Un pastore sente battere il cuore della sua città anche quando non si trova fisicamente tra le sue mura. E tanto più in questi giorni mi è toccato di sentire vicino Napoli, perché ancora una volta è stata la voce dellemergenza a farsi viva. E di unemergenza particolare, che chiama in causa e interpella da vicino il senso stesso dellessere Chiesa; il dovere, anzi, il comandamento – che viene da Nostro Signore – di essere sempre accanto ai poveri, di privilegiarli, e porli al centro del proprio cammino e della propria missione. Senza questa tensione la Chiesa non potrebbe vivere e tradirebbe il proprio mandato. I poveri non occorre andare a cercarli; sono e saranno sempre tra noi, popolano i nostri paesi, e le nostre città sotto ogni latitudine e in tutti i continenti. Se Napoli è una metropoli così ricca di storia è anche perché le tracce della povertà hanno solcato non solo il territorio di pietra ma anche quello dellanima. Si potrebbe dire che la città non ha semplicemente convissuto, ma ha realmente e concretamente vissuto con i poveri, superando, in un certo senso, perfino il concetto di accoglienza. Si accoglie chi non è della stessa famiglia, e così, la grande rete di solidarietà che la Chiesa di Napoli ha disseminato nei propri quartieri, non è altro che una grande casa comune, sorta non come una semplice iniziativa, ma come una risposta naturale alla propria esigenza di carità e di condivisione. Andare a ripercorrere, oggi, i diversi tratti di questa rete può apparire fuori luogo: più che censire ciò che è in atto, è importante semmai, tenere conto dei bisogni e delle esigenze che crescono. Ed è questo il punto sul quale la mia preoccupazione di pastore diventa più acuta.
I fatti di questi giorni – che hanno nuovamente riportato Napoli alla ribalta della cronaca – hanno messo in evidenza più che unemergenza, un pericolo, questo sì da tenere lontano e da scongiurare come la peggiore delle sventure: la lotta tra i poveri, il conflitto tra chi sente incombere la minaccia perfino sul suo poco o addirittura sul suo niente. è questo il punto di vera crisi. È di fronte a una prospettiva così cupa che la Chiesa – a cominciare dal suo Pastore – sente crescere langoscia. E si vede costretta a guardare intorno, alla ricerca di tutte le braccia utili ad affrontare un problema che le forti e crescenti tensioni sociali, non solo a Napoli e non solo in Italia, stanno configurando come la vera grande emergenza dei nostri tempi. Per la nostra città cè poi un motivo che accresce linquietudine: tra le altre accuse si fa strada oggi quella di una sorta di mutazione genetica: Napoli vede svanire la propria proverbiale umanità, rischia di diventare una città senzanima. Ma sono invece proprio i contraccolpi di una lotta tra i poveri a fornire unimmagine che, per il momento, è solo deformata. La Chiesa è accanto ai poveri, ma non ha il potere di sradicare la povertà. Alle politiche sociali, quando mancano o sono carenti, non è possibile rispondere in termini di supplenza. Una Chiesa che supplisce è una chiesa posta, talvolta, nelle condizioni di agire semplicemente come una sorta di agenzia umanitaria. Non è questo ciò di cui Napoli ha bisogno. E, anzi, solo da queste scorciatoie si rende possibile ciò che è avvenuto durante e dopo la presenza nel Duomo del gruppo di extracomunitari senza alloggio. A chiedere lintervento della polizia – questa una delle voci fatte circolare – era stata la Curia o larcivescovo in persona. È addirittura mortificante dover smentire una circostanza del genere che capovolge la natura stessa del nostro impegno. La Chiesa di Napoli, per propria vocazione, è abituata ad altre forme di «convocazione»: chiama i poveri a raccolta. Non solo li attende, ma li cerca attraverso i suoi sacerdoti, le parrocchie, i movimenti, gli ordini religiosi. Tutte le strutture di cui essa dispone per esercitare la sua prima missione: quella di amare e di dare speranza. Questa è la strada che ci ha insegnato Cristo. Questa è la strada che continueremo a percorrere.
Crescenzio Sepe Cardinale di Napoli
(Dal Il Mattino 31/07/2008)