Messa Crismale – Mercoledì Santo

Non abbiate paura di accogliere l’amore di Cristo e di lasciarvi trasformare da lui per essere sacerdoti santi e testimoni credibili del suo Vangelo, ha detto il Cardinale Crescenzio Sepe, rivolgendosi a tutti i Sacerdoti della Diocesi, ai quali si è rivolto dicendo “cari amici sacerdoti”, nel corso dell’omelia pronunciata durante la celebrazione della Messa Crismale in Duomo, con la benedizione degli Oli santi (dei catecumeni, del crisma e degli infermi), presenti, oltre a tutto il clero diocesano, i diaconi permanenti, i seminaristi, e il popolo di Dio.
Non abbiate paura – ha aggiunto-  di amare Dio e i fratelli, donando tutta la vostra vita soprattutto a chi vi chiede solidarietà, amicizia, giustizia, fratellanza per uscire dalla emarginalizzazione, dalla solitudine, dallo sfruttamento, dalla violenza, dalla miseria spirituale e materiale.
    Riprendete con coraggio e speranza il vostro  cammino sacerdotale, aprendo i vostri cuori e le vostre chiese, per andare incontro alla nostra gente che vive il dramma  della mancanza di fede, che soffre per la perdita della propria dignità umana e sociale, che ha perso la strada della verità.
I nostri giovani sfiduciati, le famiglie in difficoltà, la scuola, gli ospedali, le carceri, i senza tetto, i migranti, i bambini, gli anziani costituiscono il campo immenso e difficile nel quale siete stati inviati per portare il seme della speranza e il fuoco della carità di Cristo.
E ha così proseguito: “ Mentre rinnoviamo la nostra  promessa sacerdotale, preghiamo con fervore affinché lo Spirito Santo ridiscenda su di noi e ci riempia del suo amore per rinforzarci nel nostro ministero. È la carità l’unica, vera ricchezza del nostro sacerdozio. Ministri di Cristo, non abbiamo bisogno né di ricchezze materiali, né di successi, né di prestigio o di fama di fronte agli occhi del mondo: ci basta l’amore gratuito che ci ha creati sacerdoti di Cristo, amore che Dio ha effuso nei nostri cuori e che ci spinge ad andare dai nostri fratelli che ci chiedono solo di annunziare loro il Vangelo della carità e della verità”.
Annunciare Cristo all’uomo che vive nel deserto dell’egoismo, dell’orgoglio, dell’indifferenza, del materialismo significa trasmettere amore come unica medicina in grado di riscattare la loro misera condizione di vita. Non c’è altra strada per comunicare Cristo: non c’è oro o argento, non c’è potenza o ricchezza, non c’è orgoglio intellettuale o potenza sociale; c’è solo l’umile servizio di una Chiesa povera che, come Cristo povero, si veste del grembiule per purificare e comunicare la salvezza a tutti.
    In realtà – ha detto ancora l’Arcivescovo – l’amore ha una dimensione universale ed è costitutivo non solo della Chiesa, ma anche della società umana, giacché esso non si limita alla sola Chiesa, ma la spinge ad incontrare l’uomo, qualunque sia la sua condizione sociale, culturale, politica o economica: nessuna umanizzazione del mondo è possibile senza la forza dell’amore. L’amore travalica anche le frontiere della Chiesa, o meglio, le espande sino ai confini del mondo e, anzi, abbraccia l’intera creazione.
    Nella Lettera indirizzata, come sempre, a tutti i Presbiteri della Diocesi in occasione della Pasqua, il  Cardinale Sepe ha poi detto:  La nostra Chiesa diocesana, in comunione con la Chiesa universale, è impegnata a vivere l’Anno della Fede, inaugurato in Duomo con una solenne Celebrazione della Parola, per ricordare il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e il ventesimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
    Esso costituisce un momento per educare lo nostra gente ad una fede adulta, consapevole, che non si accontenta dei surrogati, ma che punta diritta al cuore del Vangelo, che chiede conversione e amore nella carità.
    È proprio in questa dinamica che voi, cari sacerdoti, giocate un ruolo di grande responsabilità. È un compito difficile ma gioioso perché siamo accompagnati dallo Spirito del Signore. È una scelta radicale che ognuno di noi ha fatto, e che si concretizza in quella la carità pastorale che ci unisce a Cristo e ai fratelli rendendo ancora più saldo il vincolo di comunione con il Vescovo e con tutto il presbiterio. Essa diventa carità operosa ogniqualvolta si manifesta come attenzione preferenziale per i poveri: attenzione non esclusiva e non escludente, per tutte le povertà vecchie e nuove presenti nelle nostre comunità.
    La carità pastorale, dunque, ci spinge ad accogliere ogni uomo, solidali con l’umanità sofferente e aperti al grido del Signore «Siate misericordiosi»  divenendo voce critica delle coscienze dinanzi a situazioni di ingiustizia conclamate. Questo significa che il sacerdote si manifesta uomo di fede non solo perché crede in Dio, ma anche perché crede nell’uomo fatto a immagine e  somiglianza di Dio. La fede che si fa carità, chiede di aprire i nostri orizzonti all’umanità perché sono gli orizzonti sconfinati di Dio che hanno il sapore dell’eternità.
    In occasione, poi,  del 50° anniversario della Beatificazione, sono state esposte in Duomo le reliquie del Beato Vincenzo Romano, sacerdote del presbiterio diocesano, nato il 3 giugno 1751 a Torre del Greco, dove è venerato nella Basilica di Santa Croce. Primo parroco del clero secolare italiano elevato agli onori degli altari.
“Cari sacerdoti – ha detto l’Arcivescovo – desidero riproporre alla nostra considerazione il Beato come modello di vita sacerdotale ed esempio di come la fede si fa carità e l’Eucaristia animi anche la realtà sociale”.

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