“Carissimi,
che il Signore vi dia pace!
In questo tempo di attesa sento insieme a voi, sorelle e fratelli, la difficoltà di educare il mio cuore ad aspettare ciò che non dovremmo più aspettare.
Non, riesco, ve lo confesso, ad attendere la pace.
Infatti, da troppo tempo ormai, i venti di guerra che vengono da oriente turbano il mio animo in un Getsemani di lacrime e preghiere.
«Pace, Signore della pace!» è il grido accorato che accompagna la mia orazione quotidiana, perché il pianto dell’umanità che soffre non può lasciarci indifferenti.
Non vi annoi la causa della pace!
Non riesco, ve lo confesso, ad attendere la giustizia.
Giustizia per le vittime delle mafie, per i lavoratori oppressi, per i poveri, tutti i poveri di questa terra, la mia Napoli, terra bella e amara. Bella, non tanto per l’arte che la ricama dai colli al mare, ma per il cuore della mia gente. Sì, la mia gente! Quella che incontro di notte, per le strade. Coloro che per molti non hanno né un nome né un volto. Tante, tantissime storie avrei da raccontarvi, storie di chi, pur non avendo nessuno, è diventato per me famiglia.
Ti raggiunga il mio grazie, fratello mio, sorella mia, che dormi al riparo delle volte di cemento della stazione: il vero povero ero io! Finché non ho visto il tuo volto, non avevo nulla. Mi mancavi tu.
Eppure, ve lo confesso, non riesco a rassegnarmi alla loro condizione, perché so che essa è frutto di una radicale ingiustizia sociale cui non voglio, non posso assuefarmi. Non mi basta l’elenco di iniziative caritatevoli, tantomeno mi conforta il fatto di essere coinvolto in molte di esse.
«Giustizia per i poveri, Signore, amico degli oppressi!»
Credetemi, al di là di ogni retorica, intendo condividere con voi il mio dolore, che so essere anche il vostro: non possiamo più permetterci di attendere la pace e la giustizia!
Dobbiamo, con tutte le nostre forze, divenire operatori di quella pace e costruttori di quella giustizia, che i troppi crocifissi del nostro tempo continuano ad attendere.
Mi chiederete come. Ebbene, non ho altro da suggerirvi se non il Vangelo.
In questo tempo d’attesa, non nego la difficoltà di ripetere al cuore parole di speranza e, tra i mille conforti che il mondo cerca di proporci, alla fine del giorno non ci resti che il Vangelo di Gesù.
Parola bella, sola credibile, che ridona conforto alle membra e all’anima.
Parola capiente, che più che chiedere d’essere accolta, mi accoglie.
Parola semplice, che confonde la mia sapienza e consola la mia stoltezza.
Parola di frontiera, che abbatte i miei confini e allarga i miei orizzonti.
Parola risanatrice, che cura le ferite del cuore.
Per questa Parola non c’è da aspettare. Essa è lì, sempre con te, come compagna di viaggio fedele e
sicura. Da questa parola attingerai le ragioni della pace e il coraggio della giustizia.
Nel tempo dell’attesa, non lasciar aspettare il Vangelo!
Nel tempo del digiuno, saziatene!
Ma cosa significa non lasciar attendere il Vangelo e saziarsene? Significa riempire la Quaresima di quello zelo che animò Gesù stesso, quando presso la piscina di Betzaetà guarì il paralitico (Gv 5). Quel Vangelo continua a interrogarmi.
C’era un uomo, ormai malato da trentotto anni! Trentotto anni! Un tempo lunghissimo, un’attesa interminabile, straziante. Eppure, restava lì, aspettando di gettarsi nella piscina ed essere
prodigiosamente guarito.
Era di sabato.
Il buonsenso avrebbe richiesto di aspettare la fine del riposo prima di guarirlo, così da non indispettire
i credenti più “zelanti”. Cosa sarebbe stato un giorno in più per colui che era in quelle condizioni da
ben trentotto anni?! Ma Gesù la pensava diversamente.
Il dolore dell’uomo non può aspettare. Questo è il Vangelo!
Così noi non lasciamo aspettare il Vangelo che grida da troppo tempo: «Pace! Giustizia!»
Consolate, consolate ogni dolore! Oggi, qui!
Entro la fine di questa Quaresima, che scendano i crocifissi del mondo dalle loro croci, si aprano i sepolcri di quanti l’odio e l’ingiustizia hanno da tempo sepolto!
Sia questa la nostra unica attesa!
Al grido festoso di «Cristo è risorto!» possano rispondere non le nostre labbra, ma le vere risurrezioni
di quanti saremo stati in grado di tirare fuori dai sepolcri attraverso la consolazione appresa alla scuola
del Vangelo.
Per questa Quaresima non lasciar attendere il Vangelo! Saziatene!
E per la Pasqua potremo rispondere con un cuore traboccante di gioia
«E noi siamo risorti con Lui!».”