Te Deum

-Omelia del Cardinale Sepe

 Distinte Autorità,      Cari amici, All’inizio di queste  mie riflessioni sulla odierna liturgia, che è di ringraziamento al Signore per il suo costante amore misericordioso e di ingresso nel Nuovo Anno, nella letizia del’animo che ci viene dall’ascolto della Parola, mi faccio interprete anche dei vostri sentimenti nel ricordare tre nostri fratelli napoletani, Michele Liccardo, Giovanni Rinaldi e Michele Balzano, i quali tragicamente hanno perduto la vita venendo risucchiati dalla violenza del Mare Adriatico dopo che erano scampati dall’incendio sviluppatosi sulla nave Norman Atlantic che trasportava anche i loro automezzi sui quali lavoravano per conto di una Ditta di Volla.In queste ore tanto tristi e luttuose, con dolore e commozione li affidiamo alla misericordia divina, ricordandoli nella preghiera come vittime innocenti del lavoro ed esaltando il valore del loro estremo sacrificio, mentre rivolgiamo alle rispettive famiglie affettuose espressioni di cordoglio, di vicinanza e di partecipazione alla loro grave perdita, invocando su di loro la benedizione, il conforto e il sostegno del buon Dio, nella certezza che non mancheranno concrete testimonianze di solidarietà umana e carità cristiana, di cui anche la Chiesa di Napoli si farà portatrice.          Tra poche ore, il Dio della vita e della storia ci farà entrare in un nuovo anno, il 2015 dell’era cristiana, aprendoci la strada ad un nuovo cammino della nostra esistenza. Questa data, che può sembrare  convenzionale come spartiacque tra l’anno che sta per finire e quello che sta per venire, è carica di significati per tutti.         Innanzitutto, essa ci fa pensare all’ineluttabile, inquietante scorrere del tempo e ci induce a riflettere sul senso della nostra vita. Come credenti, sappiamo che con Gesù è venuta la “pienezza” del tempo, pienezza di significato e pienezza di salvezza. Con lui è cambiata la qualità del tempo:esso non è più una sequenza fugace, dispersiva, di momenti e stagioni, ma custodisce qualcosa di definitivo. Ogni nostro gesto è carico di eternità, influisce sul nostro futuro, scolpisce la nostra identità.La concezione cristiana del tempo e della storia non è ciclica, ma lineare: è un percorso che va verso un compimento. La fine di un anno, la conclusione di una stagione della vita, non ci induca quindi a pensare alla vita che si sbriciola sotto i nostri occhi, ma ad una realtà che si compie, ad un’ulteriore tappa verso la meta della nostra vita: un orizzonte di bellezza, un traguardo di felicità, perché incontreremo Dio, che già oggi è radice della nostra speranza, fonte della nostra gioia.Nella luce di Dio, facciamo un bilancio della qualità della nostra vita: esaminiamo il tempo che è passato, rivediamo i mesi che abbiamo vissuto. Questo momento è percepito con particolare intensità e diventa, in certo qual modo, una sintesi dell’intero percorso dell’anno che sta per tramontare. Una domanda incalza la nostra coscienza: come abbiamo vissuto il tempo che la Provvidenza ci ha donato? Che uso abbiamo fatto dei suoi doni, delle opportunità che Dio ha posto nelle nostre mani? Se ci fermiamo a riflettere, perverremo alla consapevolezza che da sempre siamo stati oggetto di un’eterna benevolenza, di un’attenzione premurosa che ci ha addirittura preceduti nell’esistenza. Che cosa abbiamo che non abbiamo ricevuto?! Il senso religioso – è stato osservato – nasce solo quando l’uomo sente il bisogno di ringraziare Qualcuno per la propria esistenza, per quello che è e per tutto ciò che ha.In questa prospettiva, stasera,  desidero riflettere, assieme a voi, su due parole: grazie e perdono. “Grazie”, Signore, per tutto ciò che ci hai donato; grazie, perché ci hai amato. E  “perdono”, Signore, perché non abbiamo saputo mettere a frutto le opportunità che tu, nella tua bontà, ci hai offerto.Quante e quali risorse abbiamo avuto nelle nostre mani! Sono le possibilità che ognuno ha ricevuto dalla Natura e dalla Grazia; sono i talenti di cui ci parla il Vangelo. Come li abbiamo impiegati? Li abbiamo usati solo per noi stessi, per i nostri interessi, o abbiamo saputo spenderli anche per gli altri? Quanto tempo abbiamo sprecato e quanto ne abbiamo riservato al silenzio, alla crescita della nostra vita interiore? Quanto tempo abbiamo potuto dedicare  al volontariato, al servizio agli altri? D’altra parte, badare esclusivamente al proprio tornaconto personale, non è immaginabile e neppure vantaggioso, perché ogni nostra scelta incide inevitabilmente sul bene di tutti, così come le azioni degli altri incidono – poco o tanto – sul nostro vissuto.  Che lo vogliamo o no, siamo legati tra noi a doppio filo. Costituiamo un’unica rete con vincoli vicini o lontani, ma tutti collegati tra loro. Quello che accade ad uno ha ripercussioni su tutti gli altri. Se un nodo si allenta, ne viene a soffrire la funzionalità di tutta la rete. Siamo “costretti” ad essere responsabili, se non vogliamo rinunciare ad essere intelligenti. In tale linea, noi napoletani rivolgiamo in questo momento il nostro pensiero anche alla nostra città. Sappiamo tutti delle difficoltà in cui essa versa per una complessità di motivi che vengono da lontano, ma che vediamo aggravati per una crisi economica internazionale che sfilaccia il già fragile tessuto sociale. Come vorremmo che Napoli trovasse la via del proprio riscatto! Come vorremmo che il livello di vivibilità dei nostri quartieri facesse un salto di qualità e di civiltà!La storia ci insegna che il destino di Napoli dipende da noi. Solo se tutti noi ci adoperiamo per la nostra città, la situazione potrà cambiare davvero. Senza dubbio, chi è a capo di un’istituzione ha maggiore responsabilità, ma ciascuno di noi è corresponsabile, nel bene e nel male, della costruzione della casa comune. È necessario per questo che cresca il livello di partecipazione, la qualità della nostra cittadinanza. Chiediamoci tutti questa sera: abbiamo collaborato, nel nostro ambito, a rendere Napoli una città più vivibile, disciplinata, ospitale? Napoli è una città di una bellezza unica. Vanta un patrimonio spirituale e culturale di straordinaria grandezza. Eppure, oggi in pochi riconoscerebbero la sua antica nobiltà! Molti cittadini al momento fanno fatica a sopravvivere e il degrado urbano e sociale contrasta visibilmente con il suo antico splendore.Questa sera, dinanzi al Signore e alla nostra coscienza, chiediamoci come agiremo nel prossimo anno, cosa faremo per rendere migliore la nostra città. Abbandoniamo la cultura del lamento, così cara a tanti, abbandoniamo la prassi di guardare la vita civile “dal balcone”,  senza lasciarci coinvolgere, senza sporcarci le mani. Proponiamoci di cambiare atteggiamento, di collaborare con spirito costruttivo e solidale per il bene di tutti. Nessuno si può permettere di rispondere a queste pressanti istanze : “Sono io il custode di mio fratello?”. Proprio in questa linea sta operando – da qualche anno ormai – la Chiesa di Napoli, impegnata a dare il proprio contributo alla vita e al futuro della città. La Chiesa non è estranea alla città e, per questo, non manca di sottolineare l’urgenza di una opportuna riflessione sulle responsabilità che, come credenti, abbiamo per l’edificazione della vita civile. Del resto, sentendosi proiettata verso la città celeste, la comunità ecclesiale sa bene che il cammino da fare passa attraverso la costruzione della città terrena. I cristiani, pertanto, sono chiamati a riflettere sulla responsabilità che hanno nell’edificazione di una società umana, buona e giusta. Siamo consapevoli delle nostre negligenze e della nostra inadeguatezza, ma siamo anche certi che il lievito del Vangelo servirà, come un nuovo fermento, a proporre efficaci modelli di comportamento e a dare a tutti l’energia spirituale per un’opera che si annuncia non facile, ma non per questo meno esaltante. Già ci sono tante persone che lavorano in silenzio per il bene di tutti. La loro umile testimonianza rafforza la nostra fede e ci aiuta nei momenti di crisi, quando siamo presi dalla tentazione di occuparci solo delle nostre cose. È già iniziata una mobilitazione delle energie migliori.Questa sera concludiamo il 2014 con il cuore pieno di trepidazione, ringraziando per il tempo che ci è stato dato per la nostra crescita e anche chiedendo perdono per le occasioni sciupate, per esserci chiusi nei nostri interessi, nel nostro individualismo. La Madre di Dio, nel cui nome domani inizieremo il 2015 e, con esso, un nuovo tratto del nostro pellegrinaggio terreno, ci insegni ad accogliere il Dio fatto uomo.  In Lui è riposta la pienezza di ogni tempo umano. In Lui è custodito il futuro di ogni uomo. In Lui si avvera il compimento delle speranze della Chiesa e del mondo. La Serva di Dio ci educhi a chinarci su chi è a terra perché, aggrappandosi al collo, possa rialzarsi e camminare incontro al proprio futuro.Cantando ora il Te Deum, ci soffermeremo sulle parole “In te domine speravi, non confundar in aeternum”. Ho sperato in Te Signore. Che non sia vana la mia fatica, perché non sia vuota la tua promessa. Viviamo nel mondo, ma insieme a Dio. Operiamo nella storia, ma al suo cospetto. Lasceremo la terra, ma rimarremo affidati a Lui per sempre.                         Felice Anno Nuovo     Dio vi benedica  e  ‘A Maronna c’accumpagna!

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