Abstract Dossier regionale sulle povertà 2017
Il Dossier regionale sulle povertà in Campania è una pubblicazione annuale realizzata sin dal 2004 dalla Delegazione regionale Caritas, per dare una voce ed un volto ai tanti poveri che ogni giorno si rivolgono ai Centri di Ascolto in cerca di aiuto. Lo sforzo compiuto in questi anni dalle Caritas diocesane della regione ha permesso di evidenziare gli aspetti fondamentali del fenomeno della povertà in Campania, ma soprattutto ha mostrato come questo è cambiato e si è evoluto nel tempo.
Il prima aspetto sul quale occorre soffermarsi è relativo al panorama demografico della Campania che è fortemente mutato negli ultimi anni. Siamo in presenza di una popolazione in rapido invecchiamento e con un tasso di natalità in costante diminuzione. L’invecchiamento rapido della popolazione riguarda l’intero Paese ma, la dinamica demografica negativa del Centro-Nord è compensata dalle immigrazioni dall’estero, da quelle dal Sud e da una ripresa della natalità. La Campania invece, come il resto del Mezzogiorno, continua ad essere terra d’emigrazione, presenta una scarsa capacità di attrarre immigrati dall’estero ed inoltre continuerà ad essere interessata da un progressivo ulteriore calo delle nascite. Gradualmente i valori del Sud sono scesi sotto quelli medi nazionali. In un solo decennio il Mezzogiorno ha perso il primato della fecondità femminile e negli anni Duemila il numero medio di figli per donna ha proseguito nella storica tendenza alla riduzione, mentre nel Centro-Nord si è manifestato un crescente risveglio della maternità (dovuto soprattutto alle straniere). Nel 2016 il TFT (Tasso di Fecondità Totale) è pari a 1,29 nel Sud, a 1,33 in Campania e ad 1,38 nel Nord, laddove il tasso di sostituzione naturale è 2.
Dal Dossier 2017 emerge, innanzitutto, il dato relativo alla cittadinanza che mostra una netta prevalenza della componente italiana. I cittadini autoctoni rappresentano, infatti, il 64,6% del totale ovvero quasi i 2/3 di coloro che si sono rivolti alla Caritas. Dunque il volto della povertà campana, osservato attraverso i Centri di Ascolto, fa emergere una regione che stenta a fornire risposte istituzionali alle situazioni di povertà italiane. Ancor più significativa è l’analisi storica delle presenze italiane in Caritas. A partite dalla crisi economica del 2008, infatti, la percentuale degli italiani ha cominciato a salire sempre più, passando dal 38,2% del 2008 al 64,6% attuale. Questo incremento non è dovuto alla diminuzione della componente migrante, quanto piuttosto alla forte crescita dei cittadini italiani in condizioni di disagio.
L’altro dato emergente riguarda la maggiore presenza della componente femminile in Caritas (54,7%). Questo aspetto è assolutamente in linea con i dati già raccolti in passato e, pertanto, sono stati realizzati diversi approfondimenti a riguardo. È emerso così che la diffusa presenza delle donne nei CdA dipende soprattutto da ragioni di carattere culturale. Le donne si rivolgono ai CdA della Caritas non per chiedere aiuto per se stesse, ma quali portavoce delle esigenze dell’intero nucleo familiare. Sono considerate, infatti, l’interfaccia più idonea nei confronti delle istituzioni e del mondo esterno in generale, quando c’è la necessità di chiedere aiuto per la famiglia e principalmente per i figli. Per questo motivo, pur se con alcune piccole differenze percentuali, le donne sono sempre state figure di primo piano nei Centri di Ascolto.
Tra gli aspetti principali emersi in questi anni vi è certamente la crescente difficoltà delle famiglie, che ogni anno sono sempre più protagoniste all’interno dei Centri di Ascolto. Il volto della povertà in Campania, infatti, ha oramai l’aspetto del disagio familiare diffuso, piuttosto che quello della singola persona che vive condizioni di totale esclusione sociale. Vivono in famiglia il 69,6% delle persone ascoltate, in pratica sette su dieci. Se ci si riferisce poi solo alla componente autoctona, risulta che l’81,7% degli italiani che frequentano la Caritas sono inseriti in un contesto familiare.
La media del numero di componenti delle famiglie che si rivolgono alla Caritas è di 3,5 unità per nucleo. Occorre sottolineare a riguardo che l’Istat evidenzia che in Italia il numero medio di componenti per famiglia è pari a 2,4 unità. Di fatto questi dati confermano uno degli assiomi principali sullo studio della povertà in Italia, ovvero che la numerosità del nucleo familiare incide fortemente sullo stato di bisogno, principalmente laddove all’interno del nucleo vi sono figli minori.
La tipologia di famiglia più diffusa nei CdA è quella nucleare con coniuge e figli, che rappresenta quasi la metà del totale. È significativa anche la percentuale di famiglie monogenitoriali con figli, a dimostrazione che quando è solo uno il punto di riferimento genitoriale aumentano le possibilità di disagio sociale. Le famiglie nucleari con coniuge ma senza figli sono rappresentate principalmente da anziani i cui figli vivono ormai altrove. In questo caso le problematiche non sono solo di carattere economico, ma incide molto la solitudine ed il senso di abbandono.
Il dato relativo allo stato civile arricchisce ancor più il quadro familiare della povertà, giacché esattamente la metà delle persone ascoltate risulta coniugata. Se a questo dato si aggiunge quello relativo ai cosiddetti “nuclei spezzati” (vedovanza, separazione legale e divorzio), che complessivamente raggiungono il 23,4% del totale, si può affermare che il 73,4% delle persone ascoltate, ovvero tre su quattro, hanno avuto o hanno in essere un matrimonio. I nuclei spezzati pesano in particolare sulle donne, molto più fragili a livello occupazionale e su cui in molti casi grava in maniera esclusiva la responsabilità dei figli. A riguardo occorre sottolineare, però, che nei casi di separazione o di divorzio i costi della vita, soprattutto quelli abitativi, vengono praticamente a raddoppiarsi, pur se le entrate economiche restano le medesime. Di questa situazione sono vittime molti padri separati che, nonostante abbiano un lavoro, rischiano di finire a vivere per strada, incapaci di sostenere le spese alloggiative per la famiglia e per loro stessi.
Hanno un domicilio il 92,3% di coloro che si rivolgono alla Caritas, anche se l’approfondimento sulla famiglia ha fatto emergere che il 29,1% degli intervistati vive in un’abitazione poco adeguata e per l’8,5% lo stato dell’abitazione è addirittura pessimo.
L’analisi della cittadinanza delle persone senza dimora evidenzia una netta prevalenza degli stranieri (78,6%). La preponderante presenza di migranti dimostra la maggiore vulnerabilità sociale di cui questi sono portatori, giacché molto più spesso rispetto agli italiani sono privi di reti familiari o amicali su cui poter contare. Questo dato dimostra, inoltre, che ciò che molti sostengo rispetto al maggior aiuto rivolto dallo Stato agli stranieri piuttosto che ai cittadini italiani, nella realtà non è assolutamente veritiero, considerando l’evidente fragilità della condizione di migrante. Bisogna ancora evidenziare che le persone senza dimora che si recano presso i Centri di Ascolto sono solo una parte di quelle che usufruiscono dei servizi Caritas, dal momento che coloro che si avvalgono di dormitori o mense non sono inclusi in questa rilevazione che si limita ai Centri di Ascolto.
Relativamente ai bisogni degli utenti, occorre sottolineare che molti sono in condizione di multiproblematicità. La problematica più comune è la povertà economica (62,1%) seguita dalla problematica lavorativa (51,3%). Del resto la condizione occupazionale più diffusa tra coloro che si sono recati ai CdA campani è quella di disoccupato, dato che riguarda il 66,6% del totale, ovvero esattamente due su tre.
Tanta povertà e disoccupazione hanno delle evidenti ragioni economiche. Se si valutano, infatti, i dati della Campania dal 2008 al 2016, emerge una significativa riduzione cumulata del PIL che risulta pari al -13,0%. Nell’ultimo anno, però, si evidenzia un deciso miglioramento rispetto al passato. La Campania nel 2016 è stata la regione italiana, e non solo meridionale, che ha registrato il più alto indice di sviluppo. La crescita del 2,2% del valore aggiunto giunge al termine di un triennio, dal 2014 al 2016, tutto all’insegna di dati positivi. Come sottolinea la Svimez: “In Campania un ruolo trainante l’ha svolto l’industria, grazie anche alla diffusione di Contratti di Sviluppo, ma ha potuto altresì beneficiare del rafforzamento del terziario nell’ultimo anno, frutto prevalentemente del positivo andamento del turismo”.
Si colgono quindi segnali molto incoraggianti, ma resta una profonda differenza a livello economico tra le regioni meridionali ed il resto del Paese, e a riguardo la Campania non fa eccezione. Se si valuta infatti il reddito pro capite della regione emerge che questo nel 2016 è stato pari a 17.866 euro, mentre quello italiano raggiunge i 27.585 euro.
L’Istat nel 2016 stima che l’incidenza della povertà relativa, che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi, presenta per la Campania un’incidenza del 19,5%, con una crescita dell’1,9% rispetto al 17,6% del 2015. Ciò significa che la povertà è ancora molto diffusa a livello reginale e i passi compiuti dall’economia nell’ultimo anno devono proseguire anche in futuro, per sperare di recuperare il terreno perduto in passato.
Negli ultimi quindici anni, sono emigrati dal Sud 1,7 milioni di persone a fronte di un milione di rientri, con una perdita netta di 716 mila unità: si tratta per lo più (72,4%) di giovani tra i 15 e i 34 anni e di laureati che costituiscono un terzo del totale (198 mila unità). La Campania è stata la regione maggiormente protagonista in questo fenomeno, con un saldo migratorio interno che ha rappresentato una vera emorragia per la regione, non compensato dal saldo migratorio con l’estero.
Dall’approfondimento realizzato su povertà e famiglia emergono ancora alcuni elementi davvero significativi: i 2/3 delle famiglie che si rivolgono alla Caritas vivono con meno di 500 euro al mese e non sono in grado di affrontare alcuna spesa imprevista. Emerge poi che se in Italia vivono 4,1 milioni di persone con disabilità, pari al 6,7% della popolazione, nelle famiglie che si rivolgono alla Caritas la percentuale di persone con disabilità è quasi tripla. Del resto i dati Censis confermano che il vero perno del welfare è proprio la famiglia, sulla quale ricade di fatto la responsabilità e il peso dell'assistenza della persona con disabilità, soprattutto in età adulta.
Relativamente alle reti di sostegno alle famiglie in difficoltà, si evidenzia la presenza di una rilevante rete di supporto di tipo familiare o parentale ed anche una significativa rete di supporto di tipo amicale. In particolare, però, l’analisi delle reti di supporto evidenzia che è quella ecclesiale a cui gli intervistati si rivolgono maggiormente. Nella 64,4% dei casi, infatti, gli utenti dei CdA dichiarano che abitualmente si avvalgono di una rete legata alla parrocchia. Questo dato è ovviamente influenzato dall’aver interrogato famiglie che si rivolgono di per sé già alla Caritas. È significativo, però, che ben 2/3 delle persone ascoltate dichiarano che usualmente trovano un supporto dall’ambito ecclesiale, non solo per un sostegno di tipo materiale, ma anche per un aiuto complessivo rispetto ai loro bisogni. Ciò dimostra che la parrocchia rimane ancora un punto di riferimento importante del territorio e, come evidenziano molti degli intervistati, spesso è anche l’unico.
Le richieste principali ricevute dalla Caritas riguardano i pacchi viveri (49,5%), sussidi economici per il pagamento bollette (31,9%), un alloggio (17,0%), l’accesso ad empori o market solidali (15,8%), un lavoro (14,2%), l’accesso alla mensa (13,3%) e vestiario (8,2%). L’analisi della domanda in base alla cittadinanza evidenzia però un diversità di richieste ai Centri di Ascolto, rispetto alle varie tipologie. Gli italiani domandano maggiormente sussidi per il pagamento di bollette o per l’alloggio, ascolto approfondito ma anche accesso ad empori/market solidali. Gli stranieri domandano più pacchi viveri, lavoro, l’accesso alla mensa, il vestiario e soprattutto un alloggio. Da queste richieste non emerge per nessuna delle due categorie una diversità rispetto all’approccio assistenziale, piuttosto si connotano bisogni differenti che si traducono per entrambe le categorie in richieste progettuali solo in un numero limitato di casi.
Dall’analisi dei dati relativa agli interventi emerge una soddisfacente capacità di risposta da parte dei Centri di Ascolto per le diverse problematiche: distribuzione pacchi viveri (49,3%), sussidi per il pagamento di bollette (31,2%), accesso alla mensa (13,7%), accesso ad empori o market solidali (12,4%), alloggio (9,6%), vestiario (8,6%). L’unica domanda difficile da soddisfare è quella relativa al lavoro (2,3%), che del resto non rientra nei compiti della Caritas. Come per le richieste, anche per gli interventi vi è una diversificazione tra italiani che ricevono maggiormente sussidi economici per il pagamento di bollette e gli stranieri che ricevono più viveri ed accessi alla mensa.
Da questi dati è evidente che il compito della Caritas in molti casi rischia di essere travisato e che c’è il pericolo che i Centri di Ascolto possano trasformarsi in centri di distribuzione. Proprio per scongiurare questa possibilità, la Delegazione regionale e le Caritas diocesane proseguono il loro impegno in ambito formativo, affinché identità e metodo Caritas non vengano smarriti.
Occorre rimarcare che anche all’interno di questo dossier l’ultimo capitolo è dedicato a quanto realizzano le diverse Caritas diocesane della Campania per rispondere ai bisogni emergenti del territorio, in una logica di prossimità alla persona legata ad un’effettiva progettualità.