Natale 2012

Dalle Omelie del Card. Crescenzio Sepe

“È nato per noi un Bambino, un Figlio è stato donato”. Con questo annuncio ha avuto inizio l’omelia pronunciata dal Card. Crescenzio Sepe durante la celebrazione eucaristica che l’Arcivescovo ha presieduto, nella Chiesa Cattedrale, il giorno di Natale.
Il Bambino nato a Betlemme –ha detto il Cardinale Sepe- ci invita a meditare sul grande mistero dell’Incarnazione.“Egli è la luce vera, che illumina ogni uomo”, illumina la nostra vita, le nostre azioni, il nostro modo di relazionarci con gli altri.
Ma non tutti hanno accettato o accettano la verità di Dio che si è incarnato e vive in mezzo a noi. L’indifferenza degli scribi, anche degli scribi di oggi, è manifestazione di chi ha il cuore arido e non si preoccupa di incontrare Cristo, di riconoscerlo come suo Signore e Salvatore.
Non si accetta Dio che ci viene incontro perché ci si sente pieni di se stessi; non si ha il coraggio di entrare per la porta della luce e si preferisce rimanere fuori dalla porta. Di fronte all’Amore incarnato si è come anestetizzati e non si percepiscono né si reagisce alle provocazioni del Vangelo.
Anche in questo Natale siamo spettatori di numerose forme di egoismo che provocano indifferenza, vendette e guerre. Senza menzionare i grandi problemi che affliggono la nostra società materializzata, è sufficiente dare uno sguardo ai luoghi di lavoro, alle nostre famiglie per capire che in essi non regna la pace e la gioia di Cristo.
Non si ha il coraggio di spogliarsi di se stessi e delle proprie armature per andare incontro alle esigenze del fratello, per aiutare il prossimo, per impegnarsi a costruire un’umanità nella quale si costruisce la civiltà dell’uomo, il bene comune di ogni cittadino, a qualunque razza o cultura appartenga.
    Ma per tutti Dio ha posto la sua tenda in mezzo a noi e, perciò, non ha fissa dimora, ma vive lì dove abita il suo popolo; egli percorre le nostre città, le nostre piazze, i nostri vicoli. È come il pellegrino che va alla ricerca di ogni uomo, vuole incontrarlo, farsi suo compagno di viaggio, abitare nel suo cuore, vero tempio e dimora della sua presenza. Anzi S. Paolo giunge a dire perfino che Dio pone la sua tenda, la sua presenza nelle nostre sofferenze (cfr. 2Cor 12,9).
Anche nell’omelia della Vigilia di Natale l’Arcivescovo di Napoli aveva sottolineato che non tutti accettano la nascita del Bambino e accolgono la sua presenza. Erode ha paura di perdere il suo potere e cerca di ucciderlo così come i tanti erodi di oggi i quali hanno paura di Cristo perché temono di perdere i loro privilegi e le loro ricchezze o il privilegio di essere serviti e riveriti dagli altri.
Tutti smaniosi di essere “riconosciuti” da un mondo intriso di materialismo ed edonismo. È una tentazione che può riguardare anche la nostra realtà ecclesiale, grande o piccola che sia, e che allontana progressivamente da Cristo perché il “potere”, il “prestigio”, la “riconoscibilità” sono dimensioni “troppo umane” che possono svilire la vita religiosa e renderla insignificante o controproducente.
Ad Erode e a tutti quelli che la pensano come lui, si oppongono i pastori: sono i “poveri” che accolgono il Signore che viene e sanno mettere a disposizione quello che hanno pur nella povertà; sono i poveri che hanno occhi capaci di vedere e orecchi in grado di udire e riconoscere le meraviglie compiute da Dio.

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