“Eminenze ed Eccellenze Reverendissime,
Autorità tutte,
Sorelle e Fratelli carissimi,
ci ritroviamo uniti intorno alla mensa del Pane di vita e della Parola di salvezza per vivere un momento importante per tutta la nostra Chiesa: tre nostri fratelli tra poco saranno ordinati vescovi. Saluto e ringrazio tutti voi, presenti quest’oggi nella nostra cattedrale, tutta la rappresentanza del popolo di Dio che è in Napoli, venuta a ringraziare e lodare il Signore per il dono dei tre nuovi vescovi ausiliari. L’episcopato, come ogni ministero nella Chiesa, non è infatti un potere destinato ad accrescere la carriera di chi lo riceve ma è piuttosto un servizio per il bene di tutti, per la crescita di tutti, per il cammino di tutti. Se qualcuno immagina il proprio ruolo come un potentato di cui esporre lo scettro è bene che si immerga nel pensiero del Maestro, confrontandosi con il suo Vangelo, fino a vedere lo scettro del potere trasformarsi sotto i suoi occhi nella brocca del servizio, nel catino del dono nascosto, nell’asciugatoio di chi più che pensare alla propria dignità è proteso a custodire la dignità dell’altro, a curare le sue ferite, a condividere la sua strada.
È importante ricordare gli uni agli altri che prima di ogni ministero, di ogni ruolo e di ogni servizio c’è un’appartenenza che sta agli albori di ogni vocazione, che sta al principio di ogni responsabilità, ed è la nostra appartenenza a Dio: siamo suoi figli. Lui per noi è Padre. “Quale grande amore ci ha dato il Padre” – scrive Giovanni – “per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente”. Non è semplicemente un nome, non è un modo di dire: gli apparteniamo come figli, siamo realmente suoi eredi! In fondo la solennità dei Santi ci aiuta a contemplare la nostra vocazione di figli, il nostro destino di eredi!
Sorelle e fratelli, ognuno di noi è chiamato a scoprire il proprio volto nella moltitudine che segue l’Agnello, nell’assemblea di coloro che lavano le proprie vesti nel suo sangue, un sangue che non sporca, che non macchia, che non arrossisce ma che restituisce ogni cosa alla sua nitidezza originaria, al candore primitivo, alla bellezza primaverile! Siamo chiamati a muovere i nostri passi con gratitudine, incoraggiati dall’esempio dei santi noti e conosciuti ma anche di quelli anonimi, quelli che papa Francesco chiama i “santi della porta accanto”, che costituiscono secondo il Libro dell’Apocalisse “una moltitudine, immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”, una moltitudine beata perché modellata dalle beatitudini evangeliche. Noi spesso conosciamo i confini della Chiesa ma i confini del Regno li conosce solo lo Spirito.
Nel linguaggio biblico il termine “beato” non indica un generico essere contento, gioioso, soddisfatto, ma dice qualcosa di più energico, qualcosa che non solo descrive una condizione ma ne orienta il dispiegarsi nel tempo! Pensiamo alla prima parola del primo salmo: beato l’uomo. Ma di quale uomo sta parlando il salmista? Dell’uomo che cammina sulla via della giustizia… Allora beato si dovrebbe tradurre così: in piedi, in cammino, avanti, in marcia, voi poveri, perché Dio cammina e lotta con voi ed è per voi garanzia di felicità e sorgente perenne di gioia! In piedi voi che alimentate sogni di pace e seminate misericordia tra le strade dell’indifferenza! Alzatevi, voi che con la forza della mitezza vi opponete alla violenza, perché la terra vi appartiene. Avanti con coraggio voi che piangete, afflitti da un sistema che è contro l’uomo perché Dio è la vostra liberazione, l’aurora che consolerà la vostra notte! In marcia, affamati di giustizia, perseguitati per la causa del Vangelo, perché il Signore è il pane che rinfranca le vostre stanchezze, che dona vigore al vostro cammino.
È sorprendente come Gesù, in queste otto parole, non si riferisca mai a comportamenti religiosi, al galateo del culto e alle condotte da tenersi nel chiuso di un tempio. Non dice: beati quelli che pregano molto, i pii e i devoti, i frequentatori assidui di chiese; e non perché queste cose non abbiano valore o siano in secondo piano, ma semplicemente perché la loro verità emerge negli atteggiamenti feriali, nel quotidiano dello stile di vita, negli sguardi spirituali che si concretizzano in scelte concrete di vita. Si tratta di atteggiamenti umani, di una santità quotidiana, vissuta nelle case, nelle strade, nelle relazioni di ogni giorno. È la santità feriale, quella in cui Dio semina la sua vita contaminando la nostra vita con la sua gioia, con la sua eternità.
Carissimi Franco, Gaetano, Michele, il Signore quest’oggi vi invita a camminare con decisione sulla via delle beatitudini, vi chiede di seguirlo sulla strada della povertà che si fa condivisione, sul cammino di coloro che piangono facendosi compagni di chi soffre, sul sentiero della mitezza che trasforma in gioia ogni fatica, sulla via di una giustizia che diventa impegno per l’uomo, nel viottolo stretto della misericordia, della purezza, della pace e della tenerezza, valori evangelici rivoluzionari in un mondo inquinato da continue condanne, doppiezze, guerre. Queste otto parole non sono un trattato di teologia, un’astrazione filosofica o morale ma sono anzitutto il ritratto di Gesù, nostro Signore e Maestro, e ci vengono consegnate dal Vangelo affinché impariamo giorno dopo giorno a riscriverle con la nostra vita, conformandoci a lui! Voi prima di tutti siete chiamati quest’oggi a riscrivere le Beatitudini nel nuovo servizio che la Chiesa vi affida:
Beato il Vescovo che fa della povertà e della condivisione il suo stile di vita, perché con la sua testimonianza sta costruendo il regno dei cieli.
Beato il Vescovo che non teme di rigare il suo volto con le lacrime, affinché in esse possano specchiarsi i dolori della gente, le fatiche dei presbiteri, trovando nell’abbraccio con chi soffre la consolazione di Dio.
Beato il Vescovo che considera il suo ministero un servizio e non un potere, facendo della mitezza la sua forza, dando a tutti diritto di cittadinanza nel proprio cuore, per abitare la terra promessa ai miti.
Beato il Vescovo che non si chiude nei palazzi del governo, che non diventa un burocrate attento più alle statistiche che ai volti, alle procedure che alle storie, cercando di lottare a fianco dell’uomo per il sogno di giustizia di Dio perché il Signore, incontrato nel silenzio della preghiera quotidiana, sarà il suo nutrimento.
Beato il Vescovo che ha cuore per la miseria del mondo, che non teme di sporcarsi le mani con il fango dell’animo umano per trovarvi l’oro di Dio, che non si scandalizza del peccato e della fragilità altrui perché consapevole della propria miseria, perché lo sguardo del Crocifisso Risorto sarà per lui sigillo di infinito perdono.
Beato il Vescovo che allontana la doppiezza del cuore, che evita ogni dinamica ambigua, che sogna il bene anche in mezzo al male, perché sarà capace di gioire del volto di Dio, scovandone il riflesso in ogni pozzanghera della città degli uomini. Beato il Vescovo che opera la pace, che accompagna i cammini di riconciliazione, che semina nel cuore del presbiterio il germe della comunione, che accompagna una società divisa sul sentiero della riconciliazione, che prende per mano ogni uomo e ogni donna di buona volontà per costruire fraternità: Dio lo riconoscerà come suo figlio.
Beato il Vescovo che per il Vangelo non teme di andare controcorrente, rendendo la sua faccia “dura” come quella del Cristo diretto a Gerusalemme, senza lasciarsi frenare dalle incomprensioni e dagli ostacoli perché sa che il Regno di Dio avanza nella contraddizione del mondo.
Beati voi, Franco, Gaetano, Michele perché rispondendo “sì” alla chiamata di Cristo, che vi è giunta attraverso la Chiesa, voi oggi scegliete di essere testimoni delle beatitudini, incamminandovi con il gregge che ci è affidato sulla strada del tempo presente, con lo sguardo rivolto al futuro di Dio. E in questa strada, l’imposizione delle mani e i segni esplicativi che la accompagneranno, siano per voi i simboli profetici della radicalità evangelica e dell’amore appassionato che il Buon Pastore vi chiede.
L’imposizione delle mani. Non le mie, non le nostre, bensì le mani stesse di Cristo e degli apostoli saranno imposte sul vostro capo. Perché imporre le mani sul capo? Per significare che, al di sopra di ogni brama del cuore, di ogni desiderio della mente, vi è una “mano che si apre”, una mano a ricordarvi che tutto è dono. In queste povere mani, mani d’uomo, siate capaci di riconoscere le mani del Cristo crocifisso, segno di un amore che ha le “mani bucate”, un amore che dona senza misura. Nelle mie povere mani che vi toccano il capo possiate sentire anche la mano di ogni uomo e donna, la mano dell’orfano e della vedova, della sterile e dello straniero, la mano di ogni povero. Sono loro ad ordinarvi, non solo io. È per loro che siete chiamati, non per me, né per questi palazzi, né per le carte impolverate che li riempiono. Io, fratello vescovo, impongo sulla vostra testa le mani di tutti i poveri, perché possiate ricordare che a loro dovrete sempre la più alta obbedienza, la fedeltà, il servizio.
L’olio. Non è un olio nuovo. Abbiamo semplicemente rabboccato la misura d’olio che le donne portarono al sepolcro per l’unzione del Cristo. È quello l’olio che ci tramandiamo da duemila anni. È quell’olio, non un altro, che accompagnò Maria di Magdala e le sorelle lungo la via dolorosa che le portava al sepolcro. Un olio commisto alle loro lacrime, che sarebbe poi diventato olio di giubilo, quando, tornate al cenacolo, avrebbero annunciato agli apostoli la risurrezione del Cristo. Come quell’olio, siate capaci di accompagnare il popolo di Dio tanto sulla via del dolore quanto sulla via della gioia. Possa il segno del crisma ricordarvi che dopo ogni sofferenza vi è una risurrezione.
La mitria sia per voi un richiamo costante alla santità, alla santità quotidiana, alla santità della povera gente, a quella vissuta nella ferialità della vita e non solo nelle grandi occasioni, nei giorni festivi! La fede semplice degli umili sia il tessuto della vostra mitria, il dialogo silenzioso e costante con il Risorto sia l’intreccio che la decora, la preghiera del popolo che vi chiede di essere trasparenza di Dio sia il filo dorato che la impreziosisce. La mistica della fraternità sia la sua gemma preziosa affinché, uniti a Pietro e insieme a tutti i vostri fratelli vescovi, siate per coloro che vi sono affidati un’immagine visibile della comunione trinitaria!
Il pastorale che oggi vi viene consegnato mai sia simbolo di dominio ma rappresenti sempre per voi il segno della cura: della cura che Dio ha per la vostra vita e che voi, condividendo la sua premura, avete per tutti coloro che vi sono affidati; soprattutto coloro di cui nessuno si cura: i piccoli, i poveri, gli esclusi, non gli invisibili ma i non veduti. La solidità del vostro vincastro non risiederà nell’oro o nell’argento che lo compone ma nella fiducia della gente, nella benevolenza degli ultimi, nell’alleanza con coloro che nulla contano agli occhi degli uomini ma che Dio conosce, vede, ama, ascolta. Anzitutto per loro siamo chiamati ad essere veri padri.
L’anello che con tenerezza nuziale da oggi porterete al dito rammenti al vostro cuore la bellezza dell’amore fedele di Dio e vi sproni a rispondere con altrettanto amore e fedeltà. Non indossatelo mai come uno status symbol o come un nobile distintivo. Sia piuttosto il segno dell’innamoramento: quando la fatica del ministero vi prende e lo scoraggiamento vi assale nel guardarlo possiate ritornare alla freschezza del primo amore; quando le fatiche apostoliche sembrano non portare frutto e la tentazione è quella di lasciar perdere il popolo nelle sue ostinazioni, questo segno sponsale vi rinnovi nel legame d’amore che vi unisce alla comunità cristiana e all’umanità intera!
Franco, Gaetano, Michele, in questa nuova vocazione non sentitevi soli ma affidatevi con fiducia a Colui che avete amato e seguito e che un giorno non lontano vi ha spinto a seguirlo sulla via del sacerdozio. E quando qualcuno vi chiederà il programma del vostro episcopato non abbiate esitazioni e rispondete con ferma certezza: il Vangelo. Aperto sul vostro capo, chiede di abbandonare l’inchiostro della stampa per scriversi a caratteri indelebili tra le pagine della vostra anima affinché la vostra vita sia un libro aperto dove ogni cercatore di senso può trovare la giusta risposta alla sua sete di significato e di salvezza.
La Chiesa di Napoli è con voi in questo momento così importante ed è colma di gratitudine per il dono che il Signore le fa attraverso di voi. Così come sono colmo di gratitudine io perché oggi ricevo in voi i primissimi collaboratori nell’episcopato, dei fratelli con cui servire le sorelle e i fratelli che mi sono affidati: camminiamo insieme e già in questi primi passi del nostro Sinodo, la nostra fraternità sia un esempio di sinodalità per tutti.
Maria,
donna delle beatitudini,
tu che con gli apostoli hai atteso,
invocato e ricevuto il dono dello Spirito
prega con noi per Franco, Gaetano, Michele:
che lo Spirito del Risorto
li conservi nell’entusiasmo dei primi giorni,
li preservi dal timore di non farcela,
li mantenga nella gioia del dono,
li costituisca come strumenti di comunione e di unità
per il nostro presbiterio e per tutta la nostra Chiesa partenopea.
Madre degli Apostoli,
tu hai mantenuto accesa la luce della speranza
durante l’ora delle tenebre,
sussurra a questi tuoi figli
le parole audaci del Vangelo
e quando lo scoraggiamento,
come accade per ogni discepolo,
busserà alla loro porta
e l’oscurità sembrerà calare sul loro cuore
conducili fuori dalla stanza della solitudine,
e ponili sotto il tuo manto stellato
affinché nel cuore della notte
lo scintillio di una stella illumini il loro anello
e che dal suo brillare nascano nuove albe per tutti,
nuove primavere generatrici di vita e di speranza.
Così con il tuo aiuto materno ogni tenebra sarà diramata,
ogni attesa sarà compiuta,
ogni notte vedrà il suo giorno,
ogni uomo saprà che la Luce del tuo Figlio
è capace di rischiarare ogni cosa,
di illuminare ogni notte,
di colorare di vita ogni istante.
Maria, Madre della Chiesa, Madre della Chiesa di Napoli, prega per noi!
Amen”
+ Don Mimmo Battaglia