Carissimi tutti, quest’anno mi è difficile annunciarvi la gioia e la pace, mentre scorrono anche dinanzi ai miei occhi le atrocità della guerra, la morte di civili e militari in Ucraina, una guerra che diviene rappresentativa di ogni guerra o genocidio perpetrato a danno dell’umanità tutta. Da Kyiv a Mariupol, da Buča a Kharkiv, ci giunge il grido di dolore del popolo ucraino e a questo grido voglio rispondere innanzitutto gridando: Pace! Chiedo ai potenti della terra, io, povero vescovo, chiedo di far tacere le armi. Fratelli russi, ve lo chiedo in ginocchio, cessi l’attacco contro l’Ucraina!
Immagini di bambini innocenti, trucidati per rabbia o per divertimento, di donne e di uomini seviziati e uccisi, non da una pandemia che ancora imperversa in tutto il mondo, ma dalla determinazione violenta di esseri umani, diventati disumani. Di quelli che ritengono che la guerra sia legittima, pur di alimentare i loro sogni di espansionismo e di grandezza.
Desidero annunciarvi la pace, non dimenticando i tanti corpi straziati dalla brutalità di chi non rispetta nemmeno la vita degli inermi, mentre ho ancora nelle orecchie il rombo dell’artiglieria, di missili, di ogni sorta d’ordigno pensato per distruggere con precisione, pensato per colpire senza fallire. E a ciò si aggiunge tutto il seguito di una guerra: devastazioni di case e famiglie, dell’ambiente e dei cuori stessi sia di chi colpisce, sia di chi subisce.
E tuttavia io non posso non parlarvi di pace e di risurrezione in tanta sofferenza e nella generale sfiducia e stanchezza che ogni guerra diffonde negli animi; anche di quanti guardano al Risorto della domenica di Pasqua oltre che al Crocifisso del venerdì santo, di un venerdì che in questo nostro momento storico sembra non dover più passare.
Ma devo e parlo di pace e della gioia della risurrezione. Annuncio a voi tutti la gioia dei discepoli del Risorto. La annuncio a me stesso e a voi, perché a cos’altro il Signore mi avrebbe chiamato a portare a voi? In questa nostra meravigliosa comunità diocesana, che conosce la fatica del rialzarsi da ogni abbattimento. Una comunità che ha imparato a risorgere da eventi drammatici che sembravano aver distrutto tutto, case e speranze, come succedeva nelle precedenti guerre e nel terremoto dell’Irpinia.
Rimettiamoci dunque in piedi, per riprendere il cammino, cari fratelli e sorelle, tutti noi, me compreso. Siamo nei fatti fratelli e sorelle di colui che ha vinto non solo la morte, ma l’odio che l’aveva procurata per lui e spesso la procura tra gli uomini. «In piedi, voi costruttori di pace!», esortava con voce soave e ferma quel grande testimone di speranza per il nostro mondo, per la Chiesa, e il nostro futuro: don Tonino Bello.
Invocando anche il suo aiuto dal cielo, dobbiamo oggi più di prima essere avamposti di speranza, anche contro ogni speranza, perché noi seguaci e fratelli del Risorto non ci fermiamo, né pieghiamo la testa, né azzeriamo mai le risorse dell’anima, né di fronte a tiranni auto-costruitisi ad arte né di fronte a mestatori di violenza, motivata con la autoreferenzialità di chi dice che l’uomo non può fare a meno della guerra, non può difendersi senza le armi, non può venire a patti e fare pace con i “nemici”.
Sì, proprio la “costruzione del nemico”, subdola operazione alla quale contribuiscono quanti sanno parlare solo di offesa e difesa, piuttosto che di pace e di dialogo, proprio questo è ciò di cui hanno esiziale bisogno tiranni e fomentatori di guerra, costruttori di armi e multinazionali che intorno al loro commercio fioriscono e prosperano. Tanto, loro gli effetti della guerra li guardano dai televisori e dai media, come se si trattasse di una nuova e appassionante reality-fiction. Così talora a me sembra venga proposta senza umana pietà né rispetto dei morti.
Sì l’informazione, lo so, è doverosa, meno comprensibile è la sua commercializzazione, palese anche nelle innumerevoli interruzioni pubblicitarie che incalzano ormai ogni trasmissione, persino le scene più raccapriccianti degli effetti della guerra.
In considerazione dell’informazione che tende a creare solo nemici, dobbiamo essere avamposto di dialogo e di costruzione di fraternità e di pace. Anche adesso, anche in tanto buio? Soprattutto adesso. Non c’è buio che non possa essere illuminato dall’aurora della Pasqua, perché la Pasqua è l’evento nuovo e grandioso che accade quando ogni speranza è stata distrutta oltre che dagli orribili colpi che inchiodano Gesù alla croce, dal generale senso di disfatta che ne segue in tutti i suoi discepoli.
Gesù è risorto. È di nuovo in piedi e cammina con noi, anzi ci precede nei luoghi dove c’è bisogno di lui e di noi, perché anche noi facciamo tutta la nostra parte. Fa brillare ancora davanti a noi la luce della speranza, proprio quando ogni speranza sembra seppellita con lui e con gli uomini di pace spesso inascoltati. Ma la sua Pasqua è un innegabile e indelebile segno di luce che si fa strada nelle tenebre più fitte. È un segno di vita quando la morte sembra non voler più allentare i suoi morsi letali, così come non ha mai del tutto smesso in questi due lunghi anni, nei quali tanti sono morti, tantissimi si sono ammalati e continuano ad ammalarsi e ancora più numerosi sono stati, siamo stati, i reclusi in casa per una pandemia che non accenna a finire sulla terra.
Aiutatemi allora, fratelli e sorelle, a compiere insieme, ora più che mai, il mio ministero di apostolo del Risorto assieme a Pietro e agli altri Apostoli. Lasciamo pervadere il cuore dalla novità dell’annuncio che afferma che la vita è più forte della morte e che l’amore è più forte dell’odio, perché questi soltanto sono i veri nemici, ma lo sono di ogni uomo e di tutta l’umanità: l’odio e la morte. E tuttavia proprio essi sono stati già vinti in anticipo da Cristo, che chiede a noi di vincerli ogni giorno. È questo il senso più profondo del Regno di Dio iniziato da Gesù sulla terra, perché, come ci insegna San Paolo, «Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte (1Cor 15,25-26)».
Per questo, mai scioglierò la mia lingua in parole d’odio o di vendetta contro mio fratello, non darò voce al mio sdegno, attaccando popoli e nazioni, ma con voce chiara si levi un anatema, un anatema contro le armi e quanti le fabbricano, un anatema contro il loro commercio e il loro utilizzo e su quanti speculano sulla vita e sulla morte. Anatema contro ogni bomba atomica e ogni armamento e, fratelli e sorelle, anatema contro l’indifferenza di quanti passivamente legittimano ogni forma di violenza, lontana e vicina. Come vescovo della Chiesa di Cristo che è in Napoli, pronuncio il mio anatema contro le armi, non gli uomini.
Diamo seguito alle consegne di Gesù se vinciamo la stanchezza, l’assuefazione alla violenza, anche a quella che ancora insanguina le nostre strade e devasta i cuori di tanti giovani, la camorra nelle sue varie forme, la rassegnazione che si nasconde sotto le vesti della sapienza, ma che tale non è, quando sentenzia: «ma chi te lo fa fare? Tanto non cambia nulla. Nulla mai cambierà». Ma non è questa la vera sapienza! Non è stata quella di Gesù, che invece con il dono della sua vita e la sua risurrezione ha dimostrato che ogni atto di amore ha il suo immenso valore, che ogni lacrima viene da Dio considerata e ogni goccia di sangue è sempre lì nei luoghi dove è stata versata e reclama attenzione, rispetto e grida verso di lui, come monito perenne a che ciò non succeda mai più (cf. Eb 5,7; Lc 11,51).
Inizia il tempo di Pasqua. È tempo di alzare lo sguardo oltre le nostre sconfitte e delusioni. Di superare le nostre piccole o grandi meschinità. Siamo chiamati ad avanzare con la speranza sui sentieri inediti che ci portano altrove. Sono i sentieri della fiducia nella nostra umanità che in noi rifiorisce attraverso l’umanità risorta di Cristo. Egli, nostra Pasqua e nostra pace, è vivo e ci dà appuntamento in quel giardino dove si è mostrato risorto e ha chiamato per nome, innanzi tutto chi l’ha amato anche nella più orribile delle morti, l’ha amato oltre la morte. Chiama anche noi e ci chiama per nome, come chiamò Maddalena: «Maria», Maria di Màgdala, e lei «corse subito ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore” e anche ciò che le aveva detto» (Gv 20, 16-18). Nella sua pronta risposta «Maestro!» e nel suo correre, Maria porta l’annuncio che la vita trionfa e che l’amore, che tanto l’aveva fatta piangere e che fa piangere molti, non è mai sconfitto. È qui tutto il suo sì. Il sì di una donna doppiamente salvata: dal suo passato sbagliato e dal suo presente rassegnato. Il nostro, al pari del suo, sia un rinnovato “sì” al Maestro che ci addita il prosieguo della sua strada, ci chiama nuovamente ad un servizio di pace: a credere ancora alla pace, affinché essa non venga mai meno, né come ideale né come realtà in questo mondo di guerra. È questo il senso vero della Pasqua. È il rinnovato impegno affinché l’amore vinca l’odio, guarisca i cuori dall’invasiva malattia della costruzione del nemico e ci faccia apostoli di fraternità, dovunque noi siamo e chiunque noi siamo. Alleluia, Cristo è risorto! È veramente risorto.
+ Don Mimmo Battaglia