“NAPOLI, NON DISPERARE MAI!”

Omelia di don Mimmo Battaglia alla Festa per la Traslazione delle Reliquie di San Gennaro

Traslazione reliquie San Gennaro

Basilica Santa Chiara, 6 maggio 2023

 

Sorelle e fratelli, anche quest’anno ci ritroviamo insieme a percorrere i vicoli e le strade della nostra città, nel ricordo di tanti fratelli e sorelle che hanno testimoniato la bellezza del Vangelo e a cui ci affidiamo come ad amici, guardando a loro come modelli di vita, capaci di rammentarci che il Vangelo non è un’utopia ma è possibilità di vita vissuta.

Sapete, ogni volta che vivo l’esperienza di una processione cerco sempre di trasformarla in un momento di verifica, direi quasi in un esame di coscienza nel quale mi domando: dove sto andando, qual è la meta della mia vita, il mio cammino è un vagabondare intorno a esperienze senza senso o è piuttosto un pellegrinaggio verso la sorgente del significato?

Credo che sia bello domandarci tutto questo anche quest’oggi, soprattutto se il nostro camminare è cadenzato dalla memoria di chi attraverso il martirio o la testimonianza feriale aveva ben chiara la meta della sua vita e il ritmo evangelico del suo procedere. Le nostre processioni possono essere dei momenti molto belli di convivialità, degli eventi che rinsaldano l’identità di un popolo e della sua tradizione, possono essere perfino segnate dall’estetica sacra dei riti cristiani ma non è detto che siano realmente esperienze di una fede genuina capace di rinnovare il cuore attingendo alla freschezza di quel cammino, di quella sequela, di quel pellegrinaggio d’amore che Cristo ci ha chiesto quando ci ha chiamato a mettere i nostri passi sui suoi passi.

Anche oggi sarebbe assurdo trasformare questo momento in una semplice verifica dell’avvenuto prodigio: sappiamo bene che il segno del sangue del vescovo Gennaro è tutto rivolto a indicarci la passione che aveva per la causa del Vangelo e che ciascuno di noi è chiamato a ridestare nel proprio cuore dando la vita ogni giorno per la costruzione del Regno, cercando di ascoltare ogni giorno lo Spirito del Risorto nella certezza che chi, come lui, dona la vita la ritrova in abbondanza e per sempre. Questa è stata la fede che ha innervato la vita del nostro martire Gennaro e di tutti i testimoni del Vangelo che nel corso dei secoli si sono susseguiti. E questa è la fiducia che può e che deve muovere ancora i nostri giorni.

Sapete, nei giorni del Triduo Pasquale certamente gioivo nel vedere la genuinità dell’amore di tanta gente verso il Cristo morto, crocifisso, la cui immagine genera ancora dentro ciascuno di noi i sentimenti più nobili della compassione e del dolore. Al contempo, però, non ho potuto fare a meno di domandarmi come mai noi, che pure ci diciamo discepoli del crocifisso risorto, siamo sempre così afferrati dai segni della sua Passione e disposti addirittura a portare in processione per le strade dei nostri quartieri la sua effigie morta, fatta in ogni caso di pietra, e non ci rechiamo invece con la stessa passione in processione nei luoghi del Cristo vivo, nei tabernacoli dove sotto le sembianze del dolore e della sofferenza si cela la sua presenza: mi riferisco ai poveri e a tutte le forme di povertà che ancora attraversano le nostre comunità.

Sì, ai poveri e non solo i poveri visibili, evidenti nella loro miseria e difficoltà. Io parlo anche dei poveri nascosti, di quelli che abitano silenziosi nelle proprie case, avvolti dal dolore della solitudine, dall’angoscia della malattia, dal timore di non farcela ad andare avanti visto che le forze, in tutti i sensi, sono sempre di meno. Ecco, io sono convinto che il vescovo Gennaro nel misterioso magistero che continua a offrire alla città che lo invoca come amico e fratello, oggi stesso, mentre noi portiamo sulle nostre spalle la sua immagine e conduciamo su di noi il segno prodigioso del suo sangue, ci chiede di fare in modo che i poveri divengano sempre più la meta feriale delle nostre processioni nascoste agli occhi degli uomini, ma note allo sguardo misericordioso del Padre.

Nella Prima Lettura abbiamo ascoltato un racconto bellissimo, quello in cui gli apostoli capiscono che non possono sottrarsi all’annuncio della Parola e che, pertanto, non possono dedicarsi interamente al servizio delle mense, cioè dei luoghi in cui la comunità cristiana condivideva i beni, lasciando che la ricchezza di qualcuno divenisse patrimonio di tutti nella logica della solidarietà evangelica. Credo che questo racconto sia profondamente toccante perché ci dice almeno due cose di vitale importanza:

  • la prima consiste nel fatto che emerge chiaramente come gli apostoli abbiano sentito fin dall’inizio il dovere, se non la necessità, di mettere in pratica il comandamento dell’amore occupandosi dei poveri al punto tale che questa mansione rubava, forse, troppo tempo al ministero altrettanto vitale della predicazione della Parola, dell’annuncio Pasquale del Cristo morto e risorto. Questo vuol dire che fin dall’inizio la comunità cristiana si è sentita chiamata ad un unico amore indiviso: Dio e i poveri sono il medesimo amore!
  • La seconda riguarda la natura stessa della Chiesa la quale, concepita come un unico corpo, ha un’ampiezza di orizzonti tale da poter accogliere tra le sue braccia e nei suoi compiti diversi ministeri i quali non sono separati gli uni dagli altri ma rimandano piuttosto la necessità organica a cui l’intero corpo è chiamato. Vedete, pensare ad un ministero rivolto ai piccoli e agli ultimi, non significa relegare a qualcuno il compito della carità ma vuol dire, piuttosto, che è necessario che qualcuno ricordi a tutta la Chiesa che la carità è una missione permanente, è cosa sacra.

Qui si tratta di entrare in contatto con l’insegnamento genuino di Gesù, con la freschezza rivoluzionaria del suo comandamento dell’amore, con l’invito a mettere in pratica ogni giorno l’unico sacramento dell’amore: l’amore che annuncia, l’amore che nutre, l’amore che serve e guarisce. Sì, la Parola, l’Eucaristia, il servizio agli ultimi sono facce inscindibili della testimonianza del nostro Maestro e Signore, Gesù di Nazareth. La sua vita, i suoi gesti, le sue opere, le sue parole, la sua morte e la sua risurrezione ci raccontano tutto questo con una nitidezza e una semplicità immense. Chiunque può costatare tutto questo leggendo nel silenzio del cuore le parole del Vangelo e le trame di vita e di speranza che lo attraversano.

E quando le nostre domande su Dio diventano pressanti e la fatica dei nostri ragionamenti non riesce a trovare spiegazioni adeguate; quando il bisogno di significato del nostro cuore ci fa fare la stessa esperienza di Filippo, il quale nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato chiede a Gesù di poter vedere il Padre, che ciascuno di noi possa realmente ascoltare la risposta del Maestro: chi vede me, vede il Padre. Sì, chi vuol vedere Dio deve guardare a Gesù. Se vuoi sapere cosa pensa Dio sfoglia le pagine del Vangelo e lasciati incontrare da Gesù. Quante inutili paure, quanti preconcetti potremmo superare nutrendoci del Vangelo e lasciandoci guidare dalla sua luce. Vuoi sapere com’è Dio? Vuoi vedere il volto del Padre? Guarda Gesù. Ascoltalo. Fidati. Seguilo. Questa è la nostra fede, questa è la fede che ha animato la vita e la morte del vescovo Gennaro, questa è la fede che il suo sangue quotidianamente ci addita!

Il Dio che Gesù ci ha rivelato è un Dio vicino, il cui volto è amore, tenerezza, misericordia e la cui presenza abita in ciascuno di noi nella misura in cui le diamo spazio, contribuendo a trasformare la nostra esistenza in un’opera unica, originale, creativa, irripetibile: un’opera d’amore! Si, Gesù stesso ce lo ha detto: chi crede in me compirà anch’egli le mie opere, le opere del Padre, le opere dell’amore! Addirittura il Maestro ci ha detto che potremmo compierne di più grandi e questo perché Dio stesso ha deciso di non entrare in contropiede nella storia ma di abitarla attraverso di noi, attraverso le nostre mani, i nostri piedi, i nostri occhi. E ciò che si fa insieme è sempre più grande rispetto a ciò che si fa da soli. È sconvolgente tutto questo: il Signore ci invita a collaborare con lui e ci dice che nella misura in cui collaboreremo lui stesso, l’Onnipotente, potrà fare di più! Per questo non dobbiamo arrenderci, per questo dobbiamo vivere la storia, il tempo e lo spazio in cui viviamo da protagonisti, anzi da coprotagonisti! Gesù manifesta un Dio che cammina, che fa storia insieme a coloro che egli ama e che li conduce verso pascoli di vita; Gesù manifesta un Padre del quale possiamo fidarci.

Sorelle e fratelli, le opere grandi si compiono quando facciamo un gioco di squadra tra noi e con il Signore e sono certo che nella misura in cui scommetteremo su questo gioco potremmo realmente rivoluzionare l’ordine ingiusto e iniquo che tante volte avvolge la nostra città, il nostro Paese, il mondo intero. Sì, giocare in squadra con Dio significa credere che il male, la morte, l’egoismo non avranno l’ultima parola sulla vita, sul creato, sulla storia. Giocare in squadra con Dio significa scommettere quotidianamente sull’impossibile, a volte sentirsi perfino confitti – come il crocifisso – ma mai sconfitti perché sempre risorti e rinnovati con lui ed in lui! Giocare in squadra, tutti, nessuno escluso, anche chi in alcuni momenti della sua vita ha danneggiato il gioco, ha ignorato i compagni, ha commesso falli gravi, ignorando le regole e la fraternità: qualche giorno fa Fabio, un giovane ferito alle gambe durante una rapina, mi ha detto che il suo desiderio non è la giustizia intesa come sanzione ma, piuttosto, come possibilità data anche a chi nella vita ha sbagliato, come i suoi rapinatori, che considera persone da aiutare a risalire dal baratro della violenza, e su cui scommettere perché anch’esse una volta recuperate potranno contribuire al gioco della comunità, al bene di tutti! Si, scommettere sul bene, prevenire il male, affinché non ci siano più feste la cui genuina gioia è inquinata da mani violente e da cuori armati!

Gioco di squadra, lasciare che il Vangelo ridesti in ciascuno di noi la potenza dell’essere insieme: quanto è importante tutto questo! E in questi giorni è più che mai visibile nella nostra città, una città piena di passione per la sua squadra, fiera di aver vinto il campionato. La vittoria di una squadra sta diventando simbolo di ulteriori possibili conquiste, da aggiungere ai tanti primati culturali, di bellezza, di storia di cui questa città può vantarsi! E questo traguardo sportivo può essere un invito a ben altri traguardi sociali e riscatti comunitari, ancora incompiuti ma non per questo impossibili, soprattutto se cammineremo insieme! A quanti tristi primati Napoli è stata associata negli ultimi anni, di quanti eventi di cronaca è stata teatro, e quante narrazioni di morte, fatte di banali pregiudizi, spesso etichettano il popolo partenopeo. Ecco, credo che lo scudetto del Napoli, diventi un po’ per tutti un motivo per gioire ma anche per rimboccarci le maniche e lavorare sodo per far sì che questa città, la cui storia è ricca di trame di bene, possa continuare a tesserne altre, ancor più ricche di vita e di speranza! Se lo sport – come spesso si dice – è la metafora della vita, allora questo vuol dire che Napoli, e non solo la sua squadra, può vincere il campionato della storia e le partite della vita! Il Vangelo è la bella notizia di un Dio appassionato che fa il tifo per tutti i suoi figli, soprattutto per chi fa più fatica, per coloro che ai tornanti dell’esistenza si sentono mancare la forza e la speranza, credendo che tutto è perso, disperando del futuro.

Napoli, non disperare mai! Te lo ha insegnato e te lo insegna perfino la tua squadra, che ha avuto la capacità di rinascere dopo tempi bui, fino ad illuminare la tua gioia e a dare lustro alla tua storia. Te lo ha insegnato e te lo insegna da secoli il tuo santo Patrono, che con il simbolo del suo sangue vivo ti ricorda che non c’è nulla di perduto che non possa essere salvato e che l’ultima parola sarà sempre della vita, dell’amore, del bene, del bello!

Forza Napoli, mentre gioisci per la vittoria della tua squadra progetta e sogna vittorie più ampie, quelle che restano non solo nella storia dello sport ma che segnano rivoluzioni pacifiche nella storia di un popolo, insegnando all’intero mondo che sei molto di più dei pregiudizi con cui ti etichettano!

Forza Napoli, impara da questi giorni la bellezza dell’esultare insieme, del sentirsi parte di una comunità viva, dell’abbracciarsi per la gioia come per il dolore: non lasciare indietro nessuno dei tuoi figli, occupati con amore dei tuoi piccoli, costruendo per loro un futuro di giustizia, fondato sul bene comune!

Forza Napoli, la vittoria di cui stai godendo spalanchi il cuore alla nostalgia di vittorie più grandi, ridesti in te il sogno di Dio, la vocazione di accoglienza e solidarietà a cui ti ha chiamato da sempre, iscrivendola nel codice genetico della tua gente, del tuo popolo!

Forza Napoli, la gioia che in questo giorno avvolge tutti, dal centro alle periferie, dai piccoli ai grandi, dai ceti abbienti a quelli più umili, ti insegna che è possibile rompere gli steccati di separazione, quei muri che pure ti dividono in zone, classi sociali e gruppi che spesso convivono senza mai incontrarsi!

Si, Napoli, recupera la forza del noi, la bellezza della fraternità, la certezza che soli non si va da nessuna parte ma che solo prendendosi per mano, sognando insieme, lottando insieme, soffrendo insieme, è possibile generare nuove primavere, dar vita ad epoche nuove illuminate dal sole della giustizia, bagnate dal mare della pace, coperte dal cielo della solidarietà!

Forza Napoli! Ricordati che a rallegrare le tue giornate non c’è solo l’azzurro di cui ti sei ricoperta in questi giorni, ma anche il manto celeste di Maria, la piccola donna di Nazareth, la Donna del Magnificat, la madre del Risorto. In questo mese tradizionalmente dedicato all’intimità con lei, tu possa ritrovare nel suo canto la forza per la tua rinascita, il segreto della tua vittoria, la formula della tua speranza!

Forza Napoli, che Dio ti benedica sempre!

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