In mezzo a chi soffre per scuotere le coscienze e vincere l’indifferenza che ci rende insensibili. È quanto Papa Francesco ha testimoniato, lunedì scorso, con la sua storica visita a Lampedusa. Il Papa venuto dalla “fine del mondo” ha voluto compiere il suo primo viaggio apostolico nell’estrema periferia dell’Europa, dove la sofferenza dei migranti in cerca di speranza si incrocia con la generosità della comunità dell’isola.
Momento culminante della visita, tanto breve quanto intensa, è stata la Messa all’Arena, il piccolo stadio di Lampedusa gremito di fedeli e migranti, oltre 10 mila persone.
La periferia che diventa centro, gli ultimi che diventano i primi. È il “miracolo” compiuto dal Papa a Lampedusa. Il Papa doveva venire qui, lui stesso confida questa necessità del cuore. Doveva guardare, sentire, abbracciare chi soffre e chi si fa ogni giorno “buon samaritano” per gli ultimi. Alla Messa, dal palco, può scorgere le carcasse delle imbarcazioni dei migranti. E il suo pastorale – come il calice, l’ambone, l’altare – è realizzato con il legno delle barche che ogni giorno solcano il mare di Lampedusa. Simboli, come la scelta delle letture e i paramenti, che vogliono sottolineare la dimensione penitenziale della celebrazione.
Il Pontefice inizia l’omelia indicando proprio il motivo per il quale si è recato a Lampedusa: l’ennesima tragedia della migrazione. Una notizia, ha detto, che è stata «come una spina nel cuore che porta sofferenza», pensare a quelle barche che «invece di essere una via di speranza sono state una via di morte».
Il Papa non manca però di ricordare subito, con gratitudine, quanti, a Lampedusa come a Linosa, mostrano attenzione per le persone che viaggiano “verso qualcosa di migliore”: «Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie!». E ringrazia espressamente il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, e l’Arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, per quello che fa, per l’aiuto, la sua vicinanza pastorale. Poi aggiunge: «Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: O’ Scià!».
Ha denunciato con forza l’azione dei trafficanti, «quelli che sfruttano la povertà degli altri» e ne fanno «una fonte di guadagno». Richiamando poi l’opera letteraria spagnola Fuente Ovejuna, ha evidenziato che anche oggi, come nella commedia di Lope de Vega, siamo portati a rispondere “tutti e nessuno” quando vengono chieste le nostre responsabilità.
Papa Francesco ha soggiunto che «siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano».
«La cultura del benessere – ha aggiunto – porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza che ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto. Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!».
Il Papa ha concluso l’omelia chiedendo perdono al Signore per “l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle”, per “l’anestesia del cuore” causata dal chiuderci nel nostro benessere e ha ringraziato il parroco don Stefano Nastasi e la sua comunità, per essere faro di solidarietà nell’accogliere con coraggio ma anche con “tenerezza” quanti cercano una vita migliore.
Prima della Benedizione finale, Papa Francesco ha poi voluto rivolgere una toccante preghiera alla Vergine davanti ad una statua di Maria, Stella del mare. Alla Madonna ha chiesto la protezione dei migranti e la conversione degli sfruttatori.