PLENUM DI SPIRITUALITÀ E FRATERNITÀ DEL CLERO DIOCESANO

Le parole di Don Mimmo Battaglia

Messa Plenum Sacerdoti

Torre del Greco – Basilica di Santa Croce, 03 giugno 2025

 

Fratelli e figli miei,

oggi ci ritroviamo qui, nella Basilica di Santa Croce, non solo per celebrare un anniversario, ma per lasciarci toccare ancora una volta dalla vita e dalla testimonianza di un uomo che ha saputo essere pastore con il cuore spalancato: San Vincenzo Romano. Nel giorno del suo compleanno, a pochi giorni dai 250 anni della sua ordinazione sacerdotale, in questa terra che lo ha generato e da lui è stata rigenerata, sentiamo di essere convocati non solo da una memoria grata, ma anche dalla profezia viva del suo ministero, che ancora parla ai nostri giorni e al nostro tempo.

In questa cornice di luce e di fedeltà, ricordiamo oggi con gratitudine tutti gli anniversari dei nostri presbiteri, soprattutto quelli che segnano un tempo importante: i 25, i 40, i 50 anni di ordinazione. Non celebriamo solo numeri, ma vite donate, passi consumati sulle strade, braccia che hanno benedetto, accolto, consolato. Nel segno di San Vincenzo, anche questi fratelli diventano per noi segno e sacramento di un amore fedele, paziente, umile, capace di attraversare le stagioni della vita.

Permettetemi di ringraziare con affetto fraterno il Vescovo Claudio, che ci accompagna oggi con la sua presenza e ci dona la sua parola sapiente: è un dono grande averlo in mezzo a noi ed è per me anche un segno forte della bellezza di camminare insieme anche con altre chiese diocesane, nel sentiero della comunione e della sinodalità.

Oggi la Parola ci conduce in due momenti decisivi, eppure non teatrali: non nel tempio, ma sulla strada. Non tra applausi, ma tra lacrime e consegne. Da una parte c’è Paolo, che saluta i presbiteri di Efeso con parole che non sono teoria ma carne: “Sapete come mi sono comportato con voi…”: non sta difendendo un ruolo, sta raccontando una vita. Una vita spesa, attraversata da lacrime e prove, segnata dal servizio umile e dalla fedeltà quotidiana. Ha camminato accanto alla sua gente, ha parlato pubblicamente e nel segreto delle case, ha annunciato la conversione e la speranza, senza selezionare le persone, senza tirarsi mai indietro. E ora, costretto dallo Spirito, si rimette in cammino verso Gerusalemme, senza sapere cosa lo aspetta, se non tribolazioni e catene. Ma non si ferma, non si risparmia: ha un fuoco dentro che lo spinge. L’unica cosa che gli importa è portare a compimento la corsa, terminare il compito ricevuto dal Signore Gesù. E può dire, con cuore libero: “Non mi sono sottratto ad annunciarvi tutta la volontà di Dio.”

Poi nel Vangelo incontriamo Gesù. Anche lui, in un’ora carica di attesa, si ferma. Ma non per parlare, per pregare. Alza gli occhi al cielo e si affida al Padre. Anche lui sta per consegnarsi, e lo fa pregando per i suoi, per noi, per ciascuno di noi. Ha compiuto l’opera, ha detto tutto, ha dato tutto. Ora è tempo di lasciare. Ma non abbandona: affida. E nella sua preghiera c’è spazio per ciascuno di noi. Gesù non si difende, Paolo non si trattiene. Entrambi vivono una logica che è tutta evangelica: la logica del dono, non del controllo; della fedeltà, non del successo; della corsa da terminare, non del posto da conservare. Ecco allora l’invito che oggi ci raggiunge, semplice e forte: camminate, non fermatevi. Annunciate, non tacete. Servite, non trattenete. Lasciate che la vostra vita racconti il Vangelo con le parole, con le scelte, con i passi. Siate uomini in cammino, con le mani aperte, lo sguardo alto e il cuore consegnato. Perché è così che si dà gloria a Dio: portando a compimento, giorno per giorno, l’opera che ci è stata affidata.

Fratelli presbiteri, oggi qui in questa terra vesuviana dobbiamo ricordarci Vincenzo non è un monumento da ammirare. È un’eredità viva, una chiamata che ci riguarda, un esame di coscienza che non possiamo evitare. Per questo voglio affidarvi — e affidarmi — tre consegne. Tre parole semplici, ma cariche del carisma di questo nostro presbitero santo. Tre direzioni per chi, come noi, desidera essere prete non a metà, ma interamente, fino all’ultima goccia.

La prima: essere prevete faticatore”.  Così lo chiamavano. Così si presentava. E questa in fondo è la nostra chiamata: essere preti dalle mani sporche di carità, preti della strada, del sudore, delle relazioni, del lavoro per il bene di tutti, della fatica spesa nell’annunciare l’unico Signore della storia. Preti instancabili per i poveri, i malati, i soli, i dimenticati. Non impiegati del sacro, ma servitori del dolore e della speranza. San Vincenzo non delegava la carità. Non aspettava che venissero a cercarlo: era lui a muoversi, a raggiungere, a bussare. Aiutava la ricostruzione dopo l’eruzione del Vesuvio ma prima di tutto ricostruiva i cuori. Sapeva che ogni pietra messa a posto era anche una persona rialzata dal dolore e riconsegnata alla speranza evangelica. Fratelli miei, don Vincenzo oggi ci chiede: le vostre giornate sono ancora spese così, nell’amore per la gente? Le nostre mani odorano ancora di misericordia? Le nostre scarpe sono consumate dal cammino?

La seconda consegna: essere predicatori instancabili del Vangelo. Non delle nostre idee, non delle nostre opinioni, non di dottrine astratte o moralismi stanchi. Ma del Vangelo. Vivo. Tagliente. Tenero. Il Vangelo che consola e scuote. Il Vangelo che cammina accanto e che rimette in piedi. San Vincenzo predicava con la voce e con la vita. Indicando nella Croce la sorgente inesauribile della tenerezza e della misericordia di Dio.  E lo faceva sul pulpito della chiesa come sulla strada, nella catechesi come nel dolore condiviso. Diceva parole che la gente capiva, ma soprattutto diceva parole che toccavano il cuore. Aveva imparato da Gesù l’arte di parlare al tempo e all’eternità insieme. E lo faceva senza cercare applausi, ma mosso dall’unico desiderio di far in modo che i cuori si aprissero alla Parola. Non cercava consenso, ma proponeva la verità che salva. E allora possiamo chiederci: noi oggi, che Vangelo annunciamo? Il Vangelo o le nostre idee? Un Vangelo che inquieta e consola, o un discorso che non parla al cuore degli uomini assetati di verità e di vita?

La terza consegna, fratelli, è questa: essere uomini dello Spirito. Perché senza preghiera il prete si svuota. Senza silenzio si disperde. Senza contemplazione diventa un funzionario, magari efficiente, ma senz’anima. San Vincenzo Romano era un uomo in ginocchio. Le sue giornate, piene fino all’ultimo respiro, non erano mai vuote di Dio. Pregava, contemplava, sostava a lungo davanti al tabernacolo. E lì trovava la forza, lì si lasciava trasfigurare. Era solito dire: “Il sacerdote deve essere luce, e per essere luce deve stare unito al Sole.” Anche noi, oggi, abbiamo bisogno di tornare a essere uomini dello Spirito. Uomini capaci non solo di servire, ma di riposare nel Signore. Di fermarci. Di respirare. Di rientrare in noi stessi.

Permettetemi, con affetto fraterno, di aprire una parentesi sulla cura di sé. Lo faccio perché vi ascolto, vi incontro, e spesso sento la vostra stanchezza. Una stanchezza che non viene solo dal fare troppo, ma dal vivere in un tempo che corre veloce, che ci travolge. Le notifiche, le chat, la reperibilità continua… sembriamo sempre accessibili, ovunque, in ogni momento. E questo ci sfinisce. Proprio per questo oggi sento il bisogno di ripetervi una frase di san Carlo Borromeo, che il breviario ci fa rileggere ogni anno nel giorno della sua memoria: “Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso.” Questa cura, che non è egoismo ma sapienza, ha abitato anche la vita di Vincenzo Romano. Era un prete instancabile, ma non affannato. Mai smarrito. Perché sapeva fermarsi. Sapeva riposare in Lui, e con i fratelli. E da lì ricominciava, ogni giorno.

E allora, carissimi presbiteri, non temiamo di ritornare alla sorgente. Perché solo chi contempla può annunciare. Solo chi si lascia amare può amare. Solo chi riposa nel Signore può sostenere il peso di tanti cuori. E così, fratelli miei, se torniamo a essere faticatori nella carità, predicatori del Vangelo e uomini di contemplazione, allora sì: saremo preti come San Vincenzo. Preti con l’odore del popolo e il respiro di Dio.

 

E tu, Vincenzo,

discepolo innamorato,

presbitero col cuore scalzo,

anima impastata di cielo e polvere,

a te affido i preti della nostra Chiesa di Napoli.

 

Tu che non hai mai smesso di camminare

tra i vicoli e le rovine,

tra le lacrime della tua gente

e la speranza accesa tra le macerie,

fa’ che i nostri presbiteri siano come te:

faticatori del bene,

artigiani di prossimità,

cuori in allerta che si piegano senza spezzarsi

sui dolori nascosti della porzione di umanità

a loro affidata.

 

Tu che hai annunciato la Parola

tra i panni stesi e i mercati,

tra le strade affollate e i cortili dei palazzi,

fa’ che i nostri preti siano

voce del Vangelo tra i rumori assordanti del mondo,

parola chiara tra le chiacchiere vane,

fuoco mite che non brucia ma scalda,

che non giudica ma rialza.

 

Tu che hai saputo sostare,

nel silenzio che scava,

dialogando con Cristo come un amico,

aiuta i tuoi confratelli presbiteri

ad essere sempre più uomini dello Spirito,

pastori che prima di portare Dio agli altri

si lasciano portare da Lui.

 

San Vincenzo Romano,

veglia su questa nostra Chiesa napoletana

sulle nostre città, sulla nostra terra.

Accarezza con la tua preghiera il nostro popolo,

sostieni i passi di chi non ce la fa più,

illumina chi ha perso la strada,

riaccendi nei giovani il sogno,

rinsalda le famiglie nella fedeltà dell’amore.

 

Fa’ che la Chiesa di Napoli

sia profumata di Vangelo!

 

E non dimenticare, Vincenzo,

questo nostro mondo ferito,

questa umanità che ha fame di pace,

che ha sete di giustizia,

che cerca senso tra le macerie delle guerre.

 

Prega per chi non ha voce,

per i bambini strappati alla vita,

per le madri che piangono in silenzio,

per le terre martoriate dalla guerra.

 

Fa’ che anche noi, come te,

non restiamo mai indifferenti,

e che ci alziamo in piedi,

con mani che curano e cuori che costruiscono

e condividono il dono della Pace.

 

Amen.

 

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