“Nel messaggio per la settima GIORNATA MONDIALE DEI POVERI, Papa Francesco si sofferma sul Libro di Tobia, un testo poco conosciuto dell’Antico Testamento, lo rilegge e si lascia provocare dalla Parola “che disperde i superbi…che rovescia i potenti…che rimanda i ricchi a mani vuote…ma che innalza gli umili…che ricolma di beni gli affamati”.
Il Papa offre una lettura della realtà che nasce dal riconoscere nel più fragile “il volto del Signore Gesù”, al di là del colore della pelle, della condizione sociale e della provenienza. Lo sguardo del povero ci indica la via per arrivare al Maestro, come una bussola per orientare la scelta credente: “scuotendo da noi l’indifferenza e l’ovvietà con le quali facciamo scudo a un illusorio benessere”, c’è la forte speranza nell’azione del Signore onnipotente che ribalterà le sorti di questa sghemba e ingiusta storia umana. Una lettura che nasce anche dal “fiume di povertà” che attraversa le nostre città e diventa sempre più grande “fino a straripare”: bambini che vivono in zone di guerra, chi non arriva a fine mese, chi viene sfruttato sul lavoro e i giovani prigionieri di una cultura che li fa sentire falliti: “Quel fiume – scrive Francesco – sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà, un grido che si alza sempre più forte”.
“Non distogliere lo sguardo dal povero” è più di una provocazione poetica, più di un impegno “politico”, più di una strategia solidaristica, è una proclamazione di fede, è coraggio di speranza autentica, è forza di carità sofferta e offerta. Nello sguardo di Dio sul povero, per il povero, c’è la sua fedeltà, promessa di liberazione, banchetto preparato per coloro che piangono, per coloro che si sono impoveriti a causa del peccato, delle scelte di chi ha reso il povero carne da macello.
Nello sguardo di Dio c’è lo sguardo del povero, egli continua a guardare ogni cosa del mondo con lo sguardo degli esclusi, degli abbandonati, dei fatti fuori dalla cupidigia dei ricchi. Ed è per questo che ama i poveri, che li abbraccia di misericordia, che si lascia rintracciare da coloro che sanno rintracciare la fatica degli oppressi. Dio ama i poveri, ma non ama la povertà intesa come privazione e miseria, come avevano testimoniato gli antichi profeti d’Israele.
Non distogliere lo sguardo dal povero è un segnale potente che può passare e conservare significati inaspettati, inauditi, sorprendenti. Lo è nel gioco dell’umano incontro, nel dolore di uno scontro, nell’ascolto appassionato di parole scambiate, nel complice dirsi senza dire. Al contrario si abbassano gli occhi per pudore, per colpa o per vergogna. Mi sovviene il grande profeta: “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima” (Is 53,3). Il Figlio nei figli denudati della loro dignità, vergona della verità tradita, della giustizia ingannata, del giusto oppresso e crocifisso.
«Il Libro di Tobia ci insegna la concretezza del nostro agire con e per i poveri. È una questione di giustizia che ci impegna tutti a cercarci e incontrarci reciprocamente, per favorire l’armonia necessaria affinché una comunità possa identificarsi come tale. Interessarsi dei poveri, quindi, non si esaurisce in frettolose elemosine; chiede di ristabilire le giuste relazioni interpersonali che sono state intaccate dalla povertà. In tal modo, “non distogliere lo sguardo dal povero” conduce a ottenere i benefici della
misericordia, della carità che dà senso e valore a tutta la vita cristiana».
Dio, dunque, ama i poveri ma chiama alla giustizia, chiama alla conversione. Chiama tutti, cristiani e non cristiani. Chiama la nostra Chiesa, la nostra città di Napoli e le nostre città, la nostra comunità intera a non distogliere lo sguardo dalle ingiustizie perpetrate ai danni dei deportati dalla sventura, dagli umiliati della nostra “Sion”, qui e adesso, incarnata in chi non ha casa, non ha lavoro, non ha cibo da mettere a tavolo, nei troppo soli, nei troppo dimenticati, nei troppo traditi dalle tante promesse mai mantenute. “I poveri che possono commuovere per qualche istante, ma quando si incontrano in carne e ossa per la strada allora subentrano il fastidio e l’emarginazione”.
Sedersi a tavola con loro in questo giorno non sarà allora solo un gesto scenografico per rappresentare un incontro pietoso ed esemplare, ma provocazione di nuova sostanza di scambio, profezia di compagnia, oltre il segno per raccontare ai poveri, nostri fratelli e nostre sorelle, la nostra povertà che ha bisogno di spezzare il pane con la ricchezza della loro vita, la nostra volontà di dividere il pane della fraternità, il nostro giuramento che ci induce a non bestemmiare più il Dio di ogni bontà, nascondendo
il nostro sguardo allo sguardo dei poveri.
Ci siederemo oggi alla stessa mensa della Parola e dell’Eucaristia e ci abbracceremo nella pace del Maestro riscoprendoci suoi discepoli nello spezzare il pane. Condivideremo il pranzo dell’amicizia, la tavola ci aspetta per essere commensali, per servirvi come Cristo all’altare, convinti ogni giorno, e non lo dimenticheremo, che voi siete la parte migliore, voi siete il volto di Dio, voi siete il nostro riscatto.
Ogni giorno, oltre questo giorno, ricorderemo a noi stessi che solo là dove il povero, il nudo, l’ammalato, il forestiero, il prigioniero è abbracciato dalla misericordia, lì Dio è presente e se gli chiediamo di mostraci il suo volto per essere salvati, è nel volto del povero riscattato che si riversa su di noi la gioia della salvezza.
Possa il Signore, amante della vita, concedere alle nostre mani la forza di innalzare i poveri per dare alla vita giustizia e pace, per costruire una nuova alleanza tra sorelle e fratelli per un mondo profumato di carità e amore.”