Il testo dell’Omelia pronunciato da don Mimmo Battaglia nelle esequie celebrate in Cattedrale il 18 marzo:
È difficile parlare. È ancora più difficile pensare.
Il dolore, l’incredulità, la rabbia offuscano la mente e la lingua. Come può un uomo come me riuscire a mettersi nei panni di una donna come Ornella? Come si può sentire sotto la propria pelle il terrore, l’ansia per un figlio, la negazione della dignità, della libertà, la paura di morire? Come posso immaginare lo stupore di essere uccisa, lentamente, dall’uomo che hai amato, da cui hai deciso di volere un figlio.
Penso a te, Ornella… stamattina leggevo del tuo coraggio, del tuo voler vedere il bene in ogni dove, in ogni persona… leggevo della tua caparbietà e della tua fiducia nella vita, quella vita che, troppo presto, ti è stata strappata nel buio di una notte. Una notte come tante altre notti, che ricorderemo come la notte che ti ha portato via da qui, via da noi, via da quella vita che tanto amavi.
Penso a te e, con te, penso alle tante, troppe donne conosciute nei centri antiviolenza, nelle case rifugio, sulle loro strade di protezione dalla paura e dal dolore, lungo i difficili percorsi di ricostruzione di libertà negate da chi per loro ha scelto e preteso con violenza una vita in catene, una vita da proprietà privata di cui disporre a proprio piacere.
Penso a tutte le donne che si sono sentite e si sentono sole, sbagliate, confuse. Schiacciate tra il fallimento di una storia e la speranza di un sogno da non perdere, tra un futuro incerto e un presente complicato, tra chi dice “sopporta” e chi intima “denuncia”; due cose opposte ma che sembrano ugualmente impossibili da fare. Stritolate fra la vergogna e il dolore. E in questo limbo terribile di scelte inattuabili, troppo spesso prende casa il mostro della solitudine, perché siamo tutti bravi a dire cosa sarebbe giusto fare ma lo siamo molto meno ad offrire una presenza, una relazione, un porto sicuro.
Penso alle donne dei centri antiviolenza, alle donne delle case rifugio, e penso al coraggio delle donne che sanno affiancare le altre donne, che tentano con fatica, dolcezza e determinazione di sostenere donne che si ribellano alla violenza maschile sui loro corpi, sulle loro anime, sul loro tutto. Quelle donne che tentano con fatica di costruire un mondo diverso in cui il maschile non sia il tutto ma solo una parte di un tutto che senza il femminile sarebbe incompleto, deprivato e povero. Sono quelle donne che comprendendo il profondo dolore, l’immensa vergogna di donne come loro incapaci di raccontare senza straziarsi la violenza subita, sono queste donne coraggiose che stanno costruendo un nuovo modo di stare al mondo, per il maschile e il femminile. E, soprattutto, di stare in un mondo diverso in cui le relazioni assumano un carattere paritario di sostegno reciproco e sappiano farsi custodi di ciò che dalla relazione nasce, avendo cura di insegnare e di educare i figli ad abitare un mondo giusto, intriso di passione e di compassione. Donne che si prendono cura non solo delle donne ma anche dei bimbi straziati come il piccolo di Ornella, bimbi a cui una mano violenta ha strappato l’anima separandola dal corpo.
E dove troverà presenza oggi, domani e poi ancora, per una vita intera, un bimbo privato del suo tutto? La sua anima spezzata potrà essere rammendata con la lentezza e la pazienza solo da un silenzioso esserci. E mai completamente: il piccolo di Ornella si porterà dietro un carico di dolore e fragilità più grande di quello degli altri bimbi. Ornella ci lascia eredi di questo bambino. A tutti noi è dato l’impegno della cura della sua anima lacerata. La famiglia di Ornella avrà il carico del piccolo ma noi, come società, dovremo impedire che la violenza subita domini sul cuore dei piccoli lasciati soli da mani crudeli e da pensieri di potere oppressivo. È proprio per combattere questa falsa idea di potenza che le famiglie e la scuola avrebbero bisogno di lavorare congiuntamente contro ogni stereotipo di genere volto a ridurre la donna ad un “minus” a servizio del potere maschile. Solo un patto educativo imponente potrà trasformarci in quella comunità educante capace di far emergere in ogni uomo e in ogni donna una persona ricca di potenzialità e pertanto capace di costruire mondi e di riconoscere nell’altro, nell’altra, quel terreno sacro da toccare solo a piedi nudi, quell’immagine di Dio che sarebbe ridicolo pensare soltanto al maschile.
È difficile per me, capire, pensare, parlare. È difficile perché, prima di essere prete e vescovo, sono un uomo, un maschio. Ed è a me, a noi uomini, che voglio dire qualcosa: basta!
Basta pretendere e dare per scontati i nostri privilegi, il nostro potere ereditato da secoli di oppressione sulla donna! Non è “normale”, non è giusto solo perché “è sempre stato così”.
Basta col nostro aspettarci qualcosa come un privilegio dovuto: un pasto cotto a puntino, una camicia ben stirata, un amore!
Basta con questa stupida idea della forza, dell’uomo che non piange mai, che non perde mai, che non può tirare fuori altre emozioni o fragilità che non siano quelle urlate con il linguaggio della rabbia! Non abbiamo bisogno di questa falsa corazza per essere davvero uomini.
Basta col nostro pensare che la violenza è un fatto privato, che i panni sporchi si lavano in famiglia, che le nostre case debbano essere isole irraggiungibili.
Basta con le apparenze di una vita da social. Quante volte abbiamo visto grandi sorrisi e grandi abbracci fra una donna e colui che poi la renderà vittima della sua violenza?
Basta. Basta. Basta, anche con questo inutile apparire, con questo buttare fumo negli occhi, con questa rappresentazione falsa di vite felici. Tutti quanti noi dovremmo imparare dalle donne che si rivolgono ai Centri Antiviolenza a chiedere aiuto, perché dietro un’immagine patinata spesso si nascondono profondi dolori che hanno bisogno di essere accolti, custoditi, condivisi. Il dolore non cerca mai una spiegazione ma ha bisogno di una condivisione profonda, di un esserci, silenzioso e delicato, che dona forza in quel dolore, dona speranza, dona fiducia, dona coraggio. Il coraggio di non subire più il dolore, ma di viverlo, attraversarlo, sanarlo. Così come Ornella sapeva dare, con passione e motivazione, alle sue studentesse ed ai suoi studenti più fragili, una presenza fatta di quotidiano, di stare accanto, di accogliere silenziosamente senza giudizio, di dare ed essere “sostegno”.
Basta. Basta anche a quella parte di Chiesa che accoglie storie di violenza subita trattandole come banali conflitti familiari da risolvere con la sopportazione, la rassegnazione, il finto perdono, la falsa mitezza. Nessuna donna sarà sicura, sarà libera, fino a quando non riusciremo ad urlare ogni giorno, accanto a lei, questo basta.
La sopportazione oltre ogni limite non fa miracoli. Il primo, violento, ceffone deve svelare l’inganno: lì non c’è amore e non ce ne sarà, per nessuno. Apriamo gli occhi, fermiamo la violenza chiamandola col suo nome ogni volta che notiamo un livido nascosto, ogni volta che ascoltiamo la pietosa bugia di chi racconta a tutti che “è caduta dalle scale”. Costruiamo, insieme, un’alternativa alle morti troppo spesso annunciate, chiediamo aiuto alle persone capaci di vedere, ascoltare, comprendere, aiutare. Ce ne sono tra noi. Forse è questo il miracolo vero: che esistano proprio nel mezzo dell’inferno, persone che sanno che l’Amore è Vita, al di qua e al di là della soglia fatale.
Le lacrime di oggi saranno feconde solo se riusciranno a spogliarci di una maschera indossata troppo a lungo, una maschera che ci ha impedito di conoscerci e lasciarci conoscere nella nostra fragilità.
Fino ad allora non potremmo far altro che piangere, piangere il sogno di Ornella, un sogno spezzato, infranto, accoltellato! Il sogno di essere donna, compagna, sorella e madre, di essere amata, di essere un pezzo piccolo ma importante in una società da costruire ogni giorno, magari col sorriso. E come è bello il sorriso di Ornella, quel sorriso di cui siamo stati derubati con forza e per sempre.
Ornella è l’ennesima vittima di femminicidio. La affidiamo a te, Signore della Vita; e insieme a lei ti affidiamo il piccolo Daniele, i suoi familiari e gli amici, ma anche i familiari e gli amici dell’uomo che ha alzato così violentemente la mano contro di lei: tutti vogliamo affidarti. Senza escludere neanche colui che si è reso assassino della madre di suo figlio: nessuno potrà restituire Ornella e tutte le donne vittime di femminicidio ma la tua misericordia, attraverso la giustizia umana, recuperi in essi la tua immagine, quell’immagine che con la loro terribile violenza hanno deturpato e oscurato! La tua misericordia, Signore, possa raggiungere tutti coloro che sono particolarmente coinvolti in questo dramma. Ma ti chiediamo anche, Signore, di aiutare ciascuna e ciascuno di noi a diffondere solo sentimenti di dialogo, di rispetto, di attenzione verso tutte le donne e tutti gli uomini che incontriamo.
Maria, donna custodita da un uomo giusto, capace di sottrarla alla violenza degli uomini, a te affido il sogno di una città capace di reti sociali più strette e solide, di politiche più attente e sistemiche, di sostegni concreti ai centri antiviolenza e alle case rifugio dove le donne e i bambini possano rinascere a nuovi futuri possibili.
A te, donna forte, capace di stare in piedi sotto la croce, lasciata sola dalla maggior parte degli uomini amici del tuo Figlio, affido la mia preghiera affinché le donne siano più amate e rispettate, riconosciute e apprezzate nella propria identità di genere, emancipate da ogni logica di potere, e liberate dalla cultura della sopraffazione e del dominio.
A te, donna che ha conosciuto l’alba di Pasqua, affido l’anelito di un mondo capace di risorgere nell’amore, un mondo in cui le donne e gli uomini sappiano promuovere con tutto se stessi la dignità della vita, sognando un regno fatto di pace e di tenerezza, di accoglienza e di rispetto, un regno in cui gli uomini e le donne sappiano riconoscersi figlie e figli dello stesso cielo: solo così porteranno speranza a molti cuori e correranno il dolce rischio di vedere il loro sogno realizzato.
Pace a te, Ornella. Il Dio della vita ti accolga tra le sue braccia e ti doni parole di tenerezza. Che tu possa sentire la sua carezza. E aiutaci tu ad accarezzare la vita e ad amare la vita. Non so come, non so quando, non so dove, ma so che noi ci incontreremo, ci vedremo, ci abbracceremo. Perché l’amore è più forte della morte. E tu sai cos’è l’amore. E chi ama non muore.
+ don Mimmo Battaglia