L’impegno dei Sacerdoti nell’educazione al bene comune

-in allegato la relazione completa di don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, tenuta al Plenum Diocesano

L’IMPEGNO DEI SACERDOTI
NELL’EDUCAZIONE AL BENE COMUNE
(Napoli, martedì 11 dicembre 2012 – Cappella Cangiani della Casa Sant’Ignazio dei padri Gesuiti)
 
 
 
 
In questi ultimi mesi abbiamo celebrato e stiamo celebrando importanti eventi ecclesiali. A partire dall’Anno della fede, che ha avuto inizio l’11 ottobre scorso, in coincidenza con i cinquant’anni dell’apertura del Concilio Vaticano II. E poi il Sinodo dei vescovi, nel mese di ottobre, sulla “nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Appuntamenti importanti, purché non si riducano a semplici rievocazioni celebrative. Lo stesso vale anche per il Giubileo speciale per Napoli.
 
A cinquant’anni dal Vaticano II, evento straordinario che ha cambiato il volto della Chiesa e dato speranza al mondo intero, sarebbe bello fare una riflessione e un confronto con la Chiesa di oggi. A livello nazionale e diocesano. E verificare quanto abbiamo realizzato del Concilio. O se abbiamo tradito le speranze di quella “primavera dello Spirito”, che non fu estranea al progresso dell’umanità. E interessò anche i non credenti. Pur in tempi difficili: allora c’era la “guerra fredda”, oggi siamo alle prese con una gravissima crisi economica.
 
Sarebbe bene riflettere dove si colloca ciascuno di noi, o la nostra chiesa locale: se tra i “profeti di sventura”, nostalgici di una Chiesa “società perfetta” che si identificava nella sola gerarchia, posta in cima alla piramide. O se tra i fautori della Chiesa come “mistero” e “sacramento”, che si esprime nel concetto di “popolo di Dio”, dove tutti, pur con ruoli e compiti differenti, hanno stessa dignità in forza del battesimo, e stessa vocazione alla missione e alla santità. E dove la gerarchia è al servizio del “popolo”. Non i fedeli per la gerarchia, ma la gerarchia per i fedeli.
 
Lo stesso vale per il rapporto della Chiesa col mondo. Non più l’umanità a servizio della Chiesa, ma la Chiesa a servizio dell’umanità. Perché la Chiesa non ha solo da dare, ma ha anche molto da prendere dal mondo: “parecchi elementi di verità si trovano anche al di fuori di essa, presso le religioni non cristiane e perfino i non credenti”, come ricorda il Concilio. Una Chiesa solidale con la storia degli uomini, che sa cogliere i “segni dei tempi”, con una visone positiva e ottimistica dell’esistenza. Come leggiamo nelle prime parole della Gaudium et spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo. E nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
 
Oggi, la “barca di Pietro” è in mare aperto, sballottata dalle onde del secolarismo, dell’indifferenza ai valori religiosi. E, soprattutto, del relativismo etico da cui ci mette continuamente in guardia Benedetto XVI. La Chiesa si trova ad affrontare peccati e strutture di peccato che generano tante ingiustizie sociali. Ma non è immune dalla “zizzania” che cresce al suo interno, nel campo del Signore. E sono le debolezze e le fragilità degli uomini di Chiesa, che tanto scandalo suscitano nel popolo di Dio (vedi pedofilia dei preti). Nella rete di Pietro ci sono anche pesci cattivi. E spesso abbiamo la sensazione che la nave della Chiesa navighi col vento contrario. E che il Signore se ne stia a dormire e ci abbia dimenticato.
 
 
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