“Imparate a fare il bene, cercate la giustizia” (Is 1,17)

CELEBRAZIONE ECUMENICA PER LA SETTIMA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
22-01-2023

“Fratelli e sorelle carissimi,

il tema scelto quest’anno per riflettere insieme nella Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani è quello della giustizia come via del bene. Questa preghiera ecumenica ci invita a meditare sulla ricerca sempre più necessaria della giustizia, perché si possa vivere in pienezza la fraternità. Il monito di Isaia (Is 1,17) ci spinge a guardare oltre le nostre miserie e le nostre piccole preoccupazioni quotidiane per entrare nell’amore di Dio che si china verso i poveri e gli esclusi, gli ultimi, i non veduti. Non possiamo chiudere gli occhi dinanzi ai poveri delle nostre città e far finta di non guardare chi ci è accanto e chiede il nostro aiuto.

I poveri non sono gli invisibili della società, sono i non visti, quelli a cui noi non rivolgiamo lo sguardo per paura di metterci in discussione, per non lasciarci scomodare dalle nostre sicurezze, per il nostro poco senso di giustizia. Preferiamo non guardarli per non lasciarci mettere in crisi. Isaia grida dinanzi all’ipocrisia, ad un moralismo di facciata che si interessa dell’altro solo per ricavare qualcosa per se stesso. Allora, anche i sacrifici, le offerte diventano motivo di litigio, perché c’è qualcosa da guadagnare, da tenere solo per se. Sembra di sentire le parole di Gesù che caccia via i venditori dal tempio, perché lo hanno reso una spelonca di ladri. Quando anche la preghiera, la liturgia si riducono a essere soltanto un rito esteriore, Isaia ci ammonisce invitandoci a cercare Dio nella giustizia da dare alla vedova, al povero, allo straniero. La liturgia che il Profeta indica è quella della vita concreta degli uomini e delle donne, quella del bene da compiere; un bene che è prossimità, cura, custodia; un bene che esige che il nostro sguardo e il nostro cuore siano rivolti verso chi abbiamo accanto.

La denuncia del sopruso che Isaia evidenzia è azione profetica e ha una carica di rinnovamento delle nostre comunità. Mi sovviene un forte richiamo di Don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, il quale, come Isaia, ci indica che non basta la denuncia dei mali presenti, della poca fraternità vissuta, dell’ingiustizia perpetrata proprio dai cristiani, ma c’è bisogno di riparazione, di quello stare accanto ai fratelli e alle sorelle in difficoltà, perché si possa essere una sola carne in Cristo Gesù.

Come lui stesso ha affermato, tutti «intuiscano insieme le vie della riparazione per la complicità di tanti peccaminosi silenzi. Percorrano di comune accordo itinerari di giustizia, e pongano veramente l’uomo come principio architettonico del loro impegno nello spazio e nella storia. Con grande coraggio profetico! Un coraggio che denunci i guasti degli egoismi corporativi, le sperequazioni economiche, l’idolatria del profitto, lo sterminio per fame tollerato se non provocato dai ricchi ai danni di tutti i Sud della terra, la crescente produzione di armi e il loro commercio clandestino, la militarizzazione del territorio e dello spazio, le discriminazioni razziali, la tragica esposizione debitoria dei poveri del Terzo Mondo, il «business» di certi ipocriti aiuti economici, l’imperialismo culturale veicolato dai mass-media… È su questo principio di solidarietà delle religioni tra loro e delle religioni con l’uomo che esse si giocano oggi la propria vocazione planetaria» (Don Tonino Bello, Mani Alzate sul monte 27 ottobre 1986 Assisi).

Una solidarietà che parte da noi credenti in Cristo Gesù, una solidarietà che possa tradursi in ecumenismo della carità, perché per amore e con amore possiamo avere cura dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che fanno fatica. La giustizia si realizzerà, quando al centro della nostra vita non ci sarà il nostro io ma i nomi, i volti, le storie dei nostri fratelli e delle nostre sorelle; la giustizia si realizzerà quando al centro della nostra vita, delle nostre liturgie, delle nostre scelte pastorali, delle nostre comunità, ci sarà la parola noi. Isaia ci mostra la strada del bene come un’azione comunitaria e non individuale. Gesù Cristo ci insegna a superare ogni intimismo soggettivo nel fare il bene, ci insegna a lavorare insieme senza avere la paura di condividere e confrontarci per trovare vie comuni per vivere in pienezza il messaggio evangelico.

L’amore che coinvolge ogni uomo e ogni donna in tutte le parti del mondo è il fondamento della parabola che Matteo ci consegna (Mt 25, 31-40). Gesù indica l’orizzonte della fraternità senza far pesare le differenze di cultura, di razza o di fede. Egli nel Vangelo, sfiora una sorta di identificazione. Sembra quasi una risposta alla domanda: dove oggi incontriamo Dio, dove e come oggi possiamo accogliere Dio. Nel Vangelo è scritto che ad alcuni dirà: mi hai dato da bere. E questi chiederanno: e quando se non ti abbiamo mai incontrato. Risponderà: quando hai dato da bere a questi piccoli l’hai fatto a me. Una identificazione precisa. “Tutto quello che voi avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Che cosa vuol dire? Vuol dire che il povero è come Dio. Un Dio che ha legato la salvezza non ad azioni eccezionali, ma a opere quotidiane semplici e soprattutto possibili a tutti. Non a opere di culto verso di lui, ma al culto degli ultimi della fila. I piccoli, una categoria vasta, che include chiunque è in situazione di piccolezza, fragilità disagio. A noi, proiettati su cose grandi, su gesti di grande impatto, spesso sfugge il valore dei gesti piccoli. Che ne sai tu cosa può significare per l’altro un gesto piccolo, ma ricco di umanità? Un sorriso, una stretta di mano, un incoraggiamento, un modo di guardare, il tono della tua voce… anche il valore delle relazioni brevi, quelle che si consumano nello spazio di qualche istante, che cosa può significare nella vita un incontro di pochi minuti, un istante? Noi non sappiamo. I poveri sono soggetti di evangelizzazione, segno di fede, di fiducia e di attesa. Profezia di Dio!

“Chi pecca contro il prossimo, pecca contro se stesso; chi fa torto al suo prossimo, pecca contro se stesso; chi fa del bene al suo prossimo, fa del bene a se stesso e chi sa amare se stesso, ama anche gli altri”. E amando l’altro amerò anche il Signore. Facendo il bene in maniera semplice e quotidiana a un misero, dando da bere a una persona assetata, dando riparo a una persona smarrita, portando sulle spalle un anziano, si scopre di aver fatto questo a Cristo stesso. Non perché quella persona non fosse un vecchio o un assetato o uno che ha perso la strada, ma perché Dio è in quell’amore.

Non basta giustificarsi dicendo: io non ho mai fatto del male a nessuno. Perché si fa del male anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra.

Mi fa sempre pensare la domanda che i giusti pongono al Re: «quando mai ti abbiamo visto affamato, assetato, in carcere?». Gesù risponde che il più piccolo è Lui. Non dice semplicemente il piccolo, ma il più piccolo. C’è una dimensione ulteriore alla piccolezza, quella più nascosta, perché ha bisogno di occhi esperti per essere vista. C’è bisogno di un cuore allenato che sappia cercare ciò che è piccolissimo. Un cuore attento a trovare la monetina perduta, a incamminarsi sui passi della pecorella smarrita, passi conosciuti solo da chi ama. Un cuore disposto a mettersi alla finestra ore e ore per scrutare l’orizzonte per vedere da lontano una sagoma piccolissima e sapere nel proprio intimo che è il figlio piccolo che ritorna. Ci vuole una mente aperta e disponibile a non cercare il difetto negli altri, ma a gioire insieme per ciò che è considerato perduto. Gesù si rivolge al Padre confidandogli che non ha perso nulla di ciò che ha ricevuto da Lui. È venuto per i poveri in spirito, per i tanti abbandonati a se stessi, un’umanità fragile, debole, messa in ginocchio. Sono proprio i diseredati i suoi fratelli. Vi è una fratellanza che Gesù sperimenta e trasmette ai suoi discepoli. Gesù è fratello dei più piccoli; è la loro carne e la loro voce. La fratellanza nasce dal cuore di Gesù. Se accogliamo la speranza dei poveri e impegniamo la nostra vita ad ascoltarla e metterla in pratica, si rivelerà a noi e al mondo intero la giustizia di Dio. Convertire lo sguardo vuol dire riconoscere l’efficacia della vita del giusto, dei crocifissi della storia, quale lievito di cambiamento, annuncio della vita compiuta nel far vivere. Allora è tempo di essere credenti inquieti, resi tali dal Vangelo, dall’incontro con il Signore, dall’urgenza che questo incontro fa nascere dentro ciascuno di noi…

Siamo chiamati a costruire fraternità, a riedificare le antiche rovine e le città desolate. Al povero spetta sempre il primo posto per giustizia. Sarà espressione anche visibile della nostra corresponsabilità nella comunione, contribuendo a non creare altre forme di povertà, di esclusione, di emarginazione, nella chiesa e nel mondo. Mettere al primo posto i poveri vuol dire mettere al centro non noi stessi ma l’altro. L’altro che abbiamo di fronte ci chiede di essere accolto, guardato negli occhi e amato. Ma è anche maestro di fede perché incarna l’evidenza che tutti noi viviamo solo perché custoditi da altri, che esistiamo solo perché accolti da Qualcuno, impaziente di ripetere: Vieni, benedetto!

Il più piccolo fratello di Gesù lo incontriamo ovunque. Lo incontriamo in quegli occhi che ci guardano con la paura di essere nuovamente discriminati; lo vediamo nelle mamme che crescono da sole i figli, in quei padri che vanno in cerca di un posto di lavoro e non lo trovano e tornano a casa stanchi e delusi dalla vita. Dove Signore ti incontriamo oggi? Ti trovo negli affamati e assetati di giustizia che spendono la loro vita per aiutare gli altri. In quegli uomini e donne che ogni giorno sperano in un mondo migliore, in quelli che non hanno paura di opporsi alla camorra e si impegnano a far crescere i giovani nella legalità. Incontriamo il Signore in mezzo a noi, perché, dove due o tre si riuniscono nel suo nome, il Signore si fa presente e ci consegna lo Spirito dell’unità. È proprio nell’amore vicendevole che il Signore ci indica la via del bene. Un amore che è accoglienza, cura, custodia della vita. Amore per la vita, per ogni vita. Amore che ci insegna a fare il bene e realizza la giustizia.”

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