“Cara Rita,
è con un po’ di imbarazzo che ti scrivo queste parole. È l’imbarazzo di chi è chiamato ad annunciare il Vangelo ai poveri per poi scoprire, ogni volta che li incontra, che sono loro ad annunciargli con la vita la fiducia sacra in un Dio di amore e di provvidenza. E il tuo affidarti alla provvidenza di Dio lo tocco con mano ogni qualvolta ti incontro sui gradini della nostra chiesa cattedrale, con il volto dignitoso, sempre pronta a donare un saluto di gratitudine a chi ti regala qualche spicciolo. Come a chi ti sfiora con indifferenza. L’altro giorno parlando con te e accogliendo il racconto della tua vita, vedevo passare tanta gente: turisti, fedeli, curiosi, gente del posto. E non sono mancate le persone che ti hanno offerto una moneta. Ma solo una persona, un bambino, di circa dieci anni, dopo averti fatto dono di un suo piccolo risparmio, si è fermato a guardarti negli occhi. Osservare quell’attimo è stato davvero un dono grande: quanta poesia, quanta speranza, quanta verità nell’incrocio dei vostri sguardi. Un bambino, piccolo, semplice. Una donna, umile, povera. Ho custodito quei momenti nel mio cuore, li ho continuati ad assaporare durante la mia passeggiata nei vicoli attorno al duomo e poi, alla sera, nella mia cappellina li ho messi davanti al Signore. E così, nella preghiera, ho compreso quale grande insegnamento attraverso di voi il Signore stesso mi aveva dato: bisogna abbassarsi all’altezza dei bambini, avere il loro stesso cuore per poter guardare negli occhi i poveri. Non basta donare loro qualche spicciolo, occorre guardarli negli occhi, condividerne sentimenti, emozioni, sguardi e storie. Conoscerne il nome, portarli nel cuore. Camminando insieme e aiutandoli a risollevarsi grazie alla solidarietà di una comunità che non intende lasciare indietro e fuori nessuno.
So bene, cara Rita, che la nostra Caritas diocesana ti è accanto, ti sostiene, ma come vorrei che tutti coloro che mettono qualche spicciolo nel tuo piattino imparassero a conoscere il tuo nome, la tua storia, la tua speranza. Come vorrei che per tutti noi i poveri non fossero doveri da adempiere con la sufficienza del superfluo ma, piuttosto, fratelli e sorelle con cui percorrere sentieri di umanità, nella ricerca della liberazione e nel lavoro costante per una società più giusta. In fondo non è quello che Cristo stesso ha fatto per noi, divenendo povero nella condivisione della nostra fragilità e umanità? È proprio questo che Papa Francesco afferma nel suo Messaggio per la VI Giornata Mondiale dei Poveri, aiutandoci a riflettere sul nostro stile di vita e sulle tante povertà del momento presente.
Francesco, con le sue parole, ci ricorda che dopo la pandemia, “una nuova sciagura si è affacciata all’orizzonte, destinata a imporre al mondo uno scenario diverso: la guerra in Ucraina”. Ci mette dinanzi al dovere di accogliere chi scappa dalla fame e dalla guerra ma anche davanti al rischio di una carità fondata unicamente sull’emotività mediatica dell’emergenza, che man mano che il tempo passa si affievolisce: “È questo il momento di non cedere e di rinnovare la motivazione iniziale. Ciò che abbiamo iniziato ha bisogno di essere portato a compimento con la stessa responsabilità”. Anche qui, nella nostra Napoli, quante realtà ecclesiali, associazioni, famiglie in questi mesi hanno accolto profughi ucraini e ora sono nella stanchezza. Ma il discorso si potrebbe allargare: quante volte per rispondere alle tante povertà del nostro territorio ci adoperiamo con creatività, superiamo ostacoli di ogni tipo, mettiamo su progetti e iniziative che poi non reggono alla prova del tempo, perché l’entusiasmo iniziale si affievolisce, la quotidianità divora la motivazione e la stanchezza pervade la bellezza della solidarietà! È per questo che Francesco ci rammenta che ciò che si inizia per i poveri e con i poveri va portato a compimento, rigenerando la motivazione e l’entusiasmo dei primi tempi con la forza comunitaria della rete e l’energia di amore che attraverso la preghiera e la contemplazione ci giunge direttamente dal cuore di Dio! È questo amore, è questa forza a donarci una visione più profonda e penetrante della realtà dei poveri e del nostro dovere di servirli e accompagnarli senza retorica, rimboccandoci le maniche, superando logiche assistenzialistiche per impegnarci in prima persona, con un coinvolgimento diretto!
Quante volte corriamo il rischio di mettere su grandi imprese sociali, meravigliose opere assistenziali, iniziative politiche e sociali più per noi stessi che per il bene concreto e reale degli ultimi. Don Milani ripeteva: “fa’ strada ai poveri senza farti strada”. Quanto è vero! Spesso rischiamo di usare i poveri facendone un mezzo per i nostri scopi personali o di gruppo: guai a usare i poveri e guai ad adoperarli come mezzo per scopi economici o anche solo di immagine! Parliamo di iniziative, progetti, fondi, manovre economiche. Chissà quante ne avrai ascoltate anche tu Rita, origliando le chiacchiere della gente che ti camminava accanto, sfogliando qualche giornale abbandonato! E chissà quante volte ti sei domandata se davvero tutte queste grandi operazioni ti avrebbero davvero mutato la vita, ridonandoti una dignità che non hai mai smarrito ma che spesso gli altri non ti riconoscono!
Rita, amica mia, a te come a tutti i poveri di questa città la retorica non ha mai migliorato l’esistenza! E quanti poveri sono rinchiusi nelle loro case spoglie, con il timore di mostrarsi vulnerabili ed esposti all’altrui indifferenza: penso a chi ha perso da poco il lavoro, a chi ha in casa un ammalato o un disabile che necessita di assistenza e cure costose, penso al mondo invisibile degli immigrati o dei giovani in cerca di occupazione. Quante volte le tante promesse dei potenti sulla politica occupazionale e sui giusti sussidi sociali si sono sciolti nel mare della disillusione, costringendo tanti disperati a gettarsi tra le braccia di sfruttatori. Papa Francesco lo denuncia con forza: “Quando l’unica legge diventa il calcolo del guadagno a fine giornata, allora non si hanno più freni ad adottare la logica dello sfruttamento delle persone: gli altri sono solo dei mezzi. Non esistono più giusto salario, giusto orario lavorativo, e si creano nuove forme di schiavitù, subite da persone che non hanno alternativa e devono accettare questa velenosa ingiustizia pur di racimolare il minimo per il sostentamento”.
Cara Rita, grazie! Grazie perché nonostante le ingiustizie di questa città, di cui tutti siamo responsabili, tu non mi doni rancore e rabbia ma mi offri la possibilità di apprendere dalla tua esperienza l’arte di vivere con serenità anche quando si ha poco o nulla, testimoniando la speranza in un Dio che vede chi non è veduto dagli uomini, che ama e glorifica chi spesso è ignorato o disprezzato! Rita, tante volte la gente mi chiede di pregare per lei perché come prete mi crede più vicino a Dio. Eppure, io credo che tu lo sei molto più di me. Per questo ti chiedo di pregare per me e per tutta la Chiesa di Napoli affinché il Signore ridesti in noi la profezia del Vangelo, ci liberi dall’ambiguità di una solidarietà praticata solo sotto ai riflettori, ci insegni ad andare controcorrente e a opporci a viso aperto a ogni potere non quando si tratta di difendere i nostri diritti, seppur legittimi, ma solo quando si tratta di difendere te e tutti gli ultimi della nostra città.
Grazie Rita! Oggi stesso verrò a casa tua per stare un po’ con te e leggerti questa lettera.
Ti benedico. Fai lo stesso anche tu con me.
Tuo,
† don Mimmo