“GLI OLII VEICOLO DI GIOIA E DI GRAZIA”

Omelia alla Messa del Crisma
27-03-2024

Sorelle e fratelli, carissimi presbiteri,

provo davvero profonda gioia nel ritrovarmi qui con voi – alla vigilia del Triduo Santo – in questa celebrazione così significativa per noi e per tutto il popolo di Dio. Incrociando i vostri sguardi, rivedo i passi salienti di quest’anno, gli incontri, l’ansia pastorale, il desiderio di diventare sempre di più persone che servono come Gesù, che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita per tutti.

Con voi ringrazio il Signore per il dono del sacerdozio che ci unisce a Lui e al Padre, che ci unisce ai fratelli e alle sorelle che ci sono affidati, donando alla nostra vita una luce che non si consuma e che alimenta il desiderio di accompagnare, di incoraggiare, di prenderci cura di tutti, in particolare degli ultimi e di coloro che si sentono lontani o abbandonati da Dio. Siamo chiamati all’edificazione del popolo santo di Dio, popolo sacerdotale in forza del battesimo, chiamati per condividere la speranza, la fede, l’amore di Dio che da sempre è solidale con gli uomini e che in Gesù si è fatto per sempre segno di giustizia e di pace. Ungere il mondo con l’olio della pace è oggi un compito urgente, una missione profetica a cui il Vangelo ci chiama e a cui dobbiamo rispondere senza tentennamenti o insicurezze.

La benedizione degli olii e la consacrazione del crisma ci ricordano il cuore della nostra missione: l’unzione che abbiamo ricevuto è per ungere il popolo di Dio, per servire il popolo di Dio, per uscire! Le persone hanno bisogno che lo Spirito di Pace tocchi la loro vita, hanno bisogno della tenerezza capace di scorgere la sete e la fame nascoste nelle pieghe della vita. Beati i costruttori di pace, beato chi unge tutto ciò che tocca con l’olio della pace! E beati i poveri, perché di essi è il Regno: è questa la parola di speranza che attende ogni uomo nella profondità del suo cuore. L’unzione conforta, cura le ferite dello spirito e del corpo, conferma nella ricerca di Dio che attende e attrae a sé, opera nella Parola che spinge ad annunciare, a dare la propria vita per i fratelli, rendendo lieta e viva la gioia.

È l’olio dei poveri, dei sofferenti, di quelli che si trovano nella prova e attendono quella speranza capace di penetrare il buio e portare pace; è l’olio da versare sulle ferite, sui dubbi della fede, sull’impegno della gente che affronta ogni giorno il volto duro del mondo segnato dalla violenza, dal sopruso, dalla desolazione; è l’olio di chi vive l’inquietudine del cammino e si apre alla fede come a una rinascita dall’alto; è l’olio dei testimoni della fede, dei discepoli chiamati a condividere la stessa vita di Cristo privilegiando la preghiera quale vero luogo di cura e di discernimento del bene. La vita dei credenti è così fortemente segnata dalla grazia di Cristo, è amata, benedetta da una profonda reciprocità di doni e carismi. Tutti siamo chiamati a essere profeti di speranza sulle strade del nostro mondo!

Cari fratelli e sorelle tutti e carissimi confratelli vescovi e presbiteri, gli oli oggi presentati, benedetti e distribuiti, sono per me, per voi e per l’intero popolo di Dio dei mezzi che esprimono e comunicano una Grazia immeritata quanto immensa e sempre sorprendente: quella che ci trasmette vita, vita eterna, vita in pienezza, vita che con la gioia di vivere offre la felicità alla quale ogni essere umano anela dal più profondo della sua anima.

È la vita in abbondanza, più forte delle nostre debolezze, che ricuce i rapporti, che sana le ferite, che ci abilita o riabilita a trasmettere la stessa salvezza e la gioia di vivere anche agli altri. Perché mai? Perché, come pregavamo già nella colletta, ciò che collega e raccoglie le nostre preghiere e le aspirazioni più belle, lo stesso Padre, che ha consacrato il suo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo e lo ha costituito Messia e Signore, vuole concedere anche a noi, a me, a ciascuno di voi – e questo è meraviglioso! – di partecipare alla sua consacrazione, non semplicemente per tenerla bloccata in noi stessi, ma per essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza. «La sua opera di salvezza», traduciamo: la gioia di vivere e di amare, di amare gli altri, di amare la vita. Di amare non soltanto lo stare insieme oggi, in questa festa, ma lo stare insieme sempre. Nella ferialità e nella quotidianità.

Gli oli sono i veicoli di tanta gioia e di tanta grazia. Anche per questo particolarmente il crisma veniva salutato anticamente con lo stesso saluto dell’angelo a Maria di Nazareth: «Ave santum Chrisma!». Ave, traduzione latina un po’ debole, è vero, rispetto all’invito ad una grande missione com’era più immediatamente da cogliere nel grido di gioia in greco: «Rallegrati, sii nella gioia!». Sii nella gioia, Maria, perché sarai portatrice di Cristo fonte inesauribile di gioia»; «Sii nella gioia tu Crisma, perché sei il profumo di Cristo, la vera, unica e definitiva gioia degli uomini, fonte di gioia perché ci assicura un futuro che non può essere di perdizione, ma di salvezza e di gloria!».

Sii nella gioia anche tu, fratello presbitero, perché l’unzione delle tue mani, ti ricorda la bellezza della tua chiamata: portare Cristo e il suo Vangelo tra le strade del mondo, tra i sentieri del tempo!

Sii nella gioia popolo di Dio, perché sei un popolo sacerdotale, un popolo chiamato a essere profezia nel Vangelo, annuncio della Resurrezione, strumento di Misericordia e di Pace!

Questa è infatti la missione di tutti noi in quanto battezzati, cioè immersi nella missione affidataci già nel battesimo dal segno del crisma. Tutti, in quanto cristiani, siamo sacerdoti del Signore e ministri di Dio, in forza dell’unzione che è alleanza e patto d’amore con la Fonte dell’Amore. Ed è in questo patto tra l’intera Chiesa e il suo Signore, che anche noi fratelli presbiteri, ritroviamo il nostro patto con Dio, quello che abbiamo stretto con Lui nel giorno della nostra ordinazione, un patto che rinnoviamo oggi attraverso la conferma delle nostre promesse che non sono solo sacerdotali, ma sono anche messianiche, profetiche.

Un patto che rinnoviamo prendendo con noi, al termine della celebrazione, il santo crisma, per portarlo in ogni angolo della nostra realtà quotidiana. Se per forza di cose dobbiamo riporre quel crisma, insieme con gli altri oli, in qualche luogo sicuro e discreto, non altrettanto possiamo – non dobbiamo assolutamente – riporre in qualche angolo oscuro della nostra vita quell’unzione che ci fa santi, nonostante sempre peccatori, che ci rende liberi, nonostante ogni nostra remora, che ci rende profeti, nonostante ogni nostro tentennamento, ogni nostra paura. Il profumo del crisma deve preannunciare la nostra presenza, la dolcezza e decisività delle nostre parole deve dare la svolta della Grazia, della misericordia, e dell’Oltre, sì dell’Ulteriorità cui il crisma ci richiama, mettendo finalmente da parte le nostre aggressività recondite e i nostri risentimenti che non sempre ci fanno volere il bene degli altri o dire bene a loro riguardo. Il crisma che ha consacrato la nostra persona, imprimendo in noi il sigillo di Cristo, ci aiuterà a vedere persone e cose, passato presente e futuro nella sua prospettiva, che redime, proietta in avanti e guarisce anche le ferite dell’anima.

Oggi siamo chiamati a riscoprire e rivivere con rinnovato e maturo entusiasmo ciò che ci costituisce profeti del Vangelo e pertanto testimoni di una rinnovata alleanza. Diciamolo pure, di un patto d’amore tra Dio e il mondo, perché lo riceviamo di nuovo e proprio tra le nostre mani, che dovremmo noi per prima baciare, come il giorno meraviglioso della nostra ordinazione, perché tra le nostre mani sta il germe della giustizia e della felicità. Felicità da riscoprire in Colui che ci rende giusti e ci fa sentire al giusto posto nel mondo e nel popolo di Dio. Forieri dell’unica ricchezza che ci rende felici. Noi che con gli oli e il rinnovo del nostro patto con Dio riceviamo dal Signore un messaggio di misericordia e di liberazione.

Se qualcuno nel secolo scorso da una sponda laica, e tuttavia intrisa di incancellabili radici ebraiche, ha potuto scrivere che siamo stati attesi sulla terra e in ciascuno di noi è presente una forza messianica (Walter Benjamin), a maggior ragione noi oggi dobbiamo riscoprire, con la fragranza del crisma, l’effluvio della Grazia che ci rende contenti e vince le nostre remote scontentezze, i nostri reconditi rimpianti, e tutto ciò che ci fa segnare il passo e fa restare in attesa coloro ai quali dobbiamo trasmettere la stessa corrente messianica: corrente di amore e di salvezza del mondo.

Tu, fratello, più che confratello, tu che ascolti e rinnovi a Cristo il tuo patto di fedeltà, riscopri, che sei mandato, consacrato e destinato ad annunciare ai poveri il messaggio della gioia, la liberazione agli oppressi, la libertà ai prigionieri. Prigionieri delle tante sofferenze e peggio ancora dell’assuefazione al soffrire senza saperne più fare a meno. Riscopriamo tutti, laici e presbiteri, consacrate e consacrati, diaconi e catechisti, incaricati ufficialmente e incaricati tutti informalmente ma realmente da Cristo nella Sua Chiesa, che è anche la nostra, riscopriamo tutti che siamo mandati ad essere raggio di luce nelle tenebre, anelito di speranza tra i rantoli della rassegnazione, interruzione gioiosa, alitante di Spirito Santo, dell’indifferenza al dolore del mondo, proposta efficace, che paga di persona, di una pace vera e duratura.

Se a tutto ciò richiamano la prima lettura ed il Vangelo di questa Messa crismale, la seconda lettura, l’Apocalisse, ce ne offre ancora la chiave e ce ne fornisce il perché. Rivelava ai cristiani perseguitati e oppressi il senso del loro soffrire di allora, additando Gesù, come Uomo Nuovo che tutto rinnova e tutto fa rifiorire. A tale rinnovamento siamo rimandati noi cristiani oggi, adesso, nella nostra Napoli, nei luoghi più ordinari di ogni giorno. Siamo profeticamente informati che le prove della nostra quotidianità non sono tombe che rinchiudono i nostri sogni. Sono al contrario la riprova che non c’è sofferenza che spenga l’amore, non c’è dolore che uccida la speranza, non c’è insuccesso che annulli il fervore.

Non c’è e non ci può essere per chi guarda oltre se stesso e le proprie ferite, perché guarda verso «Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra». Guarda verso «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli».

Veramente la vita dei discepoli è una grande storia d’amore che non può non prendere il nostro desiderio di conoscere di più Gesù nella nostra vita! Maria, che sempre conservava nel cuore tutto quello che accadeva e capiva del Figlio, ci aiuti a fare memoria dei passi che Dio ha compiuto nelle nostre vite per lasciarsi incontrare, riconoscere, seguire. Augurarvi, cari sacerdoti, di avere cura del vostro ministero, è augurarvi di avere cura della vita di Dio in voi, nella vostra storia, nelle vostre relazioni, nelle persone che si affidano a voi. Ravvivate il dono di Dio che è in voi, ravvivate in voi il desiderio ardente di Gesù, date valore al dono che siete, ringraziate per la fragilità che vi abita e in cui il Signore continua a incontrarvi e a farvi suoi discepoli secondo il suo cuore!

Ricordo un’espressione dell’Abbé Pierre: “Il consiglio che vi do è quello di lasciare sempre un vetro rotto nella vostra comunità: se si lasciano vedere le proprie ferite, le proprie incompiutezze, i propri vetri rotti, è più facile che una persona che cerca aiuto senta di potersi fermare”. Si tratta dei vetri rotti dei conflitti che sperimentiamo soprattutto quando prendiamo sul serio la comunione. I vetri rotti dell’incomprensione. I vetri rotti della fraternità provata. I vetri rotti della incapacità di fare il bene che vediamo possibile, quel piccolo passo che potrebbe cambiare tutto. Le difficoltà che incontriamo, le inadeguatezze che sperimentiamo, la fragilità di fronte alla missione che ci è affidata, non sono qualcosa di cui vergognarci o da nascondere, ci fa umani, ci fa veri, ci fa bisognosi continuamente dell’abbraccio misericordioso del Padre, della sua Parola che rialza e accompagna. Laddove si tende a nascondere le debolezze si diventa chiusi, ci si difende dietro una corazza che allontana gli altri. È il Signore, con la sua grazia, la sua misericordia, che ci permette di camminare verso la pienezza, che ci permette di mediare agli altri il dono della sua comunione, che ci dona di farci prossimi anche nelle situazioni più difficili, nelle vite più segnate, nelle coscienze più provate.

Vorrei consegnarvi stasera l’olio della gratitudine. La gratitudine che avverto in me per il dono che siete per la mia vita e per questa nostra Chiesa. La gratitudine per il lieto annuncio ai poveri, per la misericordia che attraversa la nostra vita e giunge come benedizione nella vita dei fratelli, per la sequela possibile come cammino di conversione a Dio e ai fratelli.

La fatica di camminare insieme che appartiene a una Chiesa che condivide la missione del suo Signore, può appesantire il passo ma non può oscurare la gioia di questa condivisione. Il peso che avvertiamo dentro o sulle spalle è il segno di quel farsi carico degli ultimi da parte del Signore. Con lui siamo chiamati a incontrare i loro volti, a ungerli di luce e speranza, perché la loro vita possa diventare annuncio, vita capace di far vivere altri. La gioia del Vangelo è quella gioia che rinasce in mezzo ai limiti e che trasforma la fatica in gratitudine. Francesco d’Assisi fu chiamato a ricostruire la Chiesa, una pietra dopo l’altra, e in quel farlo capì cosa il Signore veramente gli stava chiedendo. Ma quella di Francesco fu fatica oppure esigenza di non poter fare altrimenti? Una Chiesa povera condivide quello che ha, quello che è, condivide la vita. Una pietra dopo l’altra è costruire insieme. Gli operatori di giustizia e di pace hanno lo sguardo proteso oltre, al futuro, nel grazie che rimette continuamente in ascolto.

Amen!

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