Carissimi fratelli e sorelle,
oggi avviene il mio primo impatto – non davanti a voi ma con voi tutti – con ciò che istintivamente si direbbe “qualcosa”, il sangue, il sangue custodito e venerato gelosamente per secoli, di un testimone di Cristo. Dicevo con “qualcosa”, qualcosa di affascinante e di misterioso, ma in realtà, si tratta dell’impatto non con qualcosa, ma dell’incontro filiale e devoto, commosso e trepidante con Qualcuno, con il martire e vescovo Gennaro, il San Gennaro universalmente conosciuto nel mondo, quanto intensamente e appassionatamente custodito, oltre che in una teca, nel cuore di ogni napoletano.
In questa giornata, la nostra Chiesa ricorda la traslazione del corpo del vescovo e martire Gennaro e tradizionalmente lo fa con una processione il cui itinerario si snoda per le vie della città. Tuttavia, anche quest’anno non è possibile a causa dell’emergenza pandemica ed è per questo che ci ritroviamo in cattedrale, con un numero contingentato di fedeli, ma con una certezza chiara: se la liturgia odierna non può snodarsi per le strade di Napoli… sono le strade di Napoli, con i suoi abitanti e le mille storie dei vicoli e dei quartieri, che fanno il loro ingresso in questa chiesa cattedrale attraverso la nostra preghiera e il nostro ricordo.
Infatti, ogni volta che sediamo alla mensa del Signore portiamo con noi “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”, nella consapevolezza di essere tutti tralci dell’unica vite, custodita e benedetta dal Padre. L’Eucarestia è la linfa vitale, è la presenza del Signore che si dona a noi affinché anche noi impariamo a donarci gli uni agli altri. Essere uniti a Lui non significa custodire come un tesoro geloso il Suo amore e la Sua vita ma, piuttosto, lasciarli fluire, regalandoci frutti, per poi donarli e condividerli con coloro che ci sono accanto, con coloro che incontriamo ogni giorno tra i sentieri del nostro quotidiano, senza girarci dall’altra parte. Rimanere in Gesù significa restare nel moto dell’amore, non allontanarsi da esso, costi quel che costi. Non è forse ciò che fanno i martiri? Non è forse ciò che ha fatto il martire Gennaro, catturato per portare consolazione e infondere coraggio ai fratelli imprigionati per la propria fede? E questo amore ai suoi fratelli e la fede nel Risorto, non lo hanno forse spinto a donare anch’egli la vita fino al martirio?
Sorelle e fratelli, come Gennaro siamo chiamati ad essere uniti al Signore, a rimanere nelle Sue parole, ad ascoltare, nutrire e trasmettere il Suo amore. Come Lui, siamo chiamati ad annunciare, a denunciare e a rinunciare.
Annunciamo il Vangelo senza timore, con una testimonianza profetica, capace di incidere nel tutto della nostra vita. La città, la nostra città ha bisogno di ricevere la buona notizia del Vangelo, ha bisogno della sua linfa vitale per tornare a sperare, ha bisogno che tutti i discepoli di Cristo irrorino con la linfa vitale della fiducia e dell’amore i tanti deserti che si celano dietro i suoi vicoli, nelle sue periferie, nei condomini e nelle case.
Denunciamo ciò che inquina il tessuto sociale, ciò che rende la comunità disumana, tutto ciò che allontana il popolo dal sogno di Dio che è pace, giustizia, comunione. Il nostro martire con il suo farsi vicino ai compagni sofferenti ha denunciato la piccolezza dei poteri terreni, ha mostrato che un credente non arretra di un millimetro dinanzi al bene ma che per esso è capace di donare anche la vita. Come comunità saremo capaci di fare altrettanto denunciando il malaffare, la cultura camorristica, la corruzione imperante in nome del Vangelo della giustizia?
Rinunciamo con decisione all’idolatria dell’io imparando a declinarci come un noi. Rinunciamo alla mentalità del piccolo orticello per riscoprirci coltivatori dell’unico giardino che ci è stato affidato: la nostra città. Rinunciamo al fermarci alle soglie dei sogni e impariamo insieme a farli diventare segni concreti del futuro di Dio. Rinunciamo ad una frammentazione che serve solo al nostro egoismo narcisista ma che poco ha che fare con il regno di Dio e con il bene comune. Sono questi verbi – annunciare, denunciare, rinunciare – che devono ridestare in noi la memoria odierna del nostro martire.
Fratelli e sorelle, vi prego quest’oggi di non cedere alla tentazione di sostare sulla soglia della superficie, incuriositi dal prodigio, afferrati dalla brama di voler leggere in esso buoni auspici o presagi nefasti per il nostro futuro: il sangue, sia che si sciolga, sia che resti nella sua immodificata sacralità, ci rimanda al sangue di Cristo, nel cui mistero pasquale ancora ci troviamo e che è l’unico che dà il senso alla grande e intensa icona del sangue che si scioglie, per ricordarci che esso è sempre vivo nella sofferenza e nella speranza di tutti voi – di tutti noi, ci sono anch’io, napoletani – e di tutti gli uomini e donne che sappiamo essere salvati da Gesù, di cui evocheremo e riattualizzeremo l’immenso patto d’amore anche oggi, fra poco: «questo è il mio sangue, il sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti».
A me toccherà il compito di tenere nelle mie mani questa teca, con tutta la venerazione commossa che avverto verso un Grande nella fede e con tutta la devozione evocativa di questo sangue verso il sangue di ogni uomo oppresso, di ogni essere umano colpito dalla violenza di altri esseri diventati improvvisamente inumani, o semplicemente da una disgrazia, una malattia o quant’altro lo ha versato sulla terra. Sì, su questa terra e sulla terra in genere, una terra che paradossalmente si fa essa più umana nel riceverlo. La terra stessa, infatti, reclama umanità e giustizia per il sangue versato di ogni uomo, perché, al pari di Abele, «benché morto, parla ancora» (Eb 11,4).
Si, carissimi, è con la trepidazione di chi ha nelle mani e nel cuore tanta sofferenza e tanta testimonianza, testimonianza d’amore e di fede, attestazione di una lotta sproporzionata contro le avversità della vita e di tenacia nel portare avanti la propria famiglia, che noi tutti ci sentiamo coinvolti e commossi davanti al sangue di San Gennaro. Ci sentiamo tanto coinvolti da raccogliere il grido di giustizia, oltre che l’appello alla venerazione, che ci viene da quel sangue e da quello di qualsiasi fratello, perché ognuno di essi ci riporta a Cristo, «al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele» (Eb 11,24).
Cos’è infatti quest’ampolla? Di quale tesoro fa parte? Sono queste domande che devono scavarci il cuore ogni volta che il martire Gennaro ci viene incontro con il segno del suo sangue. Il sangue dei martiri non è un pezzo da museo o una semplice reliquia da custodire devotamente ma è un segno vivo per l’oggi che ci è dato, un’indicazione chiara per questo tempo che siamo chiamati ad abitare, una profezia del modo in cui dobbiamo vivere e un riferimento chiaro a ciò per cui vale la pena morire. Intorno a questa teca e con al primo posto coloro che soffrono, siamo Chiesa di Dio, popolo di testimoni e di martiri, perché come sostiene, richiamando alcuni padri della Chiesa, anche qualcuno che è stato mio docente di teologia, la Chiesa inizia con il primo sacrificio di un innocente, il primo sangue versato da un fratello che lo ha dato da bere alla terra che pur accogliendolo, ancora non si rassegna, non se ne rende capace: il sangue di Abele. Come discepoli del Risorto, impariamo dunque a leggere insieme, senza timori anacronistici, la potente “segnaletica stradale” che questo sangue ci indica e ad incamminarci insieme ai martiri di ogni luogo e di ogni tempo, per i sentieri della testimonianza evangelica e di una fedeltà a Dio che è resa credibile del servizio all’uomo vissuto senza riserve e con “spreco di generosità”.
Il sangue parla ed è vivo, come viva resta la sete di giustizia e il bisogno di una “normalità” di vicinanza, di prossimità, bisogno reso ancora più impellente dalla pandemia attuale. Questo sangue vivo ci racconta di Maurizio, morto per difendere la propria figlia dalla logica camorristica del sopruso; di Giovanni, che ha speso ogni giorno della sua esistenza per assicurare un futuro al proprio figlio disabile e che è morto senza la certezza di una comunità capace di custodirlo. Oggi, queste ampolle ci conducono ad Ornella e a Fortuna che a causa della violenza maschile hanno versato il proprio sangue colpite dalle mani di coloro che avevano amato. Oggi, questo sangue ci introduce nelle periferie dell’esistenza, ai piedi di Concetta e dei tanti anziani invisibili dimenticati da tutti, lasciati soli dalla comunità che avrebbe dovuto ripagare con la cura il debito tra generazioni. Oggi, questo sangue ci narra di Salvatore e Tina e di tutti i ragazzi di Napoli, a cui un sistema economico, uno stile di vita egoistico e il cancro della camorra stanno rubando il futuro. Oggi, questo sangue ci racconta delle ferite delle tante famiglie della Whirlpool e dei tanti disoccupati che non chiedono altro che un lavoro capace di garantire la dignità a se stessi e alle proprie famiglie: in questo primo maggio a loro il mio pensiero e la mia vicinanza!
Questi nomi, queste storie, i volti e i nomi di Napoli sono le consegne di San Gennaro, la cui testimonianza non cessa di fare eco all’invio benedicente delle ferite del Risorto: tornate nel mondo per curare le ferite del corpo e dell’anima di ogni uomo e di ogni donna; evitate con tutte le forze che sia sparso altro sangue umano sulla terra; dissociatevi sempre comunque a qualsiasi costo da chi ancora pretende di arricchirsi versando e facendo versare il sangue di ogni essere umano; siate pronti ad assumervi i vostri impegni oggi e non domani, rispondendo di persona e non demandando ad altri; e soprattutto amate di più, amate sempre, amate tutti, ma in particolare chi ha più bisogno d’amore.
Siamo la Chiesa di Cristo, Chiesa sofferente, ma che non si rassegna alla sofferenza, perché cerca di superarla negli altri e in se stessi. Non è vero che siamo nati per soffrire. Siamo nati per amare. Amare comunque e sempre anche quando ciò dovesse comportare sofferenza e coinvolgimento personale.
Fratelli e sorelle, in queste ampolle confluiscono come affluenti perenni i rivoli di sangue che sgorgano dalle ferite aperte di questa città, dalle vulnerabilità del suo popolo, dai dolori dei suoi figli. Non c’è piaga sociale e ferita comunitaria che non abbia diritto di cittadinanza in questo reliquiario così prezioso, apice meraviglioso dell’intero tesoro di San Gennaro. Ma non fraintendetemi, non parlo delle pietre preziose, né delle gemme incastonate tra mitrie dorate e neanche dei busti argentei dei santi. Il vero tesoro di San Gennaro è la sua gente, è il suo popolo e, in esso, coloro che siedono ai margini della vita, gli ultimi, i più fragili. È questo tesoro che, come Chiesa, insieme alle istituzioni e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, siamo chiamati a custodire con fedeltà e coraggio, attingendo al patrimonio immenso celato tra le ombre e le luci che lo compongono: parlo del patrimonio di umanità di questa città, del desiderio di riscatto del suo popolo, della solidarietà della sua gente. È da questo tesoro che S. Gennaro ci chiede di ripartire insieme. È questo tesoro che il Signore ci chiede di incrementare, facendolo fruttificare nella vita di ogni giorno, con entusiasmo generoso e coraggio indomito. È questa la vera “operazione san Gennaro” da cui non dobbiamo mai desistere, a cui ci invita il Vangelo stesso. Nell’omonimo film, uno dei personaggi, don Vincenzo, interpretato dal grande Totò, afferma: “Per avere una grazia da San Gennaro bisogna parlargli da uomo a uomo.”
Ed ecco Vescovo e Martire Gennaro, che da uomo e a nome degli uomini e delle donne della Chiesa di Napoli, mi rivolgo a te!
Insegnaci a scoprire e a comprendere tra i riflessi luminosi delle tue ampolle
le gocce di sangue dei poveri, dei piccoli, degli ultimi.
Aiuta la Chiesa partenopea, con la testimonianza della tua fede,
ad annunciare la bellezza del Vangelo con parole fresche e sguardi appassionati.
Sostieni, con l’esempio del tuo coraggio,
coloro che si incamminano per i sentieri della giustizia e della pace,
liberali dal timore dei poteri di morte e ricorda loro che la fragilità dell’amore
è l’unica arma capace di cambiare il mondo.
Aiuta tutti noi a rinunciare alla vita comoda e superficiale,
fatta di indifferenza e di egoismo
e ricordaci che il palco della storia di questa città
non lo si calca con l’atteggiamento dello spettatore,
bensì con l’entusiasmo del protagonista.
E non smettere di sussurrare ai nostri cuori
che il tuo tesoro più prezioso siamo noi,
la tua gente di Napoli,
la tua città baciata dal mare e accarezzata dal sole,
chiamata ad essere per il mondo intero
una parabola di accoglienza e di comunione,
un popolo che nonostante le tante tenebre
non ha mai smesso e mai smetterà di scorgere, vivere e annunciare
la Luce.
Il tuo sangue ha spaccato e spaccherà il tempo con l’amore per il bene.
Amen
+ don Mimmo Battaglia