“Il Pastore è colui che custodisce, guida, difende il suo gregge”

Omelia Ordinazioni Sacerdotali
21-04-2024

Carissimi fratelli e sorelle,

siamo qui, questa sera, radunati insieme in questa chiesa cattedrale per “rendere grazie al Signore perché il suo amore è per sempre”, affascinati non tanto dalle pietre artistiche di questo tempio ma dalla Pietra scartata dai costruttori e divenuta pietra angolare, pietra capace di dare valore anche a ciascuno di noi, soprattutto quando ci sentiamo o siamo scartati, sfiduciati, oppressi. Questa pietra è il Risorto, che si rende presente ancora una volta tra noi radunati nel suo nome, che ci dona ancora una volta tutto se stesso in questa Eucarestia, durante la quale alcuni nostri fratelli verranno ordinati presbiteri, servi “inutili a tempo pieno” del popolo santo di Dio. Siamo pervasi dalla gioia pasquale. È una gioia concreta, che viene dall’intimo del nostro cuore, cuore in cui alberga la consapevolezza, la certezza granitica di non essere soli, di non essere abbandonati in un’anonima porzione di spazio e di tempo, senza senso e significato.

Si, ne siamo certi. Siamo certi che Cristo è risorto! Siamo certi che Lui, il nostro Maestro e Pastore, è con noi lungo i sentieri dello spazio e del tempo, accompagna le nostre vite, le nostre storie, la storia e la vita della nostra Chiesa, della nostra città, dell’umanità intera, illuminandola con il mistero grande del suo amore, un amore capace di far tornare sui propri passi perfino la morte. Proprio per questo, nonostante le tante notizie meste che si affacciano nel quotidiano della nostra vita, continuiamo a remare, a volte perfino controcorrente, certi che sulla vela della nostra barca, della nostra esistenza, della nostra Chiesa soffia con potenza lo Spirito del Risorto, lo Spirito della Pace, della Vita, dell’Amore!

Ed è questa unzione di pace, di vita, di amore, che oggi – Delio, Luigi e Pasquale – accoglierete come dono dall’alto e come frutto della preghiera del vostro Vescovo, dell’intera famiglia del presbiterio, di tutta la nostra comunità cristiana. È un’unzione che non vi conferirà pieni e sacri poteri ma vi donerà piuttosto la grazia necessaria per un’esistenza piena e sacra, perché vissuta nell’unione indissolubile a Cristo e nel servizio generoso e fedele al suo popolo. Per questo fin da ora vi invito a conservare gelosamente qualche goccia del crisma che oggi utilizzeremo, tenendola da parte per quei momenti di fatica, di scoraggiamento, di incomprensione e di aridità, per quei momenti difficili in cui si è afferrati dalla tentazione, arrivando perfino a pensare che l’olio profumato con cui il vostro Vescovo vi ha unto le mani sia evaporato per sempre, diventando solo il ricordo di un giorno di festa. Ecco, in quei momenti vi invito ad afferrare la mano di Cristo, parlando al suo cuore e spalancandogli il vostro: sarà Lui stesso a ricordarvi che l’unzione di questa sera non passa mai, a ridestarvi al suo sogno, per rendervi nuovamente segno, insieme a tutta la Chiesa, dell’unzione eterna del suo Spirito, unzione con cui Cristo Pastore attraverso il vostro ministero si prende cura della nostra Chiesa, della nostra città, del nostro popolo, dell’umanità intera!

Chi è infatti il Pastore? Qual è il suo compito? Il Pastore è colui che custodisce, guida, difende il suo gregge, vivendo tra le sue pecore, condividendo con esse la fatica del cammino, preoccupandosi del loro sostentamento, della loro salute, di ogni necessità. L’immagine del Pastore è quella che Gesù si attribuisce e lo fa – se siamo attenti alla traduzione greca – definendo sé stesso non semplicemente “il Buon Pastore” ma “il Pastore Bello”. La differenza non è da poco. Infatti nel resto del racconto, l’evangelista quando si riferisce alla bontà di Gesù, utilizza sempre l’aggettivo greco “agahtós”, che significa ‘buono’. Ma qui, in questo brano, adopera l’aggettivo greco “kalós”, che significa ‘il bello’, che significa ‘il vero’. Quindi Gesù non sta semplicemente raccontando la sua bontà, ma sta sottolineando qualcosa di più importante. Cosa significa il Pastore Bello, Vero? Possiamo comprenderlo solo alla luce della profezia del Libro di Ezechiele, dove il Signore – al cap. 34 – si scaglia contro i pastori del popolo, perché presi unicamente dai loro bisogni, afferrati solo dalle loro brame di potere e di guadagno, senza prendersi cura del gregge, anzi utilizzandolo per i propri fini personali e corrotti. Così il Signore interviene, attraverso il profeta, per far conoscere invece il suo sogno di cura, sogno che si realizza pienamente in Gesù: “Verrà un tempo in cui io stesso mi prenderò cura del mio gregge”. In Gesù, questo tempo è giunto, questo momento è arrivato. Superando perfino le aspettative profetiche perché se Ezechiele parlava di un pastore che avrebbe protetto e curato le pecore, Gesù va ben oltre perché arriva al punto di dare la vita per le sue pecore, donando non “qualcosa” ma tutto sé stesso. E in questo andare oltre Gesù sembra, a differenza del profeta Ezechiele, non avere mezze misure: per il nostro Maestro chi non si prende cura delle pecore ma è centrato unicamente su sé stesso non è semplicemente un cattivo pastore ma bensì un mercenario! Il mercenario, infatti, è colui che agisce esclusivamente per il proprio interesse, puntando ogni cosa non sul benessere e sulla salvezza del gregge ma sul suo tornaconto personale, per il suo guadagno.

Le parole del Vangelo sono così rivolte alla comunità cristiana affinché sia ben chiaro a tutti, anche a noi, che colui che agisce pensando solo a sé stesso, al proprio prestigio e profitto, non merita alcun “titolo” all’infuori di quello di mercenario. In questo modo il Signore ci mette in guardia, invitandoci ad esercitare l’arte del discernimento nella nostra vita, e non solo al momento delle grandi scelte ma anche in occasione di quelle feriali, in tutte quelle piccole cose che messe insieme dicono la grandezza della nostra vita, grandezza che si misura solo in amore e mai in potere. Discernere non significa solo interrogarsi su quali risposte dare alla chiamata di Dio e all’appello dell’uomo ma anche e soprattutto chiedersi quali sono le motivazioni che sottostanno alle nostre scelte, anche quelle socialmente nobili. La condizione di mercenario non riguarda semplicemente un modo di essere ma deriva e nasce soprattutto da un modo egoistico di sentire, da cui come una cascata irrefrenabile, discendono azioni egoistiche.

Sorelle e fratelli, non stanchiamoci mai di discernere le motivazioni del nostro cuore: sono motivazioni pastorali o motivazioni mercenarie? Quel servizio, quell’incarico affidatomi dal parroco, quel ministero che il Vescovo mi ha chiesto di svolgere, quel ruolo nella mia comunità lo vivo fidandomi della parola del Vangelo, centrato sull’obbiettivo concreto di servire il Signore e i fratelli, il Signore presente nei fratelli? O lo vivo piuttosto per ottenere un guadagno, anche semplicemente di immagine, sociale, trasformando il servizio in potere? Vedete la radice del clericalismo – che è una malattia che può contagiare tutta la comunità, non solo i preti – è proprio in questo narcisismo egocentrico in cui, accecati dal nostro io, si perde di vista la bellezza del noi, quel noi in cui abita la comunità, quel noi in cui abita Dio! E se non siamo vigili nell’estirpare questa radice corriamo il rischio di non condurre il gregge alle sorgenti cristalline e ai prati verdi ma di portarlo piuttosto nel gretto giardino della nostra egolatria. Diventando pastori seduttivi ma non seducenti! Il Pastore Bello è seducente: la sua bellezza, la forza del suo amore, la sua parola liberatrice attrae, rimettendo in piedi le persone, consentendo loro di camminare sulle loro gambe, vivendo da risorte. Il mercenario invece è seduttivo, perché vive in una dinamica opposta a quella del Vangelo: la sua parola, anche se fa presa, non libera ma schiaccia, non restituisce autonomia e pienezza di vita ma crea piuttosto dipendenza! Il Pastore Bello vivifica con il suo Spirito! Il mercenario mortifica con il suo ego! Il Pastore Bello non si accontenta del suo recinto colmo di pecore, non si siede soddisfatto per essere circondato dalle sue numerose pecore ma si preoccupa di tutte, anche di quelle fuori dal recinto, vivendo costantemente in uscita! Il mercenario invece alza steccati e si compiace delle proprie pecore senza lasciarsi scomodare dall’ansia delle assenti!

Delio, Luigi e Pasquale, figli e fratelli carissimi, vi prego con tutto il mio cuore: siate pastori e mai mercenari, siate pastori innamorati del gregge e mai narcisi innamorati solo di voi stessi! Siate ministri col cuore di Cristo, uomini che si fermano, si fanno prossimi, si chinano sulle ferite dei fratelli e li accompagnano, versando sulle loro ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza. Modellate sempre il vostro cuore sul Suo cuore, cuore di Samaritano venuto a soccorrere e rialzare l’umanità sofferente; cuore di Pastore che cerca, muovendosi ostinatamente nella direzione delle pecore, andando in cerca di quella perduta, senza farsi intimorire dai pericoli; senza tentennamenti, esitazioni, avventurandosi fuori dei luoghi del pascolo, incurante degli orari di lavoro.

Abbiate sempre lo sguardo fisso su Gesù e come Lui e con Lui sulla volontà del Padre: che nessuno vada perduto e che la gioia delle sue figlie e dei suoi figli sia piena. Amate come Lui e in Lui. Lasciatevi attrarre dai volti, dalle storie, dai nomi: il vostro amore non sia mai generico, statistico, massificante. Amate le persone, non le teorie! E ricordatevi che per essere pastori occorre imparare anzitutto ad essere pecore; per ritrovare chi si è smarrito occorre anzitutto lasciarsi cercare e trovare da Cristo in quei momenti della vita in cui ci si sente perduti; per annunciare la Parola occorre accoglierla e per donare il Pane della Vita in modo degno e credibile occorre fare della propria vita un pane condiviso, spezzato, donato.

E, quando il dono generoso della vostra vita vi stanca fino a prosciugare ogni forza, non cedete alla tentazione di tirare i remi in barca ma ritrovate il tempo del riposo e il coraggio della preghiera, nel silenzio feriale della vostra stanza, là dove solo il vostro Amico, Fratello e Signore vi vede.

E ritemprati dall’essere visti e amati da Lui imparate a vedere i non veduti, coloro che sono invisibili e sconosciuti agli occhi degli uomini ma immensamente preziosi perché visti e amati da Dio. Si, fratelli miei, amate e abbiate cura dei poveri! Siate vicini alla gente e soprattutto agli ultimi, ai marginali, a coloro che attendono una parola di liberazione e di speranza. Possa la gente, possano i poveri sperimentare attraverso di voi l’abbraccio di Dio che consola, rialza, nutre, ridestando la vita, donando la possibilità di sempre nuovi cominciamenti. Non respingete mai una mano che vi chiede aiuto e non dimenticate che anche quando non avete nulla da donare potete donare voi stessi, la vostra presenza, il vostro aiuto concreto nell’essere accanto, facendo vostro il dolore e la difficoltà dell’altro. E non lasciatevi mai ingabbiare dalle etichette: preti di strada, preti anticamorra, preti ecologici, siate preti e basta. Preti di tutti, preti pronti a spargere misericordia, a difendere la giustizia, a seminare la pace. Preti disponibili a farsi tutto a tutti perché capaci di accogliere il Cristo come tutto della loro vita.

E siate umani. Ve ne prego. Curate la vostra umanità. Che sia autentica, vera, sana. Se S. Teresa d’Avila ci ricorda che ogni bene divino passa dall’umanità di Cristo, come può passare il messaggio del Vangelo a coloro che incontriamo se non attraverso la fioritura della nostra umanità profumata di Cristo!? E poco importa se la nostra umanità è fragile: la consapevolezza della fragilità, comune denominatore di ogni creatura, ci aiuta ad esercitarci nell’arte di “maneggiare” con cura le relazioni, le persone, noi stessi.

E abbiate cura anche della Chiesa di Dio nella quale oggi venite inviati come pastori. Non sentitevi mai padroni della Chiesa o del ministero che vi viene affidato ma vigilate nel conservare sempre uno spirito di servizio, per collaborare con tutti. Essere pastori significa infatti condurre il gregge al Pastore Buono, Supremo, che è Cristo, avendo cura di ciascuno e della comunità nel suo insieme. Essere mercenari invece conduce all’idolatria di sé stessi, trasformando il servizio in dominio, ascoltando solo se stessi in un eterno monologo, senza preoccuparsi di sentire con la Chiesa e sintonizzarsi con lo Spirito di Dio.

Delio, Luigi e Pasquale, siate sempre e solo servi del popolo, servi e mai padroni! Servi che lavorano instancabilmente per il bene e per la salvezza integrale del popolo, senza ricercare facili consensi e senza spadroneggiare su di esso.

Siate servi capaci di camminare con il popolo, senza correre troppo avanti rischiando di lasciarlo indietro e senza rallentare troppo dimenticando il compito di sveltirne il passo lento.

Siate servi capaci di custodire tutto ciò che di bello, di buono, di sano c’è nelle tradizioni delle comunità ma siate anche capaci di rischiare l’impopolarità pur di non tradire la novità del Vangelo, unico criterio che giudica il nostro agire pastorale!

E che il fuoco del Vangelo mai si spenga nel vostro cuore e sempre arda nella vostra vita: abbiatene cura, custoditelo e vedrete che non mancherà di mettervi sempre in moto, spingendovi ad uscire fuori dal tempio, a vivere la strada, ad abitare la storia con la testimonianza della vostra vita semplice, povera, innamorata di Cristo.

Che Maria, Madre di Cristo Pastore,
vi custodisca con la sua premura,
il suo “eccomi” vi renda docili alla voce dello Spirito,
la sua preghiera vi aiuti a resistere a ogni tentazione mercenaria,
la sua fede ai piedi della croce vi insegni a sperare contro ogni speranza,
il suo “magnificat” vi doni il coraggio necessario a schierarvi sempre dalla
parte dei piccoli e degli oppressi, degli ultimi e dei marginali,
nella certezza che il gregge è al sicuro solo se le pecore ferite e claudicanti
non vengono lasciate indietro!
Che Maria, figlia del suo Figlio,
vi renda pastori secondo il cuore di Cristo
e al contempo non vi faccia mai dimenticare
che può condurre il gregge solo chi,
ogni giorno, con l’ostinazione genuina di un bambino,
si riconosce pecora smarrita e sempre ritrovata,
discepolo fragile ma sempre amato
da Colui la cui fedeltà sostiene il cammino,
la cui misericordia rinnova ogni cosa,
il cui amore è per sempre!

Amen!

condividi su