Gesù scaccia i mercanti dal tempio. È un gesto forte, un’azione di evidente e giustificata collera verso chi ha fatto della casa del Padre un luogo di scambio di denaro, di traffico di merci. La protesta di Gesù è esplicita: nessuno può e deve strumentalizzare il nome e la casa di Dio per ricavarne onori e ricchezze, nessuno può e deve mettere la ricerca del profitto davanti alle ragioni dell’uomo.
Rispettare la casa di Dio significa rispettare i bisogni di ogni uomo e di ogni donna e dare ad essi un “luogo” in cui esprimersi e vedersi riconosciuti: questo luogo si chiama giustizia.
Gesù dimostra con quel gesto audace, la lotta tra il desiderio di autenticità che abita ogni esistenza e la stoltezza nell’allontanarsi da esso perdendosi in logiche ingannevoli.
Giovanni parla del tempio non come semplice edificio, bensì del tempio come luogo dell’incontro con Dio, spazio di relazione intima con il Signore, luogo di sguardi, di volti che si guardano, si consegnano e si amano. Dove trovare questo luogo vitale? Dove cercare questo spazio di comunione? Dove vivere l’incontro dei volti? Gesù ci dice che questo luogo esiste, è un luogo fatto di carne, è tempio vivo, è qualcosa di tangibile, visibile. (Giovanni dice che parlando del tempio Gesù si riferiva al suo corpo). Il luogo per eccellenza dell’Incontro è l’essere umano, è il corpo. Il corpo è il santuario vivente dove si irradia e si manifesta l’Amore che Dio nutre per ognuno dei suoi figli, delle sue figlie. Il nostro corpo è Casa di Dio, il nostro corpo è dimora di quel Verbo che ha scelto di divenire carne, di farsi umanità.
Distruggere tutte le false immagini di Dio, di un Dio che spesso la religione ha ridotto a mercato. Gesù è venuto a rovesciare una visione religiosa, a capovolgere il modo di intendere la relazione con Dio. Ma è anche purificare l’altro tempio che è la nostra vita, perché se tutto, perfino il tempio che è il luogo dove si dovrebbe pregare, perché se persino quello è inquinato dalla logica del comprare e del vendere anche gli altri ambiti della nostra vita possono cadere in questa trappola.
Pensate alle nostre relazioni che spesso invece di respirare la gratuità di un amore disinteressato rischiano di essere vissute secondo le regole del mercato, quel mercato in cui tutti siamo immersi. Viviamo nella società dell’ipermercato che ha posto al centro l’idolo del consumismo, nella società del comprare e del vendere. Perfino le nostre relazioni possono essere inquinate dalla logica della merce di scambio, diamo ma soltanto perché quella persona ci serve, ci può fare un favore o a nostra volta possiamo ricevere qualcosa, e quando riceviamo qualcosa ci viene il sospetto, quando non si tratta di una persona di cui abbiamo sperimentato l’amore disinteressato, che quella persona nasconda qualcosa, che attraverso quel dono, l’altro ci voglia in qualche modo usare, sulla bilancia di un mondo che è ridotto ad un grande supermercato dove tutto, anche la nostra vita, la nostra dignità, la nostra libertà , possono essere comprate e vendute.
È quello che succede al tempio di Gerusalemme, prima della Pasqua. Per essere accettati da Dio, per avere il suo favore bisogna offrire un sacrificio. Entrando nel tempio, comprare degli animali da sacrificare sull’altare del tempio, e siccome la moneta dell’impero non poteva essere introdotta nel tempio perché sulla moneta c’era l’effigie dell’imperatore, allora bisognava cambiare la moneta. Un sistema economico attorno a quella che doveva essere la relazione con Dio, ma non è solo questo, Gesù contesta anche il mercato religioso che può essere peggiore di quello economico.
È la relazione mercantile con Dio, quando usiamo la religione per soddisfare i nostri bisogni, quando pieghiamo Dio ai nostri scopi, ai nostri interessi, facendolo diventare un dio a nostra misura, una specie di compravendita, noi gli diamo delle cose, la nostra preghiera, le nostre liturgie, le nostre devozioni, i nostri atti di bontà, ma soltanto perché, in questo modo pensiamo di poter comprare o meritare il suo favore, la sua benevolenza, il premio della sua protezione. Gli offriamo dei sacrifici per meritare il suo amore.
Questa agli occhi di Gesù è una bestemmia, perché l’amore di Dio è gratuito, perché l’amore di Dio è antecedente a quello che noi possiamo fare per lui, perché l’amore di Dio ci raggiunge e ci abbraccia a prescindere dalla situazione che stiamo vivendo nella nostra vita. Dio che è amore gratuito non può essere né corrotto e né comprato. Gesù scaccia dal tempio anche gli animali, gli animali servivano per essere sacrificati, scacciandoli dal tempio Gesù ci dice che Dio non ha bisogno dei nostri sacrifici, perché è Lui che si è sacrificato per noi.
Gesù si presenta come il nuovo tempio, il vero santuario in cui è possibile incontrare Dio, parlava del tempio del suo corpo… Vivere una relazione con Cristo e la sua Parola è quello che conta. No a quella religione che prega Dio nel tempio ma non passa attraverso un incontro, un’amicizia, quindi una religione che non si trasforma in amore verso quell’altro tempio che sono i fratelli che ci stanno accanto. Non fare mercato della tua vita, delle tue relazioni, della vita dei tuoi fratelli. La vera libertà è questa.
Entrando nel Tempio, Giovanni racconta che Gesù trova confusione, disordine, incontra logiche di potere, di dominio, di oppressione, di disumanità, vede il concretizzarsi di sistemi di predominio, guarda il costante mercanteggiare dei valori, dei sentimenti, perfino il barattare la fede.
Eppure, Gesù si trova dinanzi a questo quadro, che rappresenta un corpo offeso, un corpo ferito, un corpo derubato della sua essenzialità ed originalità. È un corpo umiliato, violentato, calpestato.
Il desiderio di Dio è riscattare quel corpo, accudire quella Casa, prendersi cura di quel luogo che custodisce la sacralità dell’Incontro. È un corpo che subisce angherie, molestie, maltrattamenti ed incomprensione. È corpo offeso e ferito. È quanto capiterà al corpo stesso di Gesù nel vivere la passione. Questo tempio risorgerà… dopo tre giorni! Il corpo amato, il corpo del Figlio non resta nell’ombra dell’offesa, non rimane al buio dell’ingiustizia, non rimane un corpo inascoltato… dopo tre giorni questo corpo ri-nascerà, ri-vivrà, un corpo che sarà riscattato dall’Amore per l’Amore. Un corpo ferito è chiamato a generare Vita Nuova. Le lacrime versate, lacrime di dolore e rabbia non sono disperse, sono lacrime raccolte in catini di speranza, saranno acqua per generare futuro.
È tempo di rinunciare a trincerarsi dietro il muro dell’abitudine, del potere, dietro il tempio sacro della rassegnazione e dell’indifferenza. L’ascolto della realtà concreta, degli ambienti in cui operiamo, l’ascolto dell’altro, della Parola, apre varchi in noi per smascherare le nostre ipocrisie, per rompere i nostri silenzi colpevoli, per abbattere i tentativi nascosti di salvare noi stessi e i nostri interessi, per decostruire le nostre esposizioni dottrinali lontane dalla vita delle persone, per rovesciare i banchi dei nostri baratti, per spezzare le catene che legano l’altro ai nostri pregiudizi, ai nostri vantaggi materiali e spirituali.
Impariamo a fare il bene. Non facciamo del servizio e della cura un luogo di mercato, una spelonca di ladri! Carrierismi, poteri e privilegi, non c’entrano nulla con la chiamata a servire oggi il Signore nell’umano. Solo la ricerca di giustizia, sui passi di un amore simile a quello di Cristo, si fa profezia!
La vera preghiera è offrire possibilità di riscatto. Non buoi, pecore o colombe, non ornamenti. La salvezza non si compra, non si baratta. La si accoglie insieme. La vera povertà è dare la propria vita in questa storia, fermento di cambiamento e di risurrezione!
Oggi siamo qui anche per ricordare Fortuna, giovane donna, giovane mamma, strappata alla vita dalla violenza, insieme con lei facciamo memoria dei tanti corpi di donna umiliati, offesi, calpestati, corpi privati di umanità, di dignità, corpi uccisi.
Il tempio… la casa… il corpo che non può e non deve essere violato. Ogni violenza, verbale o fisica che sia, è un delitto di lesa maestà… e Dio si costituisce parte civile. Non ci sono attenuanti in grado di giustificare la mancanza di rispetto per la sacralità di un luogo nato per essere la sede dell’incontro con Dio.
“Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”, il senso, il valore indiscusso del tempio violato può rinascere nel corpo che risorge. Fortuna si è fidata… non ha avuto il tempo di trovare la forza di ribellarsi all’uomo che ha violato il suo corpo, la sua mente e posto fine alla sua vita. Aveva paura Fortuna… E, forse, per difendersi si è affidata al silenzio ingannatore di un cambiamento sperato e mai avvenuto.
Ma quel 7 marzo del 2019, sulle spalle delle donne il corpo di Fortuna è stato veicolo di un messaggio, di volontà di cambiamento; l’orrore si è trasformato in voglia di resurrezione, in coraggio di denuncia. La morte di Fortuna ha fatto rumore alla vigilia di quell’8 marzo ed oggi a distanza di due anni, è ancora più assordante, nutrito da un senso di ingiustizia che rischia di rendere vana la sua morte, che rischia di lanciare alle donne il messaggio dell’impossibilità di uscire dalla violenza.
Non ci siamo stati per Fortuna, non abbiamo fatto in tempo e il rimorso e senso di colpa per quanto le è accaduto deve essere il motore che ci guiderà all’alba di questo nuovo 8 marzo. Che non sia il giorno delle parole di sostegno per le donne ma diventi il giorno di vicinanza e di appoggio concreto. Ognuno è chiamato a fare la propria parte, le donne a lottare per il loro diritto di affermazione, le Istituzioni a garantire loro la giustizia che meritano.
Non si può cambiare la storia di Fortuna ma si può e si deve fare in modo che quanto accaduto a lei non accada ad altre donne. È necessaria una volontà di intenti che diventi forza comune di contrasto alla violenza contro le donne. A Fortuna e a tutte loro dobbiamo: non giudizio ma solidarietà. Non silenzio ma denuncia. Non attenuanti ma giustizia. Solo così tutto troverà nuovamente l’unico senso che la vita, il tempio, il corpo merita… il rispetto.
Ho visto la paura disegnata nel viso da labbra serrate e occhi lacrimanti… Ho visto corpi chiusi, irrigiditi dal continuo sforzo, durato anni, di difendersi, parare i colpi; corpi che sembravano marmi, come se non avessero più il diritto di abbandonarsi al calore di un abbraccio…
Ho visto ginocchia fiacche e gambe indebolite, trascinanti il peso di un desiderio d’amore vestito brutalmente di calci e pugni, parole umilianti e denigranti…
Ho visto sguardi persi nel vuoto di un’antica solitudine fatta di sogni traditi, parole inascoltate, abbracci negati… Ho visto corpi e anime ferite da un passato che fatica a passare e che chiude alla possibilità di una nuova speranza… Ho visto donne violentate… psicologicamente plagiate, poco consapevoli, impaurite, sole. Donne sfruttate nella loro debolezza, ricattate… e il silenzio diventa rumore e frustrazione per l’anima e paura di non essere credute e comprese, dove una “ragione unica” predomina su tutto il resto… E ho visto persone andare incontro a questi corpi, a queste anime, tendere la mano per disegnare insieme nuove strade, riaccendere la luce e ridare calore a quel focolare spento e rese gelido dalla violenza… E ho visto quest’incontro farsi vivo nell’ascolto, nell’attenzione, nell’amore, nella comprensione, nel riconoscimento della dignità, nell’assenza del giudizio… E ho visto questi corpi riprendere vita e bellezza: la primavera dell’anima riflessa nello sguardo ferito ma determinato di chi ha trovato la forza di dire “ora basta” … e ritorna il sorriso, il desiderio di un abbraccio, il rifiorire delle emozioni più belle… la gioia della speranza ritrovata…
E vedo donne riscoprirsi capaci di darsi la possibilità di ricominciare, di tracciare un nuovo sentiero, di riempire di senso e bellezza la propria storia… E vedo donne prendersi cura delle altre donne, tessere amicizie e solidarietà, farsi reciproco dono della fiducia, del rispetto e della propria identità di genere, in quel donare e ricevere continuo che restituisce il senso ad ogni fatica… E vedo bambini, tanti bambini, anelanti tenerezza… figli di queste donne, figli che affrontano insieme alle loro mamme, mano nella mano, la fatica di questo cammino… e diventano luce e calore, speranza condivisa…
Vorrei vedere reti sociali più strette e solide, politiche più attente e sistemiche a sostengo dei centri antiviolenza abitati da queste donne e da questi bambini… luoghi di rinascita e di nuove possibilità… Vorrei vedere donne amate e rispettate, riconosciute e apprezzate nella propria identità di genere… donne libere dalla logica del potere e dalla cultura della sopraffazione… Vorrei vedere donne e uomini capaci di promuovere con tutta la vita la dignità della vita, capaci di sognare ancora, figlie e figli dello stesso cielo: porteranno sempre speranza a molti cuori e correranno il dolce rischio di vedere il loro sogno realizzato.
E, donna, mentre ti guardi così distrutta, con i capelli scompigliati, gli occhi gonfi dalle lacrime, senti salire dalla parte più profonda del tuo corpo una strana energia fatta di rabbia e di coraggio, un istinto che ti trascina avanti. Un istinto di vita! E ti ritrovi in piedi… Che meraviglia la donna che si rialza!
Che meraviglia la donna che dopo l’esperienza di quel dolore paralizzante, trova le forze per danzare la musica della vita. Significa comprendere che il dolore non è l’ultima spiaggia. Significa non rassegnarsi mai a subire l’esistenza, ma lottare ed affrontare gli ostacoli a viso aperto. Significa scendere sulle strade, donne accanto ad altre donne, per alleggerire le pene di tutte le vittime dei soprusi. Confortare il pianto nascosto di altre donne. Accompagnare i passi delle “madri coraggio” perché scuotano l’omertà di tanti complici silenzi. Per mettersi accanto ad altre donne, sedendosi sui loro sconsolati marciapiedi e disseminando parole di speranza, con un cuore attento ai silenzi, alle parole non dette e alle offerte d’amore. E ridestare nel cuore la passione per la vita.