Messa Crismale

Omelia dell'Arcivescovo don Mimmo Battaglia

Fratelli vescovi, presbiteri, consacrati e consacrate, fratelli e sorelle,

è bello per noi essere insieme in questa sera che fa da preludio ai giorni pasquali, ad un tempo benedetto che ci apprestiamo a vivere con l’intensità di chi desidera scoprire il segreto della pace, il sentiero della salvezza. Ne abbiamo bisogno sempre. Guai a sentirci arrivati, a credere di aver capito tutto, a cedere alla forza saccente delle abitudini. Che lo Spirito di Dio ci doni invece un cuore che cerca, entusiasta, inquieto, lontano dalle certezze granitiche degli addetti al mestiere, un cuore mendicante e appassionato, capace di cercare tra i riti di questi giorni, nelle pieghe delle pagine evangeliche che ascolteremo, nel mistero dei segni che cadenzeranno le nostre celebrazioni, la sorgente dell’Amore, la fonte dell’Acqua viva, lo sguardo del Crocifisso Risorto che ci solleva, ci rinfranca, ci libera, ci restituisce alla nostra umanità e al sogno di Dio!

 

Che ognuno di noi viva questi giorni pasquali con l’attenzione del discepolo desideroso di imparare alla scuola del suo maestro. Solo così potremo veramente imparare dal Signore come seguirlo in questo tempo faticoso e carico di sfide. Solo così potremo finalmente imparare qual è la nostra missione, a cosa siamo chiamati, cosa desidera il Signore dalla sua Chiesa!

 

La Chiesa è unta per ungere il mondo e guai se quest’unzione restasse racchiusa nelle nostre sacrestie, tra le mura del tempio. Siamo chiamati ad ungere il mondo, le strade, i vicoli, le famiglie, i bambini, i giovani, gli ammalati, le pietre di scarto, coloro che sono ai margini. Siamo unti per ungere!

 

Il Signore Gesù ci unge con l’olio della gioia e della speranza per portare ai poveri il lieto annuncio, una notizia carica di vita, un messaggio capace di asciugare le lacrime e far tornare sul volto un sorriso autentico, frutto di un cuore toccato, salvato, sanato dall’amore di Dio. E quanti poveri ci sono che attendono qualcuno che li risollevi con una notizia capace di ridare senso alla vita, di riscattare anni vissuti senza apparente significato, di rimettere in piedi storie intrise di tristezza e angoscia. E non si tratta, sorelle e fratelli, solo di una povertà materiale ma anche di quei poveri che pur tra gli agi e le ricchezze hanno smarrito il senso di una vita buona, bella, perché impregnata dell’amore gratuito di Dio. È a tutti i poveri che siamo mandati! È di tutti i poveri che devi occuparti Chiesa di Napoli! E che il Sinodo che ti appresti a celebrare ti aiuti a farlo con rinnovato entusiasmo, affinché tu possa ungere ogni povero con l’olio della letizia e della speranza!

 

Il Signore Gesù unge con l’olio della libertà, con il crisma che profuma di vita coloro che erano prigionieri della morte, schiavi di ogni paura, vittime di un egoismo non solo individuale ma sociale, strutturale, comunitario. L’unzione ci ricorda che siamo liberi e che apparteniamo all’amore perché siamo di Cristo e nessuno mai potrà separarci da lui. Fratelli presbiteri, le vostre mani unte dal crisma siano capaci di spezzare ogni catena che rende l’uomo schiavo del male e del peccato. Trasformino in segni credibili il sogno evangelico che annunciate. La nostra gente ha bisogno di presbiteri ungitori, capaci di uscire e donare se stessi. È ungendo che si rinnova la propria unzione. Siate preti in uscita che sanno avvicinarsi all’altro, accogliere tutti, perché nessuno si senta escluso, con pazienza, con mitezza: è il tempo che doniamo alla nostra gente che fa sentire le persone accolte e amate da Dio ed è attraverso la nostra cura che loro possono cogliere la delicatezza della cura del Padre, della sua benedizione, del suo perdono, del suo desiderio di rimetterle in piedi.  Ungiamo sporcandoci le mani, toccando le ferite, le fatiche, l’inquietudine della nostra gente; ungiamo profumandoci le mani toccando la fede, le speranze, la generosità, imparando a vederla e a riconoscerla.

 

Amici e fratelli miei presbiteri vi dico grazie per il vostro impegno generoso, per l’entusiasmo che vedo ogni giorno nel vostro servizio al popolo di Dio! Grazie per ciò che siete e ciò che fate! La vostra testimonianza è per noi vescovi un’unzione di vita e di speranza, perché sappiamo di non essere soli, perché sappiamo di poter contare sulla vostra fedeltà al Vangelo per sostenere la nostra fedeltà al Signore! Nel chiedervi di essere ungitori, capaci di uscire da se e donarsi agli altri vi chiedo però di mettere in questa categoria “altri”, non solo la nostra gente ma anche il nostro presbiterio. Si, che il Sinodo che stiamo per celebrare sia un tempo in cui impariamo ad ungerci a vicenda con l’olio della comprensione, del dialogo, del perdono. Superando individualismi e frantumando ogni barriera derivante dai tanti pregiudizi, abbattendo i muri che separano i fratelli fra loro. Impariamo come presbiterio a camminare insieme. Così che insieme a noi tutto il popolo benedetto di Dio, unto dal crisma, possa essere per la nostra terra una carezza di unità, un segno di comunione, uno strumento di liberazione dai mali che lo affliggono! Chiesa di Napoli, ungi con l’olio di libertà questa terra troppo spesso imprigionata da catene di morte e restituiscila alla libertà dei figli di Dio!

 

Il Signore Gesù, venuto a ridare la vista ai ciechi, ci unge con l’olio luminoso di una visione nuova, per togliere via dai nostri occhi le ombre che ci impediscono di vedere la luce, per guarirci dalla cecità che nasce dall’accumulo dei pregiudizi, delle stanchezze, delle brutte notizie, delle rassegnazioni. Siamo in un tempo molto particolare. Per certi versi inedito e complesso in cui i problemi locali si intrecciano con quelli mondiali, in cui le crisi sanitarie della pandemia si mescolano con quelle umanitarie di una guerra assurda che addolora il cuore e annebbia la vista, rendendoci incapaci di vedere il bene. Il Signore vuole ungere attraverso di noi, fratelli presbiteri, gli occhi della gente, occhi ottenebrati dalle cataratte pesanti della paura e della disperazione, occhi che hanno bisogno di ritrovare la luce dell’amore anche tra la più oscura delle notti! Occhi che necessitano di una parola che insegni a trovare l’alba in un tramonto! E solo la parola del Vangelo può far questo! A volte anche noi, vescovi, presbiteri, consacrati, ci sentiamo nella notte. A volte anche noi ci sentiamo ciechi e senza visione. Ma è nelle nostre notti che l’unzione del Risorto ci raggiunge, ci libera, ci guarisce e ci consente di trasformare le nostre ferite in feritoie e di diventare dei guaritori feriti!  Solo un ferito, infatti, potrebbe curare le altrui ferite comprendendone il peso e il dolore.

 

Oggi benediciamo l’olio degli infermi, che ci insegna che anche la sofferenza accolta può generare speranza, anche il dolore può unire e rinnovare. Gesù è entrato per sempre nella debolezza della nostra condizione umana e chiede anche a noi di farci carico delle sue ferite. È l’unità di fratelli, nella sofferenza, che unge il capo degli infermi, degli emarginati, degli esclusi. L’olio degli infermi non è dunque solo l’olio dei malati ma è l’olio che benedice nella sofferenza, risolleva, accompagna, accarezza. Ci è affidata la fatica preziosa e bella dell’unità da ricostruire a partire dalle pietre scartate, da coloro che si sentono più che altro un peso per questa società. Gesù, pietra scartata, è il servo sofferente che ha glorificato Dio. Cari fratelli laici, gli oli degli ultimi sono affidati anche a voi, perché la nostra società si rinnovi a partire dalle relazioni, dalle sue strutture. La nuova aria di solidarietà che cominciamo a respirare tra noi, è abitata dalla solidarietà di Dio. Egli è da sempre solidale con il suo popolo sofferente.

 

Il Signore Gesù unge la sua Chiesa e attraverso di lei l’umanità intera con l’olio dello Spirito!

Olio, frutto spremuto, frutto frantumato sotto il peso della pietra. L’olio porta in sé la forza figurativa della sofferenza che diviene fonte di luce per illuminare le genti. Il dolore non è l’ultima parola della mia vita, né della tua. Esso ci rende terra buona e fertile se ci indirizza all’incontro con Colui che per primo è stato spremuto fino all’ultima goccia, Colui che non ha tenuto nulla per sé, finanche il suo ultimo respiro. Quest’olio spremuto sia il segno di coloro che intendono lasciarsi spremere fino all’ultimo, di quanti sulla scia del Cristo vogliono dare tutto di sé, divenendo strumento di liberazione e di salvezza per gli oppressi di questo tempo, di questo mondo!

 

Fratelli presbiteri insieme alla nostra gente siamo chiamati a ricucire la speranza. E la speranza è questa: Dio ci incontra sempre nel volto dell’altro, nella cura possibile, nelle ferite che ci portiamo dentro e che diventano opportunità per meglio seguire il Signore. Non temete la vostra fragilità, perché è in questa fragilità che Dio non mancherà di rivelare la sua potenza. Gli oli che ci sono affidati, risanano le ferite, restituiscono dignità, diffondono il profumo della speranza. È da qui che abbiamo il bisogno di ripartire. Cari fratelli sacerdoti, oggi, la nostra città, questo mondo, la nostra gente, ha bisogno di voi. Della vostra ricerca, delle vostre inquietudini, del vostro ascolto, della vostra parola di misericordia, del vostro esserci, del vostro voler bene e del nostro volerci bene. È questa la fonte sempre viva della speranza della nostra chiamata, è anche il nostro costante bisogno di perdono, della misericordia di Dio.  Tutti siamo chiamati a servire l’umano sulla terra nella speranza di servire il Signore. La testimonianza della fede e della giustizia, nell’olio dei catecumeni e del crisma, è come luce che consacra di profezia la Chiesa.

 

Vorrei riportarvi all’unzione di Betania. Si tratta dell’unica unzione del Cristo cui il vangelo faccia riferimento. Tale unzione avviene poco prima della croce, ad essa prepara gli astanti, come lo stesso Gesù non manca di affermare: “Lasciala stare! Lo aveva conservato per la mia sepoltura” (Gv 12,7). Dall’olio possiamo apprendere una grande verità: solo chi passa attraverso la spremitura, lo schiacciamento della sofferenza, porta frutto.  L’unzione di Betania, e non le unzioni sacerdotali e regali della prima alleanza, deve divenire il riferimento principale per leggere la nostra unzione! È tempo di prendere coraggiosamente le distanze da certe simbologie distintive ed elettive: siamo stati chiamati per donarci, non per essere una casta di perfetti! Siamo stati chiamati perché feriti, eppure ci ostiniamo a voler nascondere le nostre ferite.

 

A Betania l’olio si mescolò con le lacrime di Maria, che unge i piedi del Cristo. L’olio che consacra si mescola a lacrime di donna. Il pensiero va alle troppe lacrime di donna che vediamo in questi giorni, lacrime di madri che piangono i loro figli morti in guerra, lacrime delle vittime di femminicidio, lacrime delle vittime della violenza e della tratta, lacrime versate per le tante vittime della criminalità. Sono le lacrime delle donne che si recarono al sepolcro la mattina della domenica, portando ancora con sé quell’olio, pronte ad ungere un corpo morto. Eppure, bastò un attimo perché quelle lacrime si tramutassero da segno di dolore a gioia immensa. In un istante la sofferenza si trasformò in letizia, letizia di cui quest’olio è segno vivo. Quanto conforto porta con sé questo segno, che è divenuto olio dei malati e dei sofferenti. Sono duemila anni che rabbocchiamo quest’olio, l’olio che le donne riportarono dal sepolcro con l’annuncio della risurrezione del Signore, olio che non andò sprecato e che arriva fino ad oggi di generazione in generazione, ricordandoci che non ci sono lacrime che non saranno asciugate, né cuori che non saranno confortati. L’olio che risana le ferite è anche olio di gioia infinita. E la gioia profuma la vita.

 

L’olio usato da Maria a Betania è olio di nardo purissimo, che resta nel cuore di chi lo sente. Un po’ come avviene con i profumi della nostra infanzia, i profumi di coloro che abbiamo amato e che hanno in sé un potere evocativo più forte della vista e dell’udito.  Eppure il nardo non era un olio con cui ungere i vivi. Esso ero impiegato nelle sepolture. Si riservavano i beni più preziosi per la morte, non per la vita. Gesù introduce qui un cambiamento radicale: non vale la pena lavorare per qualcosa che porta alla morte, non vale la pena dedicare un’intera esistenza al risparmio dei beni in vista del sepolcro. Ogni giorno cerchiamo di mettere da parte qualcosa per il futuro, cercando di accumulare case e proprietà da lasciare ai nostri figli. Perdiamo tranquillità e salute per ciò che muore.

Maria, invece, senza curarsi del costo di quell’olio, senza badare al fatto che fosse troppo prezioso per sprecarlo per i vivi, preferisce utilizzarlo per celebrare ciò che per lei è più importante. Gesù consacra ciò che i buoni definirebbero mancanza di avvedutezza. Non abbiate timore di fare spreco di generosità, come ripeteva spesso don Tonino Bello!

 

Immaginate un povero morente per le strade di Calcutta. Un tanfo insopportabile si leva dalle fognature a cielo aperto e lì, tra i rifiuti, giace abbandonato un ultimo. Madre Teresa si abbassa su di lui, lo prende con sé e lo porta in un rifugio dove possa morire tranquillo. Il sacerdote viene e amministra al povero il sacramento dell’unzione. Quel corpo che prima era destinato a scomparire tra i rifiuti, sporco e maleodorante, ora è pulito e, come se non bastasse, profumato.

 

Fratelli e sorelle, è per questo che gli oli vi sono affidati, affinché possiamo ungervi ogni uomo e ogni donna, iniziando dagli ultimi e senza escludere nessuno.  Non lo conserviamo solo per le grandi occasioni, non lo lesiniamo perché ungendo ogni uomo e donna, porteremo pane e profumo.

Perché soccorrere nel bisogno è umano, ma ciò che trascende l’umano sfociando nel divino è riconoscere in ogni uomo e donna la presenza di Dio stesso e, come per gli altari, non ci si limita a tenerli puliti, ma ci si assicura che profumino di incenso.  Il povero, ogni povero, è un altare e al di là dell’ordinario è necessario educare la nostra carità allo straordinario, perché oltre la sopravvivenza vi sia la pienezza di vita, che altro non è se non la risurrezione.

 

È forse questo ciò che Cristo ci chiedeva nel lasciarci questo segno. Non voleva che il vangelo divenisse appannaggio di accademie e liturgie, ma che penetrasse nel cuore come un profumo, che al solo sentirlo richiamasse al senso della vita cristiana. Il vangelo doveva divenire memoria di casa, ordinario monito d’amore.

 

Ed è questo amore, l’unzione di quest’amore, fratelli e sorelle, che deve condurci a riscoprirci comunità umana, fraterna, nella via del dialogo e della corresponsabilità. Dobbiamo chiederci quale Chiesa vogliamo essere, quale Chiesa il Signore sta continuando a immaginare perché il mondo viva, quale volto avrà il nostro domani. È a questo che serve il Sinodo che nei prossimi giorni insieme apriremo. A ciascuno è affidata la speranza della nostra vocazione, la gioia del servizio, la fiducia nella fedeltà di Dio.

 

Gli oli, che tra qualche minuto verranno consacrati, alimentino la nostra ricerca del Signore, della sua volontà, perché possa trovarci pronti a seguirlo. Sentiamo su di noi la mano del Signore che torna ancora a ungerci e invochiamo l’unzione dello Spirito con tutto il nostro cuore su ciascuno di noi e sulla nostra chiesa partenopea:

 

 

Spirito di Dio, dono del Crocifisso Risorto,

rinnova l’unzione dei presbiteri!

Dona loro la forza di essere

segno luminoso di una vita donata,

perché le ferite sappiano trasformarsi in guarigione,

portando consolazione a quanti incontrano

nella quotidianità del ministero.

 

Spirito di Dio, dono di vita e di speranza,

ungi con l’olio della consolazione il tuo popolo santo!

Che la tua unzione asciughi le lacrime,

dirami le tenebre della paura,

doni conforto ad ogni cuore affranto,

affinché l’annuncio della risurrezione

ridoni la gioia e ridesti i cuori alla bellezza della vita.

 

Spirito di Dio, roveto ardente

che parla continuamente alla Chiesa

senza mai consumarsi

possa tu penetrare con la tua unzione nei nostri cuori

e lì radicarvi il vangelo,

un vangelo ordinario

che si prenda cura con tenerezza

di ogni povertà.

 

Spirito di Dio, amore che rende beati,

spalanca alla nostra chiesa il tempo della testimonianza rinnovata!

Donaci la beatitudine del riscoprici poveri dietro al Signore,

bisognosi della sua misericordia, della sua parola.

E se la fedeltà alla sua parola dovesse costarci la persecuzione,

ricordaci che saremo beati anche se non capiti!

 

E tu Maria,

Donna il cui grembo è stato unto dallo Spirito,

prendici per mano,

donaci la grazia di sentirci unti dall’amore del Padre,

rigenerati dagli occhi amorevoli e teneri del Figlio

che posandosi su di noi e sulle nostre ferite

ci invitano ad abbandonandoci senza riserve

all’unzione del suo sguardo di pace, della sua parola di luce!

 

Amen!

 

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