Andate per il mondo e predicate il Vangelo. Questo il comando del Signore. Ma come e a chi si predica il messaggio che Gesù Cristo ci ha lasciato? L’esempio è dato dai quattro Vangeli, scritti per rispondere ad una esigenza particolare perché destinati ciascuno ad una determinata categoria di persone. Ogni evangelista ha scritto tenendo presente le esigenze dei destinatari a cui si riferiva, a testimonianza di come la fede, fin dal primo momento, abbia avuto bisogno di incarnare i gesti e le parole di Cristo in un contesto del tutto particolare. È questo il grande tema dell’inculturazione del Vangelo che ha segnato tutta la storia della Chiesa fin dall’inizio.
La presenza di parole ed espressioni in aramaico pronunciate da Gesù, insieme alla probabilità dell’uso dell’aramaico nella sua terra natale, ci fa pensare senza alcun dubbio che Gesù parlava aramaico e lo usava per il suo ministero. Il fatto che Gesù usasse l’aramaico non prova che egli usò solo questa lingua. Vivendo e svolgendo il suo ministero in un ambiente multiculturale, Gesù può aver impiegato anche altre lingue, cioè l’ebraico e, con molta probabilità, anche il greco, o meglio la “koinè”, la lingua “comunemente” parlata dal popolo. In tale lingua sono stati fissati i Vangeli perché la gente potesse conoscerli meglio, contestualizzandoli a partire dalla cultura e dagli usi dei Paesi evangelizzati. Negli anni, secondo questo principio, si è passati dal greco al latino e dal latino alle lingue moderne. Basta ricordare la Vulgata di San Girolamo e poi il Concilio Vaticano II che ha dato un contributo enorme lasciando la lingua latina come lingua ufficiale della Chiesa ma permettendo che si potesse tradurre la Sacra Scrittura e i riti liturgici nelle lingue correnti.
Si comprende, quindi, l’esigenza di riflettere su: “Lingue e testi delle riforme cattoliche” come ci viene proposto dal convegno organizzato dall’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, grazie al quale, pur partendo dal XVI secolo, si affrontano questioni di estrema attualità perché la Chiesa continuamente è chiamata ad interrogarsi sul tema di una evangelizzazione che sia comprensiva del contesto culturale, linguistico, sociale e civile della persona.
Un tema talmente attuale che anche oggi, come Chiesa italiana, viene affrontando a livello di Conferenza episcopale.
Già nel recente passato, in Segreteria di Stato, si era continuamente alle prese con la traduzione in lingua moderna dei discorsi e degli scritti del Papa: normalmente le lingue usate erano l’italiano, il francese, lo spagnolo, ed il tedesco; poi, si aggiunse il polacco e, successivamente, l’arabo.
Le difficoltà non sono poche: ad esempio, Giovanni Paolo II scriveva in polacco le sue encicliche che dal polacco venivano tradotte in italiano e, infine, dall’italiano nelle varie lingue correnti.
Ma anche qui il problema diventa pressante. Ad esempio se si deve tradurre in inglese, quale idioma utilizzare? Quello del Regno Unito, dell’Australia, degli Stati Uniti o dell’India? E per il tedesco? Quello della Germania, della Svizzera o del Sudtirolo? E, ancora, per il portoghese? Quello del Portogallo o del Brasile, dove anche una parola o un aggettivo ha un significato diverso se non opposto? Ciò vale per i Documenti del Papa ma anche e soprattutto per i vari testi liturgici. Da qui la necessità che ogni pubblicazione passi al vaglio della Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti.
Una questione del genere vale anche all’interno di una stessa nazione. I Vescovi italiani, per esempio, stanno affrontando una revisione della traduzione dei testi in lingua italiana, tra cui il “Padre nostro” che richiede qualche correzione nella traduzione usata finora.
Nella celebrazione della Messa, infatti, il sacerdote nella formula di saluto dice: «La grazia, la pace del Signore, la comunione dello Spirito Santo
“sia con tutti voi”», mentre più correttamente si deve dire «siano
».
Si comprende bene, quindi, come ci sia la necessità di tener continuamente presente non solo una evoluzione linguistica e semantica che esiste in tutte le lingue, ma anche la comprensione e il rispetto delle fonti da cui vengono tratte le stesse traduzioni.
Negli ultimi tempi, inoltre, si avverte l’esigenza e, talvolta, l’urgenza di una traduzione dei testi liturgici anche nelle lingue dialettali, come è stato ammesso da alcuni cultori della lingua italiana e della stessa lingua napoletana, in ragione della grande tradizione culturale propria di alcune comunità.
Insomma, la Chiesa, attraverso i secoli, coi salmi, le preghiere, i riti, le omelie, ha saputo adattare il proprio linguaggio alle situazioni storiche, sociali e culturali di ogni epoca e di ogni terra e, ancora oggi, è impegnata su tale questione per poter trasmettere agli altri, nel miglior modo possibile, il messaggio che ci viene da Nostro Signore Gesù Cristo.
È da esprimere, pertanto, profonda gratitudine all’Università “L’Orientale” alla Rettore professoressa Lida Viganoni e agli illustri docenti coinvolti per aver avuto il coraggio di affrontare con un convegno nazionale di grande livello scientifico un tema così particolare ed importante non solo per gli addetti ai lavori ma per tutti, a cominciare dai sacerdoti e coloro che sono coinvolti nel grande tema dell’evangelizzazione.