Carissime sorelle e carissimi fratelli,
siamo qui per celebrare l’Eucarestia, con il cuore colmo di gratitudine. Si, Eucarestia significa proprio questo: essere profondamente grati al Padre per ogni suo dono, per il dono della vita, di Cristo, della sua Pasqua, della salvezza ritrovata, della vita che non muore. È proprio da questa gratitudine che nasce il desiderio di spezzarsi e di donarsi come Gesù, nostro Maestro e Signore, che si è fatto pane per tutti noi.
E, allora, questa sera ci ritroviamo con il cuore carico di gratitudine: siamo grati al Signore per il dono della vita di Papa Benedetto, per gli anni del suo servizio come Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, per il dono della sua preghiera nascosta con cui ha sostenuto la comunità cristiana fino all’ultimo respiro. Pensando a lui mi sono risuonate nel cuore, in questi giorni, le parole di Gesù, quando dice: «Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25, 21). Papa Benedetto è stato un servo fedele, un lavoratore instancabile nella vigna del Signore. Ha custodito e conservato la fede e l’ha trasmessa con coraggio. Ha cercato con tutto se stesso, pur tra gli inevitabili limiti della nostra fragile umanità, di amare e mettersi al servizio di quella verità che coincide pienamente con la notizia bellissima non di un Dio di amore ma di un Dio che è amore: Desu caritas est!
E l’amore cerca sempre il bene dell’altro, non si interessa di ciò che è proprio, ma si spoglia di tutto per essere dono per chi ne ha bisogno. Papa Benedetto ha vissuto per amore e con amore ha svolto il suo ministero, donandosi in ogni circostanza della sua vita, anche quando questo servizio richiedeva la denuncia profetica del male. E non solo del male “di fuori” ma, anzitutto, di quello “di dentro”. Consapevole che non si può correggere la pagliuzza dell’altro se non si elimina prima la trave presente nel proprio occhio, il Papa emerito ha compreso come ogni rinnovamento della comunità cristiana nasce dalla consapevolezza del male che spesso la abita e da cui va purificata. Per questo non possiamo dimenticare le sue meditazioni nel 2005 per la Via Crucis e il suo impegno da Pontefice per le vittime della pedofilia. Mi risuonano nella mente le parole forti di quella meditazione che ancora oggi ha un vero sapore profetico e che il nostro Papa Francesco sta cercando di attuare:
«Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! (…) Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison! (cfr. Mt 8, 25)» (Meditazione del 2005).
Vorrei, però, soffermarmi con voi su tre aspetti che mi hanno sempre particolarmente colpito della sua persona. Aspetti che credo siano un vero e proprio testamento. Atteggiamenti umani semplici, umili, noti a tutti coloro che lo hanno incontrato.
Il primo è la gentilezza. Ce lo ha ricordato anche papa Francesco. La gentilezza di Benedetto era il segno distintivo della sua anima delicata, innamorata di Cristo e del suo Vangelo ma proprio per questo rispettosa di tutti gli uomini e di tutte le donne, senza fare eccezione alcuna. Vedete, la gentilezza di Benedetto era reale e autentica proprio perché rivolta a tutti: era gentile con i piccoli che incontrava e con i grandi della terra, senza nessuna distinzione. Non era, infatti, una strategica piacioneria o un tentativo di affabulare l’altro ma un tratto oramai spontaneo, frutto di un lavoro duro nel proprio cuore. Anche noi dobbiamo lavorare in noi stessi, nel nostro cuore per rendere sempre più i nostri atteggiamenti intrisi di vera gentilezza. Si, perché la gentilezza è una delle lettere che l’amore usa per scrivere la trama della storia umana. Non dimentichiamolo! Papa Francesco nei vespri di fine d’anno ha così espresso la nobiltà d’animo di Papa Benedetto: «L’esperienza insegna che essa, se diventa uno stile di vita, può creare una convivenza sana, può umanizzare i rapporti sociali sciogliendo l’aggressività e l’indifferenza».
Il secondo aspetto di Benedetto che vorrei ricordare con voi è la sua speranza, una speranza capace di rinnovare lo sguardo nel profondo, di vedere luce anche quando apparentemente c’è buio, di contemplare il giorno anche nel profondo della notte. Nella sua venuta a Napoli nel 2007 ci parlò della speranza come di un piccolo seme da custodire e far fiorire. Ci disse che “Questo seme a Napoli c’è e agisce, malgrado i problemi e le difficoltà. (…) Napoli ha di certo bisogno di adeguati interventi politici, ma prima ancora di un profondo rinnovamento spirituale; ha bisogno di credenti che ripongano piena fiducia in Dio, e con il suo aiuto si impegnino per diffondere nella società i valori del Vangelo”. E richiamo la missione che prima ancora di lui S. Giovanni Paolo II affidò alla nostra Chiesa, quella di far rinascere la speranza.
Sorelle e fratelli, questa missione non si è ancora conclusa, ricordiamolo. La speranza deve crescere ancor di più, moltiplicarsi, permeare ogni visuale del nostro sguardo, accompagnarci nell’edificazione del Regno di Dio tra le strade, i vicoli, le piazze della nostra città. Sono certo che Papa Benedetto dal cielo continuerà a sostenere Napoli con la sua preghiera e a sostenere la sua speranza. Abbiamo bisogno di speranza ancora oggi, o forse oggi più che mai. La nostra città ha bisogno di speranza e ha bisogno di una Chiesa che sappia renderne ragione: «Siate sempre pronti a rispondere, ma con dolcezza e rispetto, a chiunque vi chiede conto della speranza che è nei vostri cuori” (1 Pt 3,15)». Papa Benedetto dava ragione della speranza, invitando tutti a farsi raggiungere da Gesù Cristo cha va in cerca di chi si sente smarrito. «Dio, però, non si stanca di cercarci, è fedele all’uomo che ha creato e redento, rimane vicino alla nostra vita, perché ci ama». Davvero è l’uomo mite del Vangelo che viene ristorato dal Signore, perché possa godere della sua gioia.
Il terzo aspetto è il silenzio. Ha amato il silenzio, perché solo contemplando si ama e si diventa servitori dei fratelli. Papa Francesco ha ricordato che Benedetto sostiene la Chiesa e la santifica nel silenzio e nell’offerta quotidiana che fa delle sue sofferenze per tutto il popolo di Dio. Prima dell’insegnamento teologico, prima ancora dell’azione pastorale, c’è il silenzio adorante di Gesù Cristo, c’è il contemplare il volto di Cristo, c’è lo stare in ginocchio davanti a Lui. Il discepolo è chiamato a sostare ai piedi di Gesù, a contemplare il suo sguardo per vedere in Lui i tanti volti degli uomini e delle donne che si incontrano lungo tutta la propria esistenza. Il silenzio è la dimensione più vera della preghiera cristiana, perché nasce dall’incontro sempre nuovo con Gesù Cristo. È nel silenzio adorante che Papa Benedetto lesse in latino la rinuncia non scendendo dalla croce, ma vivendo in modo nuovo il suo essere discepolo di Gesù Cristo. Un atto coraggioso, profetico, non di un uomo pavido, ma di chi ha provato a scuotere le coscienze dei credenti.
Cosa ci ha insegnato papa Benedetto? Cosa ha insegnato soprattutto a noi presbiteri, vescovi? Ci ha insegnato a mettere al centro Cristo e a farci da parte quando necessario. In un mondo segnato sempre di più dalla logica del successo effimero, del potere a tutti i costi ha insegnato a tutti noi che ciò che conta è solo Cristo, il suo Vangelo, e che anche se passano ruolo, servizi, ministeri, non passa mai la possibilità di amarlo e di amare. Ci ha insegnato, quindi, che l’amore che si fa intercessione, che si fa preghiera nascosta, che si fa contemplazione silenziosa del mistero è altrettanto importante dell’amore che si fa servizio, mano tesa. E che, quindi, questi due modi di amare vanno sempre messi insieme, mai distaccati l’uno dall’altro. Certamente possono alternarsi nel succedersi delle stagioni e delle fasi della vita, ma non possono mai escludersi, perché occorre arrivare a quella sintesi amante che fa di tutti noi, come direbbe don Tonino, dei “contemplattivi”. Benedetto ci ha insegnato che si può scegliere l’ultimo posto anche quando si è occupato il primo. Ed è profetico, rivoluzionario tutto questo. In un mondo e spesso in una Chiesa in cui si parla di promozioni, di scalate e ambizioni la libertà interiore del Papa Emerito ha offerto a tutti noi, fratelli presbiteri, una grande lezione di vita. Da non dimenticare mai e da custodire come un tesoro prezioso. Si, perché è quella libertà che consente a Cristo di crescere e a noi di diminuire! E quella libertà necessita però di un’alleata, di una complice sincera: l’onestà intellettuale. Anche questa è una grande eredità che Papa Benedetto ci ha lasciato. Occorre essere onesti e valutare bene le proprie forze, per comprendere la natura dei propri limiti, per decidere quando è arrivato il momento di consentire un cambiamento. Che grande profezia l’onestà del Papa Emerito. Altrettanto profetica della sua amicizia feconda con la verità, con la ricerca sincera di colui che è la verità, la via, la vita. Fratelli presbiteri impariamo dal Papa emerito l’importanza dell’umiltà, la bellezza dell’essere contemplativi senza mai però chiudere le porte in faccia agli uomini o alle donne, al mondo, la necessità dell’onestà intellettuale e la ricerca feconda della verità, di una verità che coincide con l’amore. Mentre affidiamo al Signore la sua anima e le sue fragilità, rendiamogli grazie per questi insegnamenti!
Un’ultima cosa mi piace sottolineare: non è mancata, negli ultimi istanti della vita del Papa emerito, la risposta alla domanda di Gesù “mi ami tu, Pietro?”. «Signore, ti amo». Questa parola del cuore, pronunciata da Benedetto, non è stata solo la sua professione di fede, ma anche la sua ardente carità, della sua dedizione alla Chiesa. Benedetto, ormai alla fine della vita, è condotto a seguire il Signore confidando solo in Lui. L’amore lo apre alla visione del Paradiso. Come diceva San Giovanni della Croce «alla sera della vita saremo giudicati sull’amore». Benedetto ci insegna che Dio è amore e che il suo amore fonda la nostra esistenza e ci rende fratelli e sorelle aldilà di qualsiasi barriera culturale, economica, religiosa o di razza. Sussurrare la parola amore ci fa entrare nel cuore di Benedetto, traboccante della grazia consolatrice dello Sposo che lo ha condotto nel suo Regno di luce infinita. Lo ha incontrato nella vita e lo ha riconosciuto nell’eternità.
Che il Signore Gesù doni a ciascuno di noi la grazia della fede dinanzi alle difficoltà della vita! Ci doni il coraggio di testimoniare il Vangelo nelle periferie del mondo senza anteporre a Cristo interessi economici, politici di qualsiasi genere, senza anteporre nulla. Che il Signore ci dia l’amore alla sua Sposa, purificandoci di ciò che fa male alla dignità di ogni credente! Ci faccia sperimentare non la potenza della parola che convince, ma lo stupore del silenzio che affascina e innamora!