Ci separano ormai pochi giorni al Santo Natale, una festa che tradizionalmente ispira sentimenti di pace, di fratellanza, di serenità. Noi vorremmo che questo Natale non fosse una giornata in cui si concede spazio alla retorica dei sentimenti, bensì un momento nel quale si trovi la forza di rinascere guardando il Bambino, Gesù, circondato dalle amorevoli cure di una Madre, una giovane ragazza “casalinga”, sposa di un lavoratore.
Auguro a tutti, pertanto, di sentirvi accompagnati dal Signore, che desidera entrare nel vostro cuore per portarvi tutto ciò che di bello, di vero e di buono serve a trasformare la vostra vita.
Un augurio particolare al mondo del lavoro, a quelli che il lavoro lo cercano ancora, a quelli che il lavoro l’hanno perduto, a quelli che hanno il lavoro ce l’hanno.
Vorrei tanto che questo Natale possa segnare una svolta, la fine di un incubo che stanno vivendo tutti coloro che voglio ardentemente inserirsi nei processi produttivi del lavoro, delle arti, delle professioni, della ricerca.
Il lavoro, infatti, serve al mantenimento delle famiglie, ma anche al bene della società.
Il mondo, però, è attraversato da tantissime inquietudini, perché in Italia – e nella nostra Napoli in particolare – il lavoro non è facile da trovare. Tante aziende, purtroppo, chiudono e non s’intravede alcuna prospettiva.
Anche adesso, perciò, ci ritroviamo ad auspicare che il prossimo anno sia migliore di questo che ormai volge al termine.
Ognuno fa il proprio bilancio nel mese di dicembre e senz’altro si augura una maggiore serenità per sé e per tutti.
Non voglio, tuttavia, esprimere pensieri tristi, bensì invitare alla speranza! Forse qualcuno pensa proverbio che dice “chi di speranza vive, di speranza muore”. Questo, però, dipende da un modo falso di intendere la speranza. Essa non è un’attesa passiva di qualcosa che scende dall’alto, ma è uno stimolo all’azione, a non arrendersi, a non darsi per vinti. La speranza non corrisponde alla debolezza, bensì al coraggio di sognare e di osare, alla forza di combattere per i propri ideali, alla fantasia d’immaginare che, con il nostro impegno, un pezzo di mondo, quello attorno a noi, possa cambiare in meglio.
Chi spera si apre al futuro. E noi abbiamo un “bisogno disperato di speranza”! Quando tutte le altre risorse sembrano sfuggirci, rimane quest’impulso che ci fa riscoprire la solidarietà, ci fa capire che possiamo farcela, anche se partiamo in svantaggio.
La nostra storia non ci racconta forse molti casi del genere? Quante volte ci siamo trovati nella polvere e poi ci siamo rialzati più forti di prima? Proprio per questo, nella mia ultima Lettera pastorale ho ripreso la frase che Gesù dice agli apostoli prima della moltiplicazione dei pani e dei pesci e ho commentato: «”Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37), ci ripete Gesù. La gente ha certamente fame di pane materiale perché oggi, nonostante una sfacciata opulenza messa in mostra da alcuni, cresce sempre di più il numero di coloro che vivono nella miseria e non sanno come fare per sopravvivere.
Ma c’è anche una grande fame di giustizia e, soprattutto nei nostri giovani, una drammatica fame di futuro, un disperato bisogno di speranza. La nostra terra somiglia spesso ad un deserto dove nessuno offre il pane della vita, dove tante esistenze vagano nel vuoto, si consumano nella propria autosufficienza, sperimentano delusioni e solitudini».
Anche se tutti ci abbandonano il Signore ci è sempre molto vicino! Perciò, riferisco le parole che la Bibbia ci fa leggere nel libro del profeta Isaia: «Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi» (Is 61,1-2).
Dio stava parlando a un popolo che aveva davanti agli occhi le rovine delle sue città distrutte dalla guerra. Tutto doveva essere ricostruito, sia dal punto di vista materiale che spirituale. Allo stesso modo parla anche a noi in questi giorni, in un tempo nel quale tante cose passate vanno in crisi e scompaiono e si fatica a veder spuntare quelle nuove.
Un forte impulso alla speranza verrà senz’altro dalla visita pastorale di Papa Francesco a Napoli il 21 marzo prossimo.
Conscio dei problemi che affliggono il mondo intero – e non solo la nostra città – nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, al numero 183, il Santo Padre ci ricorda che «tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore.
Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo».
Nessuno, allora, pensi a una Chiesa lontana dai problemi e dalle ansie della gente.
Siamo tra la gente, per camminare insieme e costruire questo mondo nuovo, in cui la fame di speranza possa ricevere delle risposte concrete, così come diventi possibile asciugare qualche lacrima che riga il volto di chi patisce ingiustizia. Buone Feste a tutti!* Arcivescovo Metropolita di Napoli