Ci soffermiamo su tre aspetti che colgono situazioni e temi che consentono di prepararci alla Pasqua. In primo luogo, rifletteremo sul mese di Abib, poi sul pane azzimo e, infine, sulla solenne assemblea.
Il mese di Abib, come abbiamo ricordato, era il mese della maturazione del grano. Quest’espressione ne richiama una che si trova nel celebre brano della Samaritana, che è stato proclamato nella terza domenica di Quaresima. Gesù, ai discepoli stupiti perché rifiutava il cibo, disse: «Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» (Gv 4,35). Il grano che è in via di maturazione è simbolo del cammino nella vita di fede, che fa avviare il credente a riconoscere quale suo unico Signore e Salvatore del mondo il Cristo, Gesù, che si è sacrificato volontariamente per ciascuno di noi.
Tutto richiede un cammino: gli ebrei dovettero camminare nel deserto prima di “mietere” i frutti della terra promessa; la Samaritana fu invitata a mettersi alla ricerca prima di abbeverarsi all’acqua viva e di chiamare i suoi concittadini a fare altrettanto; il cieco nato, prima di vedere con i propri occhi colui che glieli aveva aperti, dovette affrontare una seria inchiesta che aveva lo scopo di farlo cadere ed esporre al ridicolo; Marta e Maria piansero per tre giorni la morte del fratello Lazzaro prima di vedere il segno grande della risurrezione, che annunciava una ben più importante risurrezione: quella del Figlio di Dio.
Il mese di Abib, il primo dell’anno, ricorda anche l’inizio, il cominciare. Tutti siamo invitati a cominciare daccapo, cambiando le fondamenta della nostra esistenza. Queste Catacombe ci ricordano le tante persone che, dopo aver conosciuto Cristo, hanno ricominciato a vivere perché sono nati “dall’alto”.
Noi tutti, e soprattutto i giovani, siamo dei “viatori” dei “camminatori”, dei viandanti, dei pellegrini, dei mendicanti.
Chiamati ad alzarci e a metterci in cammino per raggiungere una meta. Quale? Cristo, che è la Via la Verità e la Vita. Questo è l’invito che ci viene dal Giubileo. Camminare per attraversare la porta della vita e incontrare Cristo, annunziarlo, farlo amare. È la nostra Pasqua di risurrezione.
Riflettiamo ora sul pane azzimo, il pane non lievitato. Infatti, la parola “azzimo” è composta dall’alfa privativa e dal termine zyme, che vuol dire “lievito”. È interessante l’interpretazione che ne fa l’apostolo Paolo: «Non è bello che voi vi vantiate. Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1Cor 5,6-8). Il lievito, quindi, può essere visto come simbolo della “putrefazione morale”, mentre il pane azzimo è simbolo della novità, della purezza e dell’onestà.
Anche Gesù invitava i suoi discepoli a guardarsi dal lievito dei farisei e da lievito di Erode, come si legge in Mc 8,13. Il lievito dei farisei è l’ipocrisia, il formalismo sterile, mentre quello di Erode è la sete di potere.
Non c’è altra via per risorgere che diventare “azzimi”; in altre parole, bisogna essere partecipi della realtà della Pasqua per farsi rinnovare da Cristo, l’Agnello pasquale. Per diventare azzimi occorre liberarsi dal lievito vecchio, cioè del nostro uomo non riconciliato con Dio Padre – di quell’uomo che Cristo ha crocifisso nella sua carne sulla croce – per prepararsi a diventare “pasta nuova”, il lievito nuovo con il quale far fermentare il regno dei cieli, come si trova scritto in Mt 13,33.
Il cristiano si impegna a rigettare tutti i fenomeni malefici che avvelenano l’esistenza personale e quella sociale. È questo l’impegno del nostro Giubileo.
Ci soffermiamo, infine, sull’espressione solenne assemblea, in quanto esprime la dimensione liturgica, che non è per nulla secondaria.
Tra tutte le grandi assemblee, la più solenne è senz’altro quella della Veglia pasquale, nella quale la madre Chiesa, con sapienza, ci aiuta a leggere la nostra realtà di “rinati”. Nella Veglia ogni cosa è nuova: il fuoco, acceso nella liturgia della luce all’inizio; il canto dell’Alleluia, con cui culmina la liturgia della Parola, nella quale si riassume l’intera storia della salvezza, che acquista senso con la risurrezione di Cristo; l’acqua nuova, nella quale vengono battezzati coloro che sono chiamati a essere “nuove creature” innestate in Gesù Cristo; il pane nuovo dell’Eucaristia, con la quale celebriamo il Signore risorto che c’invita a partecipare alla sua mensa.
In queste venerande Catacombe di san Gennaro immaginiamo che moltissimi siano rinati dall’acqua e dallo Spirito, ricevendo il Battesimo nella vasca battesimale e il crisma che li ha resi sacerdoti, re e profeti, nel consignatorium, cioè nel luogo della “consegna dello Spirito Santo” – entrambi fatti costruire dal vescovo Paolo II -, per passare, poi, alla partecipazione a pieno titolo alla solenne assemblea eucaristica nell’Oratorio di Sant’Agrippino.
Concludo con un brano di un discorso del vescovo di Cartagine, Quodvultdeus, morto esule a Napoli per non aver voluto aderire all’eresia ariana e sepolto in queste Catacombe nella Cripta dei vescovi: «Mosè era la figura del Cristo Signore, perché era la guida del popolo. Nel suo bastone riconoscete la croce. Nel Mar Rosso riconoscete il Battesimo, imporporato dal sangue di Cristo [
]. Gridate al vostro Mosè, il Cristo Signore, perché colpisca il mare del Battesimo con il bastone della sua croce e affinché l’acqua ritorni e sommerga gli egiziani. Come non rimase un solo egiziano così non resterà uno solo dei vostri peccati; chi ha creato tutto purificherà tutto; annienterà il faraone, il diavolo autore della morte e libererà il suo popolo attraverso l’acqua della salvezza» (De cataclysmo 3, 26, 22-24).