“Conformati a Cristo servo”

Omelia per le ordinazioni diaconali 2021
24-10-2021

Carissimi Danilo, Mateusz, Riccardo, Antonio,

Domenico, Carlo Antonio, Giovanni e Federico,

con l’ordinazione diaconale che riceverete questa sera sarete conformati a Cristo servo. Sarete servi del culto da rendere a Dio, servi dell’annuncio della Parola, servi dell’amore da condividere con i fratelli.

Sullo sfondo della liturgia di questa domenica, si staglia la figura di Bartimeo. Quella di Bartimeo è una storia di strada, dalla strada prende vita e sulla strada finisce, alla sequela di Gesù.

Sulla strada Gesù è già in cammino, sempre in cammino. Quanta strada percorre Gesù nei Vangeli! E quanto ci dice questo camminare! Essere Chiesa di Cristo, essere alla sequela di Cristo cos’altro può voler dire se non questo? Essere in cammino, uscire, prendere la strada. Uscire per incontrare le donne e gli uomini, uscire per non addormentarci nelle nostre comodità o nei nostri riti.

La strada è poi, sempre, il luogo dell’incontro. È lì che Bartimeo mendica, non soldi, non pane, mendica un incontro, una verità, una speranza. Bartimeo come noi, come tutti noi che ogni giorno cerchiamo il senso della nostra vita nell’incontro, nella parola, nella mano tesa, in uno sguardo amorevole. Mendica ad occhi chiusi, prendendo quello che gli danno, in balìa degli altri. E la sua povertà è nel dipendere dagli altri.

Bartimeo è seduto, fermo, un simbolo di prostrazione. La strada è il luogo dell’incognito, non si possono contare i passi, né conoscere i pericoli. Ciechi per strada potremmo essere anche noi, quando le nostre sicurezze vacillano, quando la paura di non farcela è più forte di ogni speranza, quando gli altri sono tutti senza volto.

A sua volta, Bartimeo è uno inconoscibile; i suoi occhi, spenti, non ci dicono nulla, è un corpo in un angolo avvolto in un mantello. Forse è un fastidio, qualcuno che è meglio non guardare con attenzione, uno che ci mette in crisi, a cui passare accanto con discrezione, accelerando il passo. Qualcuno che è meglio che non parli, tanto che persino i discepoli lo rimproverano quando si fa grido, quando reclama attenzione.

Bartimeo allora non mendica soldi ma vita, riscatto, dignità. E aspetta qualcuno che venga a schiodarlo da quella croce disumana e restituirgli la dignità perduta, quella stessa che il Padre ha sognato per lui e per ogni uomo e donna della terra.

La verità è che nella sua mano protesa all’elemosina anche noi ci sentiamo mendicanti con lui di una nuova umanità. Di una liberazione che schiodi i sogni che abbiamo messo al guinzaglio del realismo, di una vita nuova che riconduca i nostri passi all’essenziale. Di un cammino lungo le strade meno scintillanti, ma più profumate di relazioni autentiche.

Siamo anche noi mendicanti di vita e non sappiamo ammetterlo.

E quanti Bartimeo sulla nostra strada oggi, quante presenze scomode che turbano il nostro andare. Quanti fastidiosi diversi che mettono in discussione le nostre certezze, facendoci girare con imbarazzo da un’altra parte! Quanti quartieri invisibili, senza occhi e senza voce, abitati da sorelle e fratelli avvolti solo nei mantelli pesanti dell’esclusione. Quanti giovani Bartimeo a cui non è dato di gridare la propria speranza, il proprio futuro, il proprio bisogno di un incontro vero. Perché anche qui, nel nostro mondo, nella nostra città, un mendicante può avere, tuttalpiù, il diritto di ricevere briciole di elemosina, ma mai, mai deve disturbare gridando il suo dolore.

Ma non è questo lo stile del Cristo, non è questo il sogno di Dio. Non può essere allora questo lo stile della sua Chiesa. Non può essere questo il vostro stile, cari ragazzi. Gesù si ferma e ascolta, presta attenzione. Si ferma, prima di tutto. Per capire e com-prendere, perché in quel dolore riconosce il suo dolore. E nel dolore riconosce l’uomo, l’umanità che cerca e grida il bisogno di speranza e di luce. E il grido rompe le distanze diventando parola: abbi pietà di me! “Abbi pietà” non è l’estrema invocazione di un condannato, non è una resa, non è un umiliarsi. È una domanda di misericordia, è il grido della propria fragilità che chiede solo di essere vista ed essere riconosciuta da un’altra umana fragilità, per essere poi trasfigurata in miracolo dall’amore di Dio.

Gesù ci chiama in causa, ci chiede di essere parte attiva nel suo sogno, chiede intermediari, collaboratori, compagni di viaggio: “Chiamatelo”. Dice che tutti dobbiamo fare la nostra parte, che il miracolo nasce da un impegno plurale, da una comunità che cambia atteggiamento e direzione, che noi stessi che fino ad oggi abbiamo ignorato o zittito il grido fastidioso del povero possiamo e dobbiamo essere prossimo, perché non esistano lontani, ma fratelli e sorelle da raggiungere.

Cari ragazzi, questo è il Cristo, di cui vi siete innamorati, da cui vi siete sentiti accogliere, scegliere, amare. È il Cristo a cui state consacrando tutto voi stessi, perché sia Lui, solo Lui, il tutto della vostra vita. Egli è venuto a mettere in piedi le persone, a dare conforto, a guarire la vita, a restituire speranza e gioia di vivere. Ed è anche il senso della vostra vocazione, della vostra storia. Perciò, prima di chiedervi cosa fa il diacono nella Chiesa, chiedetevi chi è il diacono.

Il diacono è segno sacramentale di Cristo servo. Segno sacramentale perché la grazia lo raggiunge e lo trasforma nel più profondo del suo essere e rende presente in mezzo a noi Cristo servo. Durante l’ordinazione viene consegnato il libro del Vangelo, e così viene messo in evidenza che il primo servizio del diacono è il servizio della Parola, cioè l’annunzio del Vangelo.

C’è qualcuno che sostiene che il diaconato è il ministero della soglia. In una Chiesa missionaria, è soprattutto compito del diacono la prima evangelizzazione, l’annuncio dell’amore di Dio nelle periferie ecclesiali ed esistenziali. Il diacono è visto nella sua giusta luce nel dinamismo della Chiesa in uscita.

Ma, per fare tutto ciò, è necessario mantenere vivo il legame con Cristo. Cari ragazzi, abbiate Cristo come modello della vostra vita. Egli ha assunto la forma del servo, ed è venuto nel mondo non per essere servito, ma per servire. Lavando i piedi ai suoi discepoli, ha dato un esempio luminoso al quale non potete non ispirarvi. Servo di Cristo non è chi fa qualcosa, ma chi vive una profonda relazione con Lui, considerandolo il Signore della sua vita e facendo ogni cosa per amore Suo. La diaconia che siete chiamati a vivere non è una prestazione d’opera, un compito da svolgere, l’esecuzione di un dovere, ma una relazione – quella con Cristo – da coltivare e da approfondire, nel segno dell’amicizia che vi lega a Lui. Una relazione d’amore, dunque. Un amore che assume la forma della croce. Perché non c’è una via migliore di quella che Lui stesso ha percorso. Se metterete amore nelle opere più che nelle parole, l’amore di Cristo infiammerà i vostri cuori. Cristo sia il modello del vostro ministero diaconale.

Al servizio del Vangelo è strettamente legato il servizio dei poveri. Mi viene da dire: “costitutivamente”. Poveri e Vangelo devono stare insieme. I poveri non sono una categoria sociale, sono Ostensorio, sono sacramento di Cristo, segno reale della Sua presenza. Sono la carne di Cristo che dobbiamo abbracciare ed accarezzare. Pensate a quel diacono che fu Francesco di Assisi, nel momento in cui riuscì a baciare il lebbroso e si rese conto che soltanto allora entrava nella vita.

Ai poveri bisogna accostarsi non a parole, ma coi fatti e nella verità, con un’attenzione a quelli più nascosti ed emarginati, disposti a fare la propria parte contro quelle strutture di peccato che hanno creato nella società la cultura dello scarto. Vangelo e poveri vanno insieme perché è quanto facciamo per i poveri che dà autorevolezza e forza all’annunzio della buona notizia dell’amore di Dio.

Ma c’è anche un altro motivo: sono i poveri che ci aiutano a leggere il Vangelo. Alla loro scuola comprendiamo che il Vangelo non ci insegna tanto cosa dobbiamo fare verso Dio, quanto piuttosto quello che Dio fa verso di noi, amandoci di un amore che è senza misura.

La storia evangelica di Bartimeo sembra avere tutte le caratteristiche delle genere letterario delle chiamate. Gesù che si avvicina, ovvero si fa prossimo, stabilisce una relazione con il destinatario della chiamata, rivolge l’invito… nel caso di Bartimeo lo stile della chiamata è reso più esplicito dal verbo utilizzato: chiamatelo.

È il primo caso in cui la chiamata non è diretta ma richiede una intermediazione proprio perché Bartimeo non potrebbe nemmeno rispondere all’invito se non ci fosse l’aiuto di qualcuno. Ha bisogno di qualcuno che l’aiuti ad alzarsi, a raggiungere il figlio di David, a sentirne la voce oltre che la presenza. In questo senso la folla o gli accompagnatori di Gesù che prima si erano mostrati un ostacolo, ora diventano collaboratori e facilitatori di questa prossimità.

La pedagogia con cui Gesù accompagna i suoi gesti investe tutti, è diffusiva, libera le nostre grettezze, scardina gli steccati della logica e arriva a trasformare forse proprio coloro che prima sgridavano Bartimeo… Coraggio, alzati! Ti chiama. I termini utilizzati sono importanti. C’è innanzitutto un invito a irrobustire lo spirito prima ancora che le gambe. Si tratta di dare forza all’anima, di non accasciarsi e di intravedere possibilità nuove di superamento delle difficoltà. Infine i due verbi di resurrezione e di vocazione.

Sembrerebbe quasi di poterli scambiare finalizzandoli l’uno all’altro: alzati perché ti chiama oppure ti chiama ad alzarti. Insomma indica che il movimento ascendente della resurrezione è praticabile soltanto a coloro che accolgono la chiamata. È bellissimo pensare che resuscitiamo nel momento in cui accettiamo la sfida che ci viene rivolta da Dio a vivere pienamente e senza riserve.

Quante volte il silenzio della nostra preghiera è squarciato da quella parola che non è solo consolatoria, ma dona nuova speranza, infonde fiducia, riabilita la vita: CORAGGIO! Come vorremmo sussurrare la stessa speranza a tutti coloro che si sentono confitti sulla croce della malattia: coraggio, alzati, ti chiama. O a quelli delusi dalla vita. A coloro che masticano il pane amaro del tradimento. O a chi vede franare i sogni in cui ha investito senza risparmiarsi sacrifici. Cristo è sempre il volto di un Dio disposto all’incontro, allo sguardo amorevole che perdona, infonde calore, racconta la vita, contagia di futuro.

Il coraggio che dà la spinta a rialzarti perché anche tu abbandoni il letargo della coscienza e respiri un vento di solidarietà che faccia nuovi i tuoi mattini. Il coraggio che renda l’orecchio meno sordo alla vita vera, alla Parola che incalza. Perché il frastuono non ci sovrasti, il clamore non ci anneghi nel suo vortice, il rumore non zittisca il sale delle parole.

Egli, gettato via il mantello … Bartimeo getta via il mantello a indicare che può fare a meno persino di ciò che viene ritenuto indispensabile perché ormai ha incontrato Colui che gli riempie la vita di senso.

Pare fosse abitudine dei mendicanti stendere il mantello dinanzi a sé quasi a tracciare uno spazio entro il quale, chi voleva, poteva versare la propria moneta. Se questa interpretazione è corretta, il vero miracolo avviene qui prima ancora che il cieco riabbia la vista e che Bartimeo ha trovato una ragione di vita che supera il suo bisogno e dà un taglio netto ad ogni forma di dipendenza.

Il miracolo non è tanto nel riacquistare la vista, quanto in questo balzo che fa rialzare dalla posizione di umanità prostrata nella quale egli si trova per recuperare la posizione dei risorti, di coloro che hanno dignità piena. Gettare via il mantello equivale al gesto di lasciare il banco delle imposte come ha fatto Matteo o di abbandonare le reti come i pescatori sulle rive del lago o di abbandonare la brocca presso il pozzo come la samaritana o di distribuire le proprie sostanze ai poveri come Zaccheo.

È la liberazione totale e integrale che vive colui che incontra il Cristo. Ne consegue che oggi annunziare il Cristo vuol dire liberare tutti coloro che vivono una situazione di schiavitù.

Come non mettere a confronto la prontezza di Bartimeo nel gettare via il mantello con le paure, le insicurezze, le resistenze che opponiamo continuamente nel dover abbandonare le abitudini e le situazioni che non consentono una liberazione autentica?

Se i discepoli del risorto gettano via questo mantello recuperano la libertà di riconoscere il Cristo che passa e si decidono a mettersi in cammino per andare verso di Lui. Bartimeo balza in piedi per andare da Gesù. Quel balzare ha il sapore e il senso e il fascino e la bellezza di tutte le risurrezioni della storia.

È chiaro che il vostro servizio deve essere rivolto a tutti, senza esclusione di nessuno. Ma i poveri e, aggiungo, i giovani devono attirare la vostra attenzione e costituire l’oggetto privilegiato delle vostre cure e delle vostre fatiche. Vi invito ogni giorno a chiedere al Signore di illuminare la vostra mente per imparare da Lui a prendervi cura di loro, a stare accanto, a farvi compagni di strada, a saper ascoltare; di aprire i vostri occhi per imparare a scrutare i loro volti, e accoglierli dentro di voi; di accendere il vostro cuore per abbracciare le loro afflizioni e le loro speranze; di offrire le vostre mani per stringere legami di fraternità. E servire con un amore gratuito e disinteressato.

Infine, il servizio dell’altare: assistere il vescovo e i presbiteri soprattutto quando presiedono l’Eucaristia. La liturgia è il momento culminante del ministero: è l’Eucaristia che fa la Chiesa come comunione ed è l’Eucaristia che ci dà la grazia e la forza di vivere la nostra esistenza come servizio ai fratelli.

Cari ragazzi, la vostra consacrazione diaconale è in vista dell’ordinazione sacerdotale. L’attitudine al servizio rimanga immutata nel tempo, anzi cresca sempre di più.

Vi invito ad interrogarvi sul modello di Chiesa da contribuire a edificare con il vostro ministero. Non una Chiesa immaginaria, costruita secondo i vostri gusti e le vostre idee, ma la Chiesa voluta da Cristo: quella che vive nel tempo, mantenendo ferma la speranza e aspettando i cieli nuovi e la terra nuova. Non una Chiesa addormentata e paga della sua storia e delle sue tradizioni, ma una Chiesa dinamica, che si interroga, scruta i segni dei tempi e si lascia convertire continuamente per essere fedele a Dio e agli uomini. Allora auguri! Possiate diventare ogni giorno sempre più ciò che fra qualche minuto sarete. Sarà la migliore preparazione all’ordine del presbiterato. Sarete a servizio della Parola. Ma non si può evangelizzare se non ci si lascia evangelizzare. Lasciatevi trasformare dalla Parola di vita, non tralasciando mai l’esercizio quotidiano della Lectio Divina. Sarete a servizio dei poveri. Ma non c’è autentico servizio senza condivisione.

Siate semplici, poveri, liberi da ogni forma di possesso. Abbiate il cuore oltre le cose. Sarete a servizio dell’altare. Sempre più profondo sia il vostro rapporto personale con Gesù, e con Gesù Eucaristia in particolare, vivendo gioiosamente il dono del celibato che avete liberamente accolto e con il quale gridate al mondo che Gesù è l’Unico, Lui solo la vera gioia. Vi aiuterà a far diventare la vostra vita un canto d’amore la fedeltà a quella Liturgia delle Ore, che vi fa diventare voce di tutte le creature.

Amate questa nostra Chiesa. Amatela! Siete chiamati a vivere un servizio a “tempo pieno”. A tempo pieno per Cristo. Il servizio è uno stile di vita. Come Cristo, il vostro stile sia frutto di preghiera e di contemplazione e sia intriso di umiltà e mitezza. Evitate l’attivismo esagerato, il darvi da fare per guadagnare credito e acquisire prestigio. Ma fuggite anche dalla tiepidezza. Chi è tiepido finisce per accontentarsi di una vita mediocre, che non è vita.

Il mondo ha bisogno di brividi, ha bisogno di sussulti, della capacità di lodare il Signore con novità di vita. Non siate prigionieri dei vostri schemi. Siate portatori di novità, di freschezza, ma di freschezza dolce. Guardatevi dall’arroganza, dalla presunzione. Siate l’immagine di una Chiesa che accoglie, accarezza, abbraccia.

Bartimeo si è alzato, possiamo guardarlo in faccia. Ma avremmo potuto guardarlo negli occhi prima anche abbassandoci. C’è riuscito soltanto colui che lo ha fatto balzare in piedi perché per primo si è chinato in basso. Che strano guardare negli occhi un cieco. Anche lo sguardo spento di un cieco può essere carico di vita. Noi siamo assetati di resurrezione, ma non sappiamo danzare. Solo i risorti possono operare gesti e pratiche di resurrezione. Chi non è stato mai rialzato da terra difficilmente potrà diventare un operatore di liberazione.

Che vuoi che io ti faccia? È una domanda vera e propria, non una richiesta retorica. Sulle nostre labbra avrebbero già trovato posto immediatamente le parole di risposta al suo evidente bisogno. La domanda di Gesù è chiara, reale, ed è una domanda che pone la sua stessa persona al servizio dell’altro. È accoglienza, disponibilità, è incontro e libertà. Gesù non presume, non dà per scontato. L’altro gli sta di fronte, alla sua stessa altezza… e Dio si lascia finalmente guardare negli occhi dagli uomini, a tu per tu.

Lezione di pedagogia: sembra quasi che il Cristo si rivolga ai discepoli di ogni tempo, alle chiese, alle donne e agli uomini di buona volontà, per implorare di non presumere, di non fornire sempre e soltanto risposte, ricette, indicazioni certe, sicurezze e verità, ma di essere in grado di porre domande.

Di essere umili cercatori delle risposte degli altri, piuttosto che portatori delle nostre certezze. Solo chi ha l’umiltà di chiedere, ascolta veramente. Quanto ci sarebbe bisogno anche oggi di una chiesa capace di fare anche domande e non soltanto distribuire orientamenti morali, certezze dottrinali, verità di fede. Porsi sui passi di un maestro che indica la via dell’ascolto. Una chiesa che proceda esclusivamente dalla nobiltà della propria ricca tradizione dottrinale piuttosto che dalla condivisione delle fatiche della terra, non solo rischia di ignorare il grido dei tanti Bartimeo, ma addirittura rischia di essere condannata a non essere ascoltata e compresa.

Persino nell’esercizio della carità, laddove ci siamo attrezzati con dei centri di ascolto, troppo spesso si deve constatare quanto questi, col tempo, si siano trasformati in centri di risposte preconfezionate a seconda della tipologia di bisogno e di povertà. Manca in tutto questo la capacità di guardare negli occhi la persona che si ha difronte. Manca il coraggio di credere che Dio mi parla anche nelle frasi sconnesse di un ubriaco, nelle visioni di un cieco, nelle illusioni di un barbone. Non c’è l’apertura che possa almeno farci sospettare che Dio frequenti anche lingue come il senegalese, l’arabo, il rumeno … e in quel caso siamo noi a perderci un’opportunità e non solo coloro che riceveranno una risposta con i piatti di plastica della mensa appositamente approntata, orgoglio della nostra azione pastorale caritativa. Se imparassimo ad ascoltare il vissuto profondo dell’altro, forse riusciremmo a essere riflesso della misericordia di un Dio che non esclude mai nessuno. Chiesa, scendi lungo le strade, incrocia il passo delle donne e degli uomini, delle loro fatiche e delle loro gioie e, col grembiule ben stretto alla vita, obbediente al Salvatore, dì ad ogni passante: cosa vuoi che io faccia per te?

Vi accompagni in questa avventura la benedizione di Maria. Lei, che si definì la serva del Signore, e fu la prima missionaria, “conferisca ai vostri passi la fretta premurosa con cui Lei raggiunse la città di Giudea, simbolo di quel mondo di fronte al quale la Chiesa è chiamata a cingersi del grembiule. Conceda cadenze di gratuità al vostro servizio, sicché l’ombra del prestigio e del potere non si allunghi mai sui vostri affetti. Vi doni occhi gonfi di tenerezza e di speranza, pronti ad intuire le necessità dei fratelli. Vi aiuti a mettere a disposizione dei poveri la vostra vita con i gesti discreti del silenzio e non con gli spot pubblicitari del protagonismo.” E vi faccia innamorare sempre più di Gesù!

Amen

+ Don Mimmo Battaglia

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