“Benedite e ungete con l’olio della speranza”

Santa Messa Crismale
05-04-2023

“Carissimi fratelli nell’episcopato, carissimi fratelli presbiteri, carissimi consacrate e consacrati, carissimi sorelle e fratelli tutti,

sono contento di essere con voi questa sera, felice di spezzare insieme a voi il pane della Parola e di condividere la Mensa eucaristica, luogo di amicizia, di comunione, di intimità con il nostro Signore e Maestroe tra noi che, con tutto il nostro carico di luce e di ombre, cerchiamo di seguirlo come discepoli senz’altro fragili, ma proprio perché tali, consapevoli della nostra debolezza, fiduciosi nella sua presenza, nella sua forza, nel suo sostegno che non viene e non verrà mai meno.

“Ho trovato Davide, mio servo,

con il mio santo olio l’ho consacrato;

la mia mano è il suo sostegno,

il mio braccio è la sua forza”.

Si, è proprio così, queste parole del salmo che abbiamo appena proclamato possono essere rivolte alla nostra vita, alla nostra storia, ai nostri percorsi. Potremmo, senza peccare d’immaginazione, ascoltare le parole del salmista che si fa portavoce del pensiero di Dio rispetto ai nostri nomi, alle nostre vicende, dicendo: “Ho trovato Mimmo, Antonio, Francesco, ho posato il mio sguardo su di loro, li ho chiamati alla mia sequela e li ho consacrati con il mio olio di letizia, di tenerezza, di fortezza e per questo la mia mano sarà sempre pronta a sostenerli e il mio braccio a ridonare loro forza, energia di vita e di speranza!”.

Cari presbiteri, non dimentichiamo mai questa promessa d’amore, quest’impegno del Signore nei nostri riguardi. Soprattutto nei momenti di stanchezza quando la fatica, lo scoraggiamento, il peso degli impegni amplificato da quello della nostra fragilità sembrano appesantire i nostri passi, bloccare i nostri percorsi e impedirci di guardare all’orizzonte con serenità. È in questi momenti che dobbiamo fermarci. Riportare alla memoria del cuore la promessa di vita che il Signore ha fatto a ciascuno di noi.

È in questi momenti che dobbiamo alzare gli occhi al cielo, ovunque ci troviamo: poco importa se saremo tra i vicoli bui della nostra città o nel mezzo di una piazza, tra i corridoi di un ospedale o nel cortile di un oratorio, tra le aule di una scuola piuttosto che nella cappella di un carcere. Ovunque ci troviamo, qualsiasi sia la fonte della nostra stanchezza e della nostra fatica possiamo sostare, alzare lo sguardo verso il cielo e respirare a pieni polmoni la fedeltà di un amore che non verrà mai meno, di una luce che nessuna tenebra potrà mai oscurare, di una forza che nessuna nostra debolezza potrà mai arginare. È l’amore, la luce, la forza che il Signore ci dona ogni qualvolta abbiamo il coraggio di fidarci di lui, di scommettere sull’impossibile! Il Profeta Isaia (40, 29-31) ce lo ricorda con parole bellissime, poetiche e vigorose insieme: “Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi”.

Fratelli presbiteri e fratelli e sorelle tutti, dobbiamo fidarci di queste parole. Quando, a causa del nostro ministero o delle nostre fatiche personali, ci sentiamo stanchi e spossati, torniamo ad abbeverarci alla sorgente della vita, ristabiliamo un contatto profondo, autentico, intimo con il Padre e vedremo pian piano la forza e il vigore irrorare la nostra anima, il nostro corpo, le nostre relazioni, riversandosi perfino su chi ci è accanto!

A te, giovane presbitero, che grazie all’entusiasmo della tua età ti getti a capofitto nel servizio pastorale senza pensare troppo al riposo, immergendoti tra i giovani che incontri ogni giorno, cercando di liberare i percorsi comunitari dalla schiavitù della consuetudine per innestarvi novità di linguaggio, di idee, di iniziative che con creatività desiderano essere luoghi in cui poter comunicare il Vangelo con freschezza agli uomini e alle donne del nostro tempo! A te, che quando vedi vanificato il tuo impegno a causa dell’incomprensione, della resistenza al cambiamento, della poca capacità di ascolto da parte di coloro a cui cerchi di donare ogni giorno una Parola diversa da quella dell’egoismo e dell’indifferenza. A te, dico: grazie, per il dono della tua giovinezza, per la gioia della tua donazione e per questo ti invito a non lasciarti cadere le braccia, a non sentirti inutile, a non sotterrare il tuo entusiasmo e il tuo talento credendo di doverlo utilizzare altrove! Abbiamo tutti bisogno di te, del tuo contributo da giardiniere appassionato, tu ci ricordi ogni giorno che la Chiesa, anche la nostra Chiesa napoletana, non è un museo da custodire ma un guardino da coltivare, come amava dire Giovanni XXIII!

A te, fratello caro, che puoi contare ormai diverse primavere di vita e anni, come si diceva un tempo, “di messa”. Si, mi rivolgo a te sei nel cuore dell’adultità, che fai di quella Messa che celebri ogni giorno il centro della tua esistenza, consentendole di trasalire i confini del rito e di inondare la tua vita e quella di coloro di cui ti poni al servizio, con discrezione nel quotidiano. Anche a te capita di essere stanco. Un po’ perché le forze e le energie non sono quelle degli inizi, un po’ perché sei abituato a contare i fallimenti pastorali. A te, dico: i fallimenti fanno sempre rumore ma le opere dell’amore, quelle concrete, vere, che salvano la vita e rigenerano l’esistenza, crescono con la melodia del silenzio e con i colori della trasparenza. Per questo sii grato del tuo cammino come molti, più di quelli che tu credi, lo sono ogni giorno al Signore per il dono del tuo servizio e tra questi io! Affida ogni stanchezza.

E mi rivolgo anche a te, fratello presbitero ordinato ormai da tanti anni, la cui maturità e saggezza è un faro per il nostro presbiterio. Quante volte avverti la stanchezza dell’età, il peso di qualche problema di salute che si scontra invece con l’energia del tuo spirito, con la giovinezza del tuo animo, con la voglia di continuare a servire sempre e fino in fondo la comunità, il Signore, l’umanità. Ti sono veramente grato per la tua vita donata, per i consigli che rivolgi a me come ai tuoi confratelli più piccoli: a volte è sorprendente notare come il tuo sguardo, formatosi in un tempo molto diverso da questo, è più aperto del mio, più lungimirante e, direi, al passo con i tempi! Spero con tutto il cuore che la mia gratitudine e quella di tutta la comunità possano confortare ogni tua stanchezza e ripagare ogni tua fatica.

Fratelli presbiteri, c’è però una stanchezza particolare che mi preoccupa in questo tempo e che vorrei condividere con ciascuno di voi e con tutta la nostra Chiesa: la stanchezza della speranza! Quella stanchezza che nasce quando abbiamo l’impressione che la realtà ci “prenda a schiaffi”, oscurando la visione, infiacchendo le nostre forze. È una stanchezza che ci paralizza, impedendo il movimento, rinchiudendoci nella nostalgia del passato e bloccandoci con l’ansia del futuro. Questa stanchezza è una reazione comprensibile ma pericolosa che nasce dalla consapevolezza del cambiamento di epoca, un cambiamento che attraversa tutta la società, e anche la Chiesa di conseguenza, con una grande intensità unita ad un’enorme incertezza. In questi momenti, spesso ci sentiamo inchiodati da una domanda che ha il retrogusto della tentazione: “ti sei fidato di lui e adesso ti ha mollato, non è più dalla tua parte. Ma non ti accorgi di essere fuori dal mondo quando esprimi certi valori? Non ti accorgi che ciò che dici non interessa a nessuno? Non ti rendi conto che né tu né il tuo Dio avete qualcosa da dire a questo mondo?”. Questa stanchezza è, così, terreno fertile per il disagio e la tentazione, eliminando dai nostri occhi la bellezza della fiducia, la percezione che gli ostacoli alla stessa evangelizzazione possono divenire una grazia per chi si sente discepolo e mai maestro.

Fratelli miei, come affrontare questa stanchezza? Dove trovare ristoro? Dove abbeverare la nostra sete di speranza? Tornando senza paura al pozzo sorgivo del primo amore, quando Gesù è passato per la nostra strada, ci ha guardato con generosità e ci ha chiesto di seguirlo senza riserve per condividere con noi lo Spirito dei figli amati e benedetti, consacrandoci con la sua unzione, inviandoci a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, chiedendoci di essere strumento di liberazione per tutti gli oppressi. Per questo, in questi giorni santi vi invito a riportare al cuore la memoria di quel momento in cui i suoi occhi hanno incrociato i nostri, il momento in cui ci ha fatto sentire figli amati, poveri arricchiti dal suo amore, prigionieri liberati dalla sua Parola, ciechi tornati a vedere grazie alla luce del Vangelo. Si, la speranza stanca potrà guarire ritornando al luogo del primo amore e riuscirà ad incontrare, ad incrociare, nelle periferie e nelle sfide di oggi, lo sguardo del Cristo che continua a cercarci e a chiamarci e ci invita a prendere il largo. Si, continua a cercarci e a chiamarci. A guarirci e invitarci a guarire. E noi amati, amiamo. Guariti, guariamo! La nostra vita, infatti, non è altro che condivisione di ciò che il Signore ha fatto, fa e farà con noi: per questo possiamo affidarci senza riserve alla sua misericordia, alla rivoluzione della sua tenerezza, accogliendo le nostre fragilità e imparando a benedirle!

Benedite, fratelli miei presbiteri! Benedite e non maledite! Benedite le vostre ferite, anche se dolorose, benedite il vostro percorso, anche quando travagliato e, soprattutto, benedite tutti coloro che incontrate: con la vostra vita, i vostri gesti, i vostri sorrisi e le vostre lacrime; comunicate loro la benedizione di Dio, dite loro che Dio non si stanca di “dire bene” dei suoi figli e delle sue figlie, annunciate loro che c’è ancora speranza, per tutti, perché “non c’è nulla di perduto che non possa essere salvato”.

Benedite, fratelli miei presbiteri, e ungete con l’olio della speranza le infermità di questo nostro tempo, partendo dalle storie, dai volti, dagli sguardi dei tanti fratelli e sorelle feriti dalla vita: l’olio degli infermi sia il segno della solidarietà che si fa preghiera, della preghiera che si fa vicinanza, della vicinanza che si fa compartecipazione alle sofferenze di tutti, soprattutto di coloro che afflitti dalla solitudine non hanno cirenei che li aiutino a portare la croce!

Benedite, fratelli miei presbiteri, e ungete con l’olio della speranza ogni impegno di giustizia e di pace: l’olio dei catecumeni sia il ricordo costante della possibilità che sempre abbiamo di sfuggire alle prese del male, dell’egoismo, dell’indifferenza, dell’individualismo ad oltranza che fa terminare l’orizzonte nei confini ristretti del proprio io, impedendo di godere dello sguardo di tenerezza di Dio e della prossimità dell’altro che ci cammina accanto.

Benedite, fratelli miei presbiteri, e ungete con l’olio della speranza tutto ciò che incontrate: l’olio del crisma profumi tutta la vostra vita, il suo odore delicato e fresco consacri nella bellezza ogni realtà umana, insegnando a tutti che non esiste spazio e ora che non sia abitata da Dio, che nulla è profano se immerso nel suo amore, che tutto, ma proprio tutto, può essere occasione di grazia, strumento di vita, terreno fertile per la speranza. Che il profumo del Vangelo riempia davvero la vostra esistenza e quella della vostra gente! Che la sua potenza liberatrice si diffonda attraverso il vostro servizio tra le piazze e i vicoli delle nostre città, arrivando ad illuminare chi vive nell’ombra della morte, aiutando a risorgere comunità e luoghi a cui il male ha rubato la speranza! Consacrati, consacrate! Unti, ungete! Benedetti, benedite!

E voi, fratelli e sorelle tutti, benedite i vostri preti. Anche quando non sono come li vorreste, anche quando non provate per loro naturale simpatia, anche quando – in un tempo di cambiamento come questo – fanno fatica come tutti a camminare speditamente. Benedite la loro umanità, che è fragile come la vostra e, insieme, senza giudizi, percorrete i sentieri della Pasqua, quei sentieri che trasformano il sangue in luce, le stimmate in sorgenti di vita, la morte in vita risorta! Siate davvero un corpo solo e, nell’uguale dignità dei figli, ricordatevi di essere davvero e fino in fondo fratelli e sorelle! Tenetevi per mano, fuggite ogni mentalità di potere e mettete al centro della vostra idea di comunità il Sacramento dell’Eucarestia e il segno della lavanda dei piedi: che il Pane donato, consacrato, ricevuto, condiviso ci aiuti a “non tollerare la sedentarietà”, come scriveva don Tonino Bello, e insegni alle nostre comunità a fare del servizio gratuito, totale e disinteressato la cifra della sequela autentica di quel Maestro che non è venuto per essere servito ma per servire! Si, e quando la stanchezza vi assale, quando lo spaesamento vi confonde, quando i cambiamenti vi spiazzano, alzate lo sguardo e guardate a lui.

Guardate a Lui e i vostri volti diventeranno raggianti, illuminati dalla bellezza di un Amore che ci precede, ci accompagna, ci segue, ritemprando ogni stanchezza, confortando ogni dolore, prendendo per mano la nostra speranza, ridestandoci alla gioia: Lui è il nostro dolcissimo sollievo, il riposo dalle nostre fatiche, il riparo nella calura asfittica del mondo frenetico, il conforto dei pianti invisibili che irrigano i volti della nostra gente.

Guardate a Lui, nel mezzo delle guerre che attanagliano ancora questo nostro mondo, e ritrovate nella sua compagnia discreta e amica la forza per stare in piedi, per parlare ancora di pace, per diffondere la melodia della fraternità in un tempo in cui le immagini delle armi e i suoni delle bombe sembrano essere divenuti la colonna sonora del mondo: Lui è la sorgente di ogni percorso di pace, il motore interiore di ogni dialogo, la voce che parla incessantemente alle coscienze di tutti, affinché “i nemici si aprano al dialogo, gli avversari si stringano la mano e i popoli si incontrino nella concordia, e la vendetta è disarmata dal perdono”.

Guardate a Lui, quando la paura dell’altro diverso da noi ci spinge a chiudere cuori, menti, paesi, porti. Fidatevi con tutto voi stessi del suo sogno di fraternità: Lui è nell’indignazione che vi afferra dinanzi ai tanti naufragi delle nostre coste, nel senso spontaneo e indomito di solidarietà che vi spinge a soccorrere chi è nella difficoltà, nella lotta pacifica per la giustizia e per la liberazione dei poveri, unico mezzo per costruire un ordine nuovo, fondato non più sui privilegi di una parte del mondo ma sull’equità e la condivisione.

Guardate a Lui, quando anche nella nostra città la violenza sembra avere la meglio e giovani vite vengono spezzate da mani assassine. Lui è con noi, non abbandona la sua Chiesa, non abbandona la sua Napoli e lotta con noi affinché i cuori e le mani siano disarmate; con noi e attraverso di noi parla senza paura alle coscienze e ai cuori di tanti, troppi, figli smarriti chiamandoli a convertire cuori e menti, ad abbandonare la violenza, l’indifferenza, la disumanità affinché possiamo ritrovarci insieme, in un’unica comunità pacificata e disarmata, nel suo unico gregge di smarriti ritrovati dalla sua misericordia.

Guardate a Lui, fratelli presbiteri, quando vi sembra che il dono della vostra vita sia diventato inutile, quando la spossatezza per le difficoltà vi assale, quando lo scoraggiamento vi ingabbia in pensieri tristi e in ragionamenti senza via d’uscita: Lui è l’amico che non vi abbandona; Lui è il fratello che non vi lascia soli; Lui è il padre che vi guarda con occhi grati e fieri; Lui è la madre che accoglie ogni vostra fatica con immensa tenerezza; Lui è lo sposo che, con amore, sussurra ai vostri cuori strappandoli via ad ogni solitudine, aiutandovi ad essere nei luoghi e nei tempi di questa vita la manifestazione creativa e originale dell’Amore folle di Colui che ha tanto amato questo nostro mondo da mandare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”(Gv 3, 16).

Guarda a Lui, Chiesa di Napoli, guarda a Lui con speranza, con fiducia, recupera le tue forze, riprendi con gioia il tuo cammino di comunità quando guardi al sole che illumina d’azzurro il tuo cielo e il tuo mare, quando canti nel mondo la bellezza di questa luce immensa che ti avvolge non dimenticare mai che è sempre poca cosa rispetto al Sole interiore che ti abita, Sole che nessuna nuvola potrà mai oscurare, che nessuna tempesta potrà mai spegnere, che nessuna stanchezza potrà mai ingrigire: è il Sole “nostro”, il Crocifisso Risorto, il cui Vangelo di speranza e di vita è un fuoco che nessuna notte potrà mai spegnere!”

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