Fissiamo i nostri occhi su Gesù

Omelia della Santa Messa del Crisma
31-03-2021

 

Carissimi sacerdoti,
Carissimi fratelli e sorelle,

Voi che siete qui siete l’abbraccio della nostra Chiesa; portate con voi le attese e le speranze, il respiro
affannato e stanco delle vostre comunità. Tutti noi avvertiamo, dentro e fuori, gli effetti di questo tempo
di sofferenza ma abbiamo anche la certezza che il Signore non ci ha mai lasciati soli. Sento, innanzitutto,
il bisogno di ringraziarvi ad uno ad uno, perché non vi siete mai fermati e vi siete adoperati per non far
mancare a nessuno segni concreti di vicinanza, di sostegno, di aiuto… segni della stessa carità di Cristo.
Sono questi segni che non hanno spento quella piccola fiamma che chiediamo al Signore stasera di
benedire, in noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità. Affidiamo a Lui il tempo che viene,
perché lo Spirito di verità, di sapienza, di amore, ci indichi i passi. Fissiamo i nostri occhi su Gesù.
Nel Vangelo, Luca racconta che tutti gli occhi sono fissi su Gesù. Quegli occhi sono occhi che scrutano,
che interrogano, che chiedono. Occhi che brillano, eppure quanto pesano! E oggi mi sembra di sentire
gli stessi occhi fissi su di me. Ma io non ho, come Gesù, la forza di sostenerli. E non voglio diventare
protagonista di questo momento lasciando questi occhi fissi su di me, ma vorrei che, in qualche modo,
tutti insieme, li puntassimo su Gesù. Miei cari sacerdoti, questa sera voglio sedermi accanto a voi,
immergermi nel flusso del sacerdozio profetico e regale del popolo di Dio, e puntare con voi gli occhi
su di Lui, Signore della nostra vita e della storia.
Oggi, rinnoviamo il nostro “sì” al Signore, con l’occhio innamorato e il cuore sospinto verso un
orizzonte di stupore che ci fa accogliere le meraviglie che Lui ha operato ed opera nella vita di ciascuno
di noi. Sogno, in questo momento, il cuore di una Chiesa madre che nel suo grembo genera, fa crescere,
cura e fa sbocciare vita per la vita. Non la ritualità dei gesti ma la vita, i volti, le storie, il cuore di ciascuno
di noi.
In particolare a noi, figli e fratelli miei, il Signore affida la finalità e il modo della sua missione che oggi
desidera rinnovare con la sua grazia. Siamo chiamati ad annunciare la speranza! È a Gesù che noi
abbiamo detto il nostro sì, come Lui ha detto il suo sì al Padre; solo Lui può dire anche oggi al nostro
cuore: “Non temere”, “Coraggio!”. “Ha messo sulla nostra bocca un canto nuovo invece di lutto e di
dolore!”
A tutti noi è chiesto un ascolto profondo, attento e creativo, che non corra dietro all’efficacia del
momento, ad ambizioni personali, a interessi individualistici. Quanto sta accadendo in questo tempo
sta parlando alla nostra vita, ha messo in crisi le nostre sicurezze, le nostre abitudini e gli stili di vita, la
pretesa di garantirci da noi stessi la nostra esistenza. Ci siamo riscoperti tutti vulnerabili, ognuno, oggi
più che mai, affidato alla cura e alla responsabilità dell’altro. Riceviamo dall’emergenza sanitaria un
nuovo sguardo su una reciprocità possibile, nuova, radicata nella speranza di un futuro migliore per
tutti, soprattutto per i più deboli e per le future generazioni.
Il nostro sguardo è inevitabilmente fisso sulle fatiche e sulle le paure, sulle tante morti, anche di tanti
nostri sacerdoti. I nostri occhi, però, non sono fissi nel vuoto ma nell’attesa. Il cuore non è condannato
a sentirsi smarrito ma è, per grazia, attratto a uscire dall’offuscamento. Gesù capovolge le nostre
prospettive e attese, i nostri schemi, le nostre pretese religiose: comincia dalle ferite, comincia dagli
ultimi, sono beati i poveri!
“Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”: sì, abbiamo tanti motivi
per credere che è così, che non solo questa Scrittura oggi si compie in Gesù, che è il Regno di Dio sulla
terra, ma che si compie anche nella sua Chiesa, nel mondo intero, in ciascuno di noi.
Si compie ogni volta che riscopriamo la radice della nostra vocazione nella missione stessa di Gesù. Si
compie laddove tanti uomini e donne di buona volontà danno la loro vita per amore, vivono la loro
esistenza cercando la verità, il bene, la giustizia, a servizio degli altri, del bene comune. Si compie nel
riconoscere i tanti segni di speranza presenti dentro e fuori di noi e nel diventarne reciprocamente
annunciatori. Il Figlio di Dio ha rivelato l’amore del Padre nella Parola di fraternità, di verità, di
prossimità. È la fede nell’operare di Dio che continua a farsi carico dell’umanità sofferente e in attesa,
che continua a desiderare un popolo di fratelli. Non è la fede come appartenenza esteriore che ci salva,
ma la fede come fiducia in Dio, nell’altro, nel bene.
La consapevolezza della chiamata e della missione che il Signore ci ha rivolto diventi oggi la nostra
preghiera, la via da percorrere: rechiamoci anche noi con Gesù a Nazareth, torniamo nelle nostre
comunità, torniamo dalla nostra gente, torniamoci da fratelli. Torniamo nella loro quotidianità,
convertiamo il nostro sguardo alla loro vita. Alziamoci, con tutte le povertà interiori e le inadeguatezze
che avvertiamo di fronte a questo tempo storico; prendiamo in mano la Parola del Signore e lasciamo
che provochi il nostro ascolto, il discernimento per la nostra azione pastorale e soprattutto per le nostre
relazioni. Anche se siamo poveri di mezzi, il Signore ci sta chiedendo di ricominciare con Lui.
Lasciamoci coinvolgere, lasciamoci prendere, lasciamoci toccare.
Attraverso il nostro bene-dire la gente possa sentire, come lo sente da Gesù e dalla Vergine Maria, che
può affidarsi a Dio, che può offrirgli i sacrifici quotidiani che tessono la sua vita, che può condividere
le difficoltà che il cammino gli mette dinanzi. Possiamo noi essere vicini alla gente che ha bisogno di
Lui, lo cerca, lo invoca, lo loda, lo ama. Possa la gente, attraverso di noi, dire a Dio che vuole vivere
nel suo abbraccio, un abbraccio che profuma di infinito.
Vi chiedo, allora, di avere cura del nostro sacerdozio. Non venga mai meno la passione. Non cedete a
nessuna delusione. Non indietreggiate di fronte all’amore per questo popolo e per questa terra;
lasciatevi scavare l’anima dalle lacrime della gente; siate presenti, stando in mezzo! Vicini alla gente, a
tutta la gente. Siate testimoni credibili di bellezza, sentinelle che attendono l’aurora con un’unica gioia
e un’unica speranza nel cuore: essere come Lui per amare in e con Lui i giorni che abitiamo.
Dopo la lettura del rotolo di Isaia, la gente resta a fissare Gesù, sorpresa che la parola del profeta possa
parlare in maniera così autorevole attraverso di lui. Ma quello che accade è sconcertante. Gesù diventa
segno di contraddizione, i presenti lo rifiutano e in qualche modo, proprio all’inizio della sua missione
ne anticipano la conclusione: “la luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno accolta” (cf Gv
1, 5).
C’è un forte contrasto, che spesso anche noi vorremmo evitare, tra ciò che concretamente viviamo e
scegliamo e quello che l’esistenza di Gesù ci propone. Gesù è rifiutato perché un Dio non può salvare
camminando sulle stesse vie degli uomini, mangiando e bevendo con loro. Il profeta Isaia parla a un
popolo sfiduciato, prostrato, in esilio, senza speranza. Come Chiesa non siamo chiamati a fondare il
nostro esserci sull’efficacia della nostra missione, sui risultati, sui numeri, sull’osservanza dei precetti,
sulla frequenza ai sacramenti. Il Signore ci chiede di meravigliarci della potenza della sua Parola, oggi.
Parola che rialza chi è caduto, che libera chi si sente oppresso, che consola chi è afflitto, perché a sua
volta possa benedire l’uomo annunciando la gratuità di Dio.
Il dono e la responsabilità degli oli sono affidati a tutta la Chiesa. La Chiesa li consacra e li consegna.
Sono i segni del rinnovamento continuo della speranza che non muore. I discepoli, noi, siamo chiamati
a ricucire la speranza. E la speranza è questa: Dio ci incontra sempre nel volto dell’altro, nella cura
possibile, nelle ferite che ci portiamo dentro e che diventano opportunità di ascolto di chi ci sta di
fronte.
Gli oli, che ci sono affidati, risanano le ferite, restituiscono dignità, diffondono il profumo della
speranza. È da qui che abbiamo il bisogno di ripartire. Cari fratelli sacerdoti, oggi, questo mondo, la
nostra gente, ha bisogno di voi, di noi. Della nostra ricerca, delle nostre inquietudini, del nostro ascolto,
della nostra parola di misericordia, del nostro esserci, del nostro voler bene e del nostro volerci bene.
Cari sacerdoti, la nostra gente ha bisogno di sacerdoti ungitori, capaci di uscire e donare se stessi. È
ungendo che si rinnova la propria unzione. Mentre ungiamo siamo unti dalla fede e dal bene della
nostra gente. Sacerdoti in uscita che sanno avvicinarsi all’altro, accogliere tutti, perché nessuno si senta
escluso, con pazienza, con mitezza, dare tempo per far sentire alle persone che Dio ha tempo per loro,
voglia di prendersene cura, di benedirli, di perdonarli, di guarirli. Ungiamo sporcandoci le mani
toccando le ferite, le fatiche, l’inquietudine della nostra gente; ungiamo profumandoci le mani toccando
la fede, le speranze, la generosità, imparando a vederla e riconoscerla in chi ci sta accanto. Sacerdoti
che escono e che stanno accanto al tabernacolo, che tornano al tabernacolo per riempire di olio le loro
lampade prima di tornare fuori.
Oggi rinnoviamo la nostra unzione sacerdotale. Sentiamo su di noi la mano del Signore che torna
ancora a ungerci. Sentiamo la forza e la tenerezza del suo sguardo, che ancora ci chiama a seguirlo da
vicino. E chiediamo a Maria, nostra Madre, che ci dia la grazia di sentirci unti, come Lei, dallo sguardo
benevolo del Padre, abbandonandoci senza riserve all’unzione di quello sguardo.
Oggi, le nostre celebrazioni, nonostante il timore del contagio e le restrizioni, nonostante l’assenza di
molti che sono costretti a rimanere a casa, sono frequentate. Le persone non stanno venendo in chiesa
perché noi teniamo aperte le porte ma perché ha bisogno del Signore. Lo Spirito apra i nostri occhi e
i nostri cuori a riconoscerlo. Le persone presenti portano il grido dei crocifissi di oggi davanti ai quali
non possiamo che chinarci e riflettere.
Cari fratelli, fate in modo che nelle vostre parrocchie si odano le voci del mattino di Pasqua, non inibite
anzi aiutate la vostra gente a farsi carico di situazioni di bisogno; condividete, condividete la vita
concreta, la quotidianità, non solo il bisogno momentaneo. La samaritana al pozzo ci ricorda anche
oggi la vera sete. Non è quella di chi si scandalizza dell’altro ma di chi gli chiede un po’ d’acqua, di chi
lo rende partecipe del proprio bisogno.
Il rinnovo delle nostre promesse dunque oggi ha un sapore nuovo, una consapevolezza nuova: solo
accogliendo la parola di benedizione di Gesù in noi, il suo Spirito, la sua unzione, potremo davvero
consegnare una parola allo sfiduciato, alimentare con piccoli gesti anche la più piccola fiamma accesa,
potremo accogliere e far sentire a casa, accompagnare e non far sentire soli, potremo davvero ungere e
benedire con l’olio della speranza, della fiducia, della carità.
Lasciamoci, allora, provocare dai segni dello Spirito; dai tre oli che tra poco benediremo. Chiedo al
Signore che unga fino all’ultima piega le nostre vesti per condurci alla Pasqua, rotolando i macigni che
pesano nella nostra vita e aprendo i sudari della solitudine, della disperazione, dello sconforto alla
speranza.
Il cuore del ministero e della missione di Gesù è profondamente intrecciato alla vita degli ultimi. È
proprio l’olio degli ultimi che ci conduce a ogni uomo! Anche la sofferenza accolta può generare
speranza, anche il dolore può unire. Gesù è entrato per sempre nella debolezza della nostra condizione
umana e chiede anche a noi di farci carico delle sue ferite. È l’unità di fratelli, nella sofferenza, che unge
il capo degli infermi, degli emarginati, degli esclusi. L’olio degli infermi non è dunque solo l’olio dei
malati ma è l’olio che benedice nella sofferenza, risolleva, accompagna, accarezza. Il grido di speranza
di chi soffre continua a interrogare le nostre coscienze, a tirarci fuori dalle nostre chiusure e isolamenti,
dalla nostra indifferenza.
L’olio dei catecumeni chiama noi, presbiteri, ad essere testimoni attraverso la coerenza tra parola
annunciata e vissuta e chiama voi, consacrati e consacrate, ad essere testimoni e profeti dell’avvenire in
questo tempo presente. Chiama ad essere testimoni voi, popolo santo di Dio, perché, abitati dalla
speranza e contagiati dall’amore, possiate gustare e trasmettere la gioia del vivere nella fedeltà al Signore.
L’olio del crisma è l’olio di chi si fa custode della Parola e porta il lieto annuncio… di tutti coloro che
lasciano impronte di Lui nella storia di ogni uomo e donna. Coinvolgete, valorizzate i laici,
riconoscendo i loro carismi e l’ampiezza della loro missione, fate in modo che l’olio ricevuto il giorno
del battesimo e della cresima, non resti sulla loro fronte ma percorra le vie della vita di ognuno.
L’essere testimoni è di tutti e per tutti. A ciascuno di voi, popolo santo di Dio che mi è stato affidato,
sento di dire che il compito sacerdotale di Cristo non si è trasferito solo su un gruppo di persone ma
su tutto il popolo di Dio. L’intero popolo di Dio, ognuno di noi, deve sentirsi unto dal Signore e
chiamato ad annunciarlo per le vie del mondo, a portare la sua speranza, la sua grazia, il suo amore.
Permettetemi di concludere con un grazie, che sgorga dal profondo del cuore, per tutti voi, miei figli e
fratelli sacerdoti. Grazie per il dono della vostra vita. Grazie del vostro essere preti, qui nella nostra
terra meravigliosa e sofferta, tra la nostra gente, nella nostra Chiesa. Grazie, per la tenacia, la fedeltà, il
tempo donato. Grazie per il vostro incondizionato servizio. Grazie perché, nonostante il peso della
giornata, avete sempre un sorriso ed una carezza per chi vive maggiori difficoltà rispetto alle vostre.
Grazie infinite per la vostra stanchezza, per i vostri scoraggiamenti, per le vostre perplessità, che vi
rendono così straordinariamente umani. Grazie per essere balsamo che cura le ferite. Grazie per il
vostro odore delle pecore! E ancora grazie ai nostri confratelli nel sacerdozio anziani ed ammalati,
offriamo anche a loro, con loro e per loro la bellezza di questa giornata.
Mi piacerebbe che tutti noi, presbiteri, consacrati e laici, Chiesa tutta di Napoli, uscissimo questa sera,
da questa celebrazione con gli occhi fissi su Gesù e con il desiderio forte di condividere la sua Parola.

Signore, apri i nostri occhi, perché possiamo riconoscere nel tuo popolo il bisogno di liberazione, di
cura, di guarigione, di perdono, di condivisione; donaci il coraggio di condividere questi bisogni, perché
siano anche i nostri. Rendici la gioia di essere salvati, sostieni in noi un animo generoso, gratuito, perché
tutti possiamo tornare a te. Amen.

+ don Mimmo Battaglia

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