ss).
A quanti lo criticavano perché perdonava i peccatori, frequentava la casa degli esclusi, accoglieva le prostitute, dialogava con i pagani, Gesù rispondeva con fermezza, senza lasciare alcuna ombra di dubbio: per questo sono venuto, per guarire e risanare, come fa un medico, chi è malato o ferito; sono  come un compagno di viaggio che si ferma davanti a chi è abbandonato ai margini della strada; come un padre che accoglie e fa festa a chiunque, pentito, ritorna alla casa paterna.
Questo Vangelo della Misericordia ci è stato consegnato nel giorno dell’ordinazione, che ci ha consacrati ministri della misericordia, e siamo stati mandati ad annunziarlo al mondo intero: «Misericordia io voglio e non sacrificio» (Mt 12, 7). Così la misericordia è diventata come il “nervo centrale” di tutto il ministero sacerdotale.
Andate e perdonate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati nel mio nome qui sulla terra, saranno rimessi anche in cielo (cfr. Giovanni). La Misericordia è diventata, così, sacramento che qualifica il nostro essere e il nostro ministero sacerdotale; non quindi una semplice qualità o modalità di agire che possiamo usare a nostro piacimento, quando e come vogliamo.
Siamo, quindi, per volontà del nostro Maestro e Signore,  ontologicamente ministri della Misericordia di Dio; se lo dimenticassimo, o non predicassimo o non mettessimo in pratica questo Suo precetto, saremmo dei cattivi discepoli e correremmo il pericolo di privare il nostro popolo di quella speranza di vita, senza la quale il mondo sarebbe destinato alla catastrofe della disperazione e al caos del nulla.
Desidero sottolineare, solo per inciso, quanto il Vangelo della Misericordia incida profondamente nel processo di umanizzazione degli uomini; senza la pratica della misericordia a ogni livello e in ogni settore della vita umana, si può perdere rovinosamente l’umano dell’uomo. Pensate alle tante e gravissime tragedie causate dall’uomo, alle tante guerre, agli stermini, alle inadempienze volute e razionalizzate che procurano morti e disastri e feriscono mortalmente l’uomo (delitti contro l’umanità). Senza la misericordia non ci sarebbe nessuna possibilità di recupero o di riabilitazione del colpevole, che si pente del male compiuto senza per questo nulla togliere alla giustizia che deve fare il suo corso. (Non è questo il momento di discutere sul delicato problema della pena di morte cha ancora esiste in  molti Stati).
Questo ci fa capire che la Misericordia di Dio non è un sentimento di cui l’uomo si possa rivestire o spogliare ma, come in Dio, così anche nell’uomo è una dimensione che attraversa il suo essere, la sua identità, la sua realtà umana. Capiamo, allora,  perché la misericordia di Dio è, come la sapienza, presente nell’atto creativo dell’uomo. L’uomo nasce al mondo creato nella misericordia e la misericordia è per lui come “un respiro dell’anima”: con la misericordia l’uomo diventa più umano e l’umano splende nella sua grandezza e bellezza. Possiamo dire: per essere veramente umani, bisogna essere misericordiosi!
Ma ritorniamo a noi: avete mai pensato quanto incisiva è la dimensione della Misericordia nella vita della Chiesa, che va oltre il sacramento della riconciliazione che, comunque, rimane il punto più alto e irrinunciabile della Misericordia di Dio verso di noi?
Per fare solo un esempio, tra gli altri: la liturgia come celebrazione della Misericordia. Se è vero che la liturgia è il “luogo privilegiato dell’incontro salvifico di Cristo e manifestazione viva della Chiesa”, allora possiamo chiederci cosa sarebbe la liturgia se non fosse la preghiera della Chiesa che, unita alla preghiera di Cristo, prega la Misericordia del Padre  e la celebra nel sacramento della Riconciliazione, così come Cristo ci ha insegnato  nella sera di Pasqua.  Inoltre, se la liturgia è annuncio della conversione come espressione dell’amore cristiano, allora capiamo anche l’importanza della misericordia nella nostra società, nella quale sembrano smarriti i fondamenti di una visione etica dell’esistenza umana.
Nella liturgia, poi, cogliamo i segni e l’attesa perseverante dell’invocazione del Padre e, attraverso i riti e le preghiere, impariamo a riconciliarci con Dio, nella carità e nella giustizia, attraverso i nostri comportamenti nei riguardi di persone, luoghi, tempi, e attraverso il nostro vivere quotidiano, in modo da contribuire alla edificazione di un mondo riconciliato.
Cari amici sacerdoti, da queste brevi e limitate (si potrebbe parlare della Misericordia in relazione alla carità e alla fede) riflessioni spirituali, dobbiamo prendere maggiore consapevolezza che il nostro ministero è un servizio alla Misericordia di Dio che ci impegna, come presbiteri, non solo ad amministrare il sacramento, ma anche a celebrarlo con la vita e con una rinnovata pastorale della penitenza, sottolineando, nella nostra catechesi, la realtà del peccato in prospettiva personale ed ecclesiale, la dimensione penitenziale tipica della vita cristiana, nonché l’attenzione alla parola di Dio per ben orientare il processo penitenziale che, poi, si prolunga in atteggiamenti e in esercizi della vita cristiana, come, ad esempio, la correzione fraterna, il digiuno, la preghiera, l’elemosina, le veglie, i pellegrinaggi.
Ma c’è un aspetto su cui vorrei richiamare la vostra attenzione: tutti sappiamo che, da un po’ di anni, la pratica del sacramento della riconciliazione è andata scemando fino al punto che in alcune chiese è scomparso finanche il confessionale, una volta segno inconfondibile, come il battistero, della sacramentalità del perdono e della misericordia. Non è questo il momento di analizzare le diverse cause di ordine culturale, sociologiche e religiose del fenomeno. In ogni caso, non è sufficiente limitarsi a dire che la perdita del senso di peccato sta causando danni enormi soprattutto nei giovani, per cui si sta affermando la mentalità che il peccato, il male non  esiste e comunque, se esiste, – così la pensano anche alcuni che si dicono credenti – il peccato è un problema che si risolve direttamente tra il peccatore e Dio, senza alcuna mediazione.
E qui dobbiamo confessare anche una colpa di noi sacerdoti che non abbiamo saputo educare i nostri fedeli con una retta catechesi basata non solo sull’amministrazione, ma anche sulla celebrazione della  misericordia e del perdono. Spesso, anzi, abbiamo tralasciato il gravoso ufficio di confessori, ritenendo più utili altre forme di pastorale perché più soddisfacenti. Così i confessionali sono rimasti vuoti o sono spariti dalle nostre chiese.
Cari amici, dobbiamo ribaltare la tendenza, impegnandoci, come del resto fanno già molti di voi, a dedicare molto più tempo ed energie al ministero del perdono: è un mandato che ci ha dato chiaramente il Signore; ce lo chiede la Chiesa che, per sua costituzione, prolunga e attualizza il Vangelo della Misericordia attraverso il servizio dei suoi ministri; è un diritto dei nostri fedeli che ci supplicano di essere assolti dai loro peccati, ma spesso non trovano chi li ascolti.
Quante volte mi sono sentito dire, ed io stesso ho potuto costatare personalmente, che quando la gente vede che c’è un sacerdote in un confessionale, va volentieri a confessarsi.
Desidero, a questo punto, esprimere tutta la mia riconoscenza di Vescovo a quanti, soprattutto sacerdoti anziani, si stanno dedicando a questo insostituibile ministero della Riconciliazione. Lo hanno fatto i Santi, come Alfonso Maria de’ Liguori, il Curato d’Ars, il Beato Vincenzo Romano e tanti altri; anche oggi nella nostra Diocesi ci sono tanti Santi sacerdoti “confessori”. A questi dico: continuate in questo vostro impegno sacerdotale e il Dio della Misericordia vi ricompenserà abbondantemente!
Ma il sacerdote non è solo ministro, strumento e agente sacramentale della Misericordia di Dio che deve  trasmettere ai fedeli, ricostruendo legami, ponti tra Dio, che va in cerca del peccatore, e il peccatore stesso che, riconoscendo il male commesso, chiede al ministro del perdono di essere riconciliato.
Se ogni cristiano, ogni creatura è chiamata a riconciliarsi con Dio, è soprattutto il sacerdote che ha bisogno di perdono e di misericordia, anche per essere testimone efficace del sacramento che amministra agli altri. È una responsabilità tremenda quella del sacerdote, che dovrebbe assumere uno stile penitenziale, dimostrando disponibilità a riconoscersi peccatore davanti a Dio e ai fratelli, pronto ad accogliere la sua misericordia e, soprattutto, esperto nell’offrirla senza riserve agli altri.
Diversamente corriamo il rischio di cadere nel fariseismo ipocrita, con l’assurda conseguenza che si predica agli altri la misericordia e non la si pratica nella propria vita. Ma questa richiede da noi innanzi tutto una grande  umiltà e fede in Colui che è ricco di misericordia e che non si lascia mai vincere da qualunque peccato che possiamo commettere.
In ciò possiamo essere aiutati da quanto ci narra il Vangelo sulla  reazione di due apostoli, Pietro e Giuda, i quali pur avendo ambedue tradito il Maestro, ebbero un esito totalmente differente, diametralmente opposto: il primo divenne la pietra su cui Gesù edificò la sua Chiesa; l’altro, si suicidò disperato. Eppure ambedue avevano fatto esperienza di un Maestro che usava misericordia con tutti, pubblicani, prostitute, ladri, ciechi, zoppi, lebbrosi; un Maestro che sprigionava misericordia dal suo cuore “mite e umile”. Incrociando lo sguardo di Gesù, Pietro capì quanto amore il Signore continuava ad avere per lui, nonostante il grande peccato commesso. Giuda non ebbe fede nella misericordia e, pur pentendosi, non credette alla misericordia senza limiti e si fece prendere dalla disperazione.
Cari fratelli, sappiamo che l’ordinazione, pur assimilandoci a Cristo e donandoci  la forza dello Spirito, non ha cancellato le debolezze e i limiti della nostra creaturalità. Ci ha donato il potere di agire nel nome di Dio, ma ci ha lasciati nella nostra miseria umana. Anche nel nostro ministero continuiamo ad essere deboli e soggetti alle tentazioni e al peccato.
Siamo tutti peccatori, come ci ha ricordato anche Papa Francesco  e possiamo anche commettere il grave peccato di tradire Cristo e la Chiesa. Come dobbiamo reagire? Mettendoci ai piedi del Crocifisso, guardandolo negli occhi come ha fatto Pietro; scoprire il suo cuore ricco di amore e misericordia per noi, pentirci umilmente del male commesso e chiedere perdono a Dio e, senza timore, domandare ad un confratello sacerdote perchè, a nome di Cristo, ci assolva e ci ridoni la grazia del perdono. «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5, 20).
Se la nostra colpa fosse grave, dobbiamo evitare, a meno che non avessimo la possibilità di confessarci subito, di celebrare i divini misteri; ma anche per le colpe cosiddette leggere, la grazia del sacramento della riconciliazione ci aiuterà a irrobustire la nostra volontà di sacerdoti di  Cristo e aumenterà il nostro amore per Dio e per i fratelli.
Dobbiamo ammettere, come più volte abbiamo detto, che uno dei difetti che, in un certo senso, sembra caratterizzare la nostra vita e il nostro ministero sacerdotale è la mancanza di una vera fraternità, di un’ autentica comunione sacerdotale, di una sincera amicizia tra noi. L’essere parte dello stesso corpo presbiterale, l’avere in comune il dono del sacerdozio, l’esercitare lo stesso ministero e, soprattutto, l’essere assimilati a Cristo con lo stesso vincolo sacramentale, invece di fare di noi fratelli che si amano in Cristo e si aiutano vicendevolmente per il bene delle anime che ci sono state affidate, diventa occasione per dividerci, per ignorarci, per mettere in risalto debolezze del confratello, spesso inventando e propagandando colpe non vere o non dimostrate, arrecando dolori e sofferenze a chi è pur sempre un nostro fratello, al quale siamo uniti non con vincoli di sangue ma con quelli più forti della grazia sacramentale.
Molti sacerdoti mi hanno confessato il loro profondo dolore e amarezza per essere oggetti di maldicenza e di rancore da parte di altri confratelli. Questo modo di agire di alcuni causa, come potete ben immaginare, grave scandalo presso i fedeli, che mostrano una particolare sensibilità al modo di comportarsi dei loro sacerdoti nei riguardi dei confratelli.
Inoltre non posso non accennare al cattivo e grave costume, abbastanza diffuso anche tra noi, delle lettere anonime che spudoratamente vengono inviate a tutti, utilizzando oggi i più moderni mezzi di comunicazione per denigrare, infangare, mettere in cattiva luce i sacerdoti. Lo facessero nemici e anticlericali, si potrebbe capire, benché non si potrebbe giustificare; ma quando sono gli stessi amici e confratelli a commettere queste colpe, allora la colpa è ancora più grave.
È da tempo che Papa Francesco si sta scagliando, con parole forti e chiare, contro chi semina zizzania nella Chiesa e nello stesso mondo ecclesiastico. Il male che si fa e lo scandalo che si procura ha scalfito l’immagine della Chiesa deturpandone il volto e allontanando molti anche fedeli dalla vita della Chiesa.
Ma c’è ancora un altro aspetto importante della misericordia che va sottolineato. Capita, anche tra noi sacerdoti, che non sempre riusciamo a perdonare chi ci fa del male, laico o ecclesiastico che sia. Siamo stati offesi o calunniati e, allora, si reagisce interrompendo tutti i rapporti, fino al punto di togliere il saluto all’offensore, considerandolo un nemico, col proposito di fargliela pagare appena ne avremo l’opportunità. È questo un atteggiamento poco o per niente cristiano e evangelico. Cristo ci ha insegnato a perdonare e a usare misericordia anche con i nostri nemici.
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio o dente per dente”. Io invece vi dico: non resistete al malvagio; anzi se uno ti percuote sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Avete inteso che fu detto: “Amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico”. Io invece vi dico: “Amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano affinchè siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5, 38-39; 43-45).
Amore e perdono: come ho perdonato Io, così perdonate anche voi. È la Legge suprema dell’amore che ci deve spingere a superare tutte le barriere di vendetta o ritorsione e riprendere i rapporti di amicizia e di fraternità, soprattutto tra noi sacerdoti.
La misericordia di Dio ci misura e ci giudica sul metro della misericordia che sapremo usare con gli altri. Certamente il comandamento del perdono  è una legge dura che potrebbe anche farci sanguinare interiormente; ma se guardiamo a Cristo, a quello che Lui ha detto e a quello che ha fatto anche sulla croce, capiremo che la misericordia e il perdono sono l’autentica e unica strada che come cristiani e, soprattutto come sacerdoti, possiamo e dobbiamo percorrere.
«Allora Pietro si fece avanti e gli domandò: Signore quante volte, se il mio fratello peccherà contro di me, dovrò perdonargli? Fino a sette volte? Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18, 21-22). Beati noi se, come il Padre vostro, saremo misericordiosi. Quale esempio di coerenza nella fede e nella carità daremo agli altri quando sapremo perdonare.
Quanti santi hanno saputo perdonare, a imitazione del Signore, ed hanno raggiunto, anche per questo, le grandi vette della santità. Vogliamo essere felici già su questa terra e, domani, nel cielo? Impariamo a chiedere, con umiltà e sincerità, perdono al Dio della misericordia, che ci aspetta sempre per farci rientrare nella sua casa, e impariamo a riconciliarci e a perdonare coloro che ci hanno offesi o ci hanno fatto del male. Solo la logica dell’amore, che non ha confini, potrà farci giungere al cuore di Dio e dei fratelli.
Maria Santissima, Madre della Misericordia, ci insegni ad essere ministri della misericordia testimoniando di essere per primi, bisognosi della infinita misericordia di Dio.
*Arcivescovo Metropolita di Napoli

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