Riapre la Chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli

Giubileo per Napoli

Il Cardinale Crescenzio Sepe, a seguito di concessione da parte dell’Agenzia del Demanio, dopo 67 anni , riapre la Chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli (in via Sant’Aniello a Caponapoli, alle spalle del Primo Policlinico di Napoli).
L’evento inaugura il progetto “Chiese da Riaprire”, promosso dall’Arcidiocesi di Napoli in collaborazione con le Soprintendenze di Napoli e le Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e della Seconda Università degli Studi di Napoli. 
 Scheda Storica di Sant’Aniello a Caponapoli
L’attuale chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, sull’acropoli dell’antica Neapolis, risale ai primi decenni del ‘500. Danneggiata dai bombardamenti del 1944, fu abbandonata per un ventennio, subendo importanti danni e spoliazioni. Negli anni ’60 furono ricostruiti il tetto e l’esonartece. Alcuni saggi, seguiti da estesi scavi, misero a nudo importanti reperti, studiati e documentati nel corso del presente intervento:  tre successivi allineamenti murari della città greca del IV- III secolo a. C. nella navata e un quarto nel transetto, dietro l’altare maggiore, fungevano anche da muri di contenimento del costone degradante verso l’attuale piazza Cavour.  Ancora, muri romani in opus reticulatum del I secolo d. C. inframmezzati a tombe altomedioevali. In prossimità dell’altare maggiore, le tracce dell’abside di una cappella paleocristiana. Sotto alcune cappelle, rese visitabili, le tipiche tombe con sedile “a scolo”. La minuziosa ricognizione, il rilievo e  la schedatura hanno consentito la ricomposizione del gigantesco puzzle di reperti marmorei in tutta la chiesa. Le origini sono antichissime. La sua fondazione  risale infatti al VI secolo ed è strettamente connessa alla storia della vita del  santo. Secondo la tradizione,  nel  punto pi_ alto della città dove era l’antica acropoli di Neapolis, era custodita un’immagine della Madonna ritenuta miracolosa, qui venivano i genitori di Aniello  per ottenere la grazia di un figlio. Il piccolo Agnello mostrò presto i segni di una nascita avvenuta per intercessione divina scegliendo una vita di solitudine e di  preghiera proprio nel luogo dove era conservata l’immagine della Madonna che fu poi denominata Santa Maria Intercede. Alla sua morte, Aniello  fu sepolto nella stessa chiesa ,il suo culto ottenne grande favore e si diffuse in tutto l’alto e basso medio evo. La prima notizia certa dell’edificio risale al 1058. Dalla fine del XIII secolo  la chiesa fu governata da un rettore membro della congregazione della Santa croce; nel 1517 , l’abate di Sant’Aniello rinunciò ai benefici in favore del papa Leone X, che a sua volta li concesse ai canonici regolari di sant’Agostino della congregazione del Salvatore con l’indicazione di costruire una nuova chiesa. Sarebbe dovuta essere una fabbrica ben più grande , in grado di rendere adeguato onore al culto di Sant’Aniello che stava acquisendo sempre maggior prestigio, al punto da divenire il settimo patrono della città. Fu in occasione di questo ampliamento che la primitiva chiesetta di Santa Maria Intercede fu inserita nel nuovo corpo di fabbrica  con funzione di navata , in corrispondenza del transetto della nuova chiesa che veniva quindi dedicata a Sant’Aniello, divenuto il settimo patrono della città. Committente di questo ampliamento e dell’esecuzione dell’altare maggiore fu Giovanni Maria Poderico, arcivescovo di Taranto nel 1510, regio consigliere e Cappellano Maggiore di Ferdinando il Cattolico. Poderico apparteneva ad una delle famiglie più importanti del Seggio di Montagna, legata alle personalità di spicco dell’umanesimo napoletano quali Pontano, Summonte e, in particolare, Jacopo Sannazzaro.  La nuova chiesa, a navata unica, presentava una ricchezza di decorazioni di marmo di straordinaria qualità: portali, monumenti sepolcrali, altari, lapidi e sculture realizzate in bianchissimo marmo di Carrara. La scelta del marmo come materiale privilegiato rispondeva ad un preciso ideale rinascimentale che, riconosceva nel marmo il materiale usato dagli antichi  incorruttibile e capace di donare eternità all’opera e al suo significato simbolico. Tra le opere più significative sottratte all’incuria e ai furti che hanno causato gravissimi danni alla chiesa, spicca l’altare maggiore  con la bellissima  tavola centrale a mezzo rilievo raffigurante la Madonna delle Grazie tra San Cataldo,. che presenta il committente Giovanni maria Poderico e Sant’Aniello, sulla destra che presenta in basso,  nell’atto atto di offrire un bambino alla Madonna, un personaggio inginocchiato. L’opera , datata agli anni 1517-20 , Ë di Girolamo Santacroce( 1502-1537) e appartiene alla prima fase dell’attività dello scultore , quando si avverte ancora molto forte l’influenza dei due scultori spagnoli, attivi a Napoli nel primi decenni del Cinquecento, BartolmÈ Ordonez e Diego de Siloe. Un’altra opera di grande importanza Ë collocata nella cappella Lottieri nella navata. Qui è custodito un bassorilievo in marmo raffigurante la Madonna delle grazie  con le anime del purgatorio attribuito a Giovanni Antonio Tenerello, uno scultore della cerchia di Giovanni da Nola. A seguito di un furto della lastra inferiore con le anime purganti si è salvato solo un frammento ricollocato nel corso del restauro nella sua posizione originaria. Nella cappella di Santa Dorotea, lungo il transetto è conservata la scultura raffigurante la santa attribuita a Giovanni da Nola sin dalla fine del Cinquecento. La scultura, datata al 1534, Ë citata nelle guide antiche della chiesa come opera di particolare valore. Attualmente la scultura è acefala ma la testa è conservata nel deposito di san Martino in attesa di ricollocazione. L’altare, pur esso ridotto a pochi resti a seguito dei furti, reca come paliotto un affresco in monocromo raffigurane una Pietà attribuito ad Agostino Tesauro.
Interesse culturale sotto l’aspetto urbanistico e architettonico.
Il sito urbano di Caponapoli corrispondente al punto pialto della cittgreca, occupa l’angolo interno determinato dai margini settentrionale e occidentale del primitivo nucleo urbano di Neapolis: margini oggi identificabili – seppure con tutte le necessarie approssimazioni – con la via Foria, a settentrione e la via Costantinopoli, a occidente.
La configurazione iniziale e le successive trasformazioni di questa parte dell’acropoli devono necessariamente intendersi intimamente collegate all’importanza della  collocazione naturale del sito e alle vicende che hanno interessato l’intera citt sicchtale area puriguardarsi come una delle pisensibili al mutare dei tempi e delle circostanze storiche. Le origini dovettero essere improntate dalle necessitdi difesa, come sembrano testimoniare i successivi allineamenti difensivi di epoca greca ritrovati sotto il calpestio della chiesa, attestati sulla parte alta della collina, orientati secondo una direttrice Nord-Ovest/Sud-Est, parallelamente – all’incirca – all’attuale via Foria. In quest’area si dovevano concentrarsi anche importanti edifici religiosi dedicati al culto di Diana, di Apollo, di Cerere e dovevano svolgersi solenni riti con processioni e sacrifici.
In epoca romana, quando la zona fu scelta da numerose famiglie patrizie per le loro dimore, il luogo, arricchito da giardini e da frutteti, perse la connotazione esclusivamente religiosa. 
 Le costruzioni di carattere difensivo continuarono a determinare uno degli aspetti prevalenti del sito anche in epoca angioina (ritrovamenti in largo S. Aniello e sotto la clinica di Semeiotica Medica) e, poi, in quella vicereale. La nuova cinta di don Pedro di Toledo – che anche in altri punti della cittdoveva lasciare segni indelebili – disegna qui una configurazione nuova dell’area, attestandosi ai piedi della collina, innanzi al vallone in cui scorrevano le lave dei Vergini e determinando – a seguito del riempimento tra il ciglio della collina e le nuove mura – un ampliamento a Nord del ripiano fortificato.
Per la sua salubrite la sua quiete, derivante dal parziale isolamento dovuto alla quota sopraelevata, il luogo fu scelto da Maria Longo, agli inizi del Cinquecento, per la fondazione di quello che poi diventerl’ospedale degl’Incurabili. La condizione originaria del luogo, molto pialto di quanto appare oggi, si persa a seguito dei terremoti e degli smottamenti del costone sul versante dei Vergini. Ancora, il Celano ricorda che i napoletani solevano andare a passeggiare sulla collina, attratti dalla sua bellezza e dalla vista incantevole sulla città e la sera in questo luogo si vedono adunanze di uomini eruditi e letterati. 
             In quegli stessi anni vennero fondati, in un raggio assai ristretto, la chiesa e monastero di Sant’Andrea delle Dame (1584 1585), le chiese della Madonna delle Grazie, modificata e ultimata  nel 1519, di Santa Maria del Popolo agli Incurabili (1526) con l’omonimo Ospedale fondato nel 1521 e, ancora, di Santa Maria Regina Coeli, con il chiostro del Picchiatti e gli stucchi seicenteschi, senza contare il teatro antico, recentemente per buona parte portato in luce e restaurato, oltre alle tante altre chiese nell’mmediato intorno urbano.

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